Dalla giungla allo zoo
15 October, 2012
La nascita della campagna #salvaiciclisti ha rinnovato l'attenzione ai temi della mobilità e della ciclabilità e mi capita sempre più spesso di discutere con persone o partecipare a tavoli e incontri in cui si parla di come sostenere l'uso della bicicletta. Per molti lo strumento è chiedere agli amministratori sempre più infrastrutture: le piste ciclabili sono la panacea per la mobilità. D'altro canto è anche l'unico concetto che gli amministratori - dato che si può misurare in km e snocciolare nelle interviste - pare abbiano interiorizzato.
Giorno dopo giorno mi sento ribollire un grido che prima o poi verrà alle labbra e fantozzianamente anche io griderò:
"LE PISTE CICLABILI SONO UNA CAGATA PAZZESCA!".
Temo che lo scroscio liberatorio di applausi del film non arriverà, anzi mi attendo un sommesso mormorio di disapprovazione. Non c'è nulla da fare, il ciclista panda sogna la sua riserva dove muoversi e riprodursi se non in libertà, (forse) almeno in sicurezza.
Capisco la paura di muoversi nel traffico cittadino, ma riflettendoci spartirsi lo spazio non può essere la soluzione.
Partiamo dal fatto che le auto si tengono comunque un buona percentuale dello spazio della carreggiata (fra circolazione e sosta), della rimanente si ritaglia uno spazio per il TPL e uno per le bici e i pedoni, ma questi sono in conflitto, quindi si divide ancora fra pedoni e ciclisti, poi fra ciclisti che vanno piano e ciclisti che vanno veloce (esistono anche in Italia "corsie veloci" per ciclisti) e si arriverà a dividere il marciapiede fra pedoni che passeggiano e quelli che vanno di fretta. Aggiungiamo anche un posto per tavolini e dehors e il quadro è completo.
Risultato? lo spazio perde totalmente di senso unitario e la qualità della città peggiora. Tutto questo in difesa di un senso percepito di sicurezza che non esiste, perché nel momento in cui i flussi si devono per forza incrociare (mai incrociare i flussi! direbbero i Ghostbusters) il conflitto ritorna amplificato dall'abitudine a sentire la strada come propria e tutto questo naturalmente a danno degli utenti più leggeri .
Una compartimentazione dei percorsi serve solo ed esclusivamente in quelle poche arterie in cui in numero e la velocità degli utenti non permetta convivenza (le arterie di grande flusso e le extraurbane, tipicamente quelle in cui le ciclabili non sono presenti) nel resto della città è insensato. Se continueremo a costruire a compartimenti stagni le nostre città non riusciremo mai a convivere.
Il sogno di ogni buon ciclista è invece di avere a disposizione una striscia di asfalto che da casa porti al lavoro, al negozio, alla palestra, una per ogni mezzo e che questi nastri non si incrocino mail. Ma come i fili di Ersilia, la città di Calvino, questi nastri non uniscono, dividono tutti: i ciclisti con i ciclisti, i pedoni con i pedoni, i panda con i panda, le scimmie con le scimmie, i leoni con i leoni.
Alla fine il sogno di libertà degli utenti della strada è la gabbia. Abbiamo distrutto l'ecosistema degli animali e per dar loro "libertà" li abbiamo chiusi in una riserva; per le nostre strade stiamo desiderando lo stesso, invece di pretendere sicurezza e rispetto di regole che già esistono, chiediamo volontariamente di farci rinchiudere.
Rivendico uno spazio che è anche mio, non mi farò rinchiudere: a me gli animali in gabbia fanno troppa tristezza.
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