Rinnovabili, si tenta la carta delle Regioni
Le associazioni ambientaliste e di categoria lavorano perché i governatori regionali si impegnino a far cambiare alcuni aspetti dei decreti. Ma intanto le aziende rischiano di chiudere e il pericolo è che l’Italia non riesca a raggiungere gli obiettivi europei al 2020
18 April, 2012
La palla passa ai governatori regionali. Saranno loro, infatti, in sede di Conferenza Stato-Regioni, a doversi esprimere sui provvedimenti già approvati dal governo in tema di rinnovabili: il Quinto Conto Energia fotovoltaico e il provvedimento che stabilisce gli incentivi per le altre rinnovabili elettriche (idroelettrico, geotermico, eolico, biomasse e biogas). Dopo la protesta in piazza Montecitorio e gli Stati generali delle rinnovabili, le associazioni ambientaliste e di categoria si mettono al lavoro per fare pressione sui presidenti regionali. L’ultima chance di apportare delle modifiche a due decreti che «ucciderebbero l’unico settore capace in questo periodo di crisi di creare occupazione e produrre reddito».
Gli aspetti da cambiare sarebbero tanti. Partendo, spiega Legambiente, dal «rinvio retroattivo dei pagamenti per i Certificati Verdi», cioè i rimborsi alle imprese per produzioni elettriche effettivamente già immesse in rete negli anni passati. «Vogliamo dire al governo di fare attenzione: cambiando la normativa, rischia di far chiudere molte aziende, che a giugno si aspettavano il pagamento degli incentivi», sottolinea Simone Togni di Anev (Associazione nazionale energia del vento). C’è poi un taglio consistente agli incentivi: «La riduzione media dal 1° luglio 2012 è pari al 35% e penalizza maggiormente gli impianti piccoli sui tetti, perché in proporzione questi hanno un prezzo meno legato alla riduzione dei costi delle tecnologie. Una diminuzione che accelera, però, ogni semestre, tanto che dal 2014 il valore potrebbe essere inferiore a quello di vendita dell'energia nel mercato elettrico», spiega Legambiente. A cui si aggiungono una «penalizzazione della bonifica dei tetti in amianto» e «un’eccessiva burocrazia»: «I testi – spiega il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini – sono pieni di impedimenti burocratici e di barriere agli investimenti che avrebbero l'effetto di fermare i successi realizzati in questi anni in termini di produzione di energia pulita e di nuova occupazione».
Alle associazioni, poi, non è piaciuto il fatto che «il governo non ha intavolato nessun confronto con i diretti interessati»: «Un approccio unilaterale e meramente contabile. Quello che si è deciso non è stato minimamente concertato, l’unico scopo era far quadrare i conti», sottolinea Andrea Boraschi, responsabile Energia e clima di Greenpeace.
Agli Stati generali delle rinnovabili, tenutisi nel pomeriggio del 18 aprile, il capo del Dipartimento energia del Mise Leonardo Senni ha promesso l’avvio di tavoli tecnici. Probabilmente, si ipotizza, sui decreti sull’efficienza energetica e le rinnovabili termiche, su cui ancora il ministero sta lavorando.
Il pericolo è che l’Italia non riesca a raggiungere gli obiettivi europei al 2020: «L’Ue, al contrario di quanto succede in Italia, non fa condoni. Rischiamo di pagare salato il conto», spiega Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente. Ma oggi il nemico che più si teme è rappresentato dalle lobby del carbone. Il settore delle rinnovabili, spiega Aper (Associazione produttori energia da fonti rinnovabili) «è oggi in grave pericolo per i “colpi di coda” dei grandi produttori di energia da fonti fossili che si oppongono non solo alle rinnovabili, ma anche al nuovo modello di produzione energetica basato sulla generazione distribuita». Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, non ha dubbi: «Sta cambiando il mondo e temo che il contrasto non venga più dal tavolo della domanda di Confindustria, ma dai grandi produttori di energia elettrica».