Piste ciclabili da bridivo Una lunga odissea su due ruote
In sella da corso Buenos Aires a Brera, tra sosta selvaggia, curve pericolose e interruzioni a sorpresa. In città ci sono itinerari per 100 km, il referendum ha chiesto di quadruplicarli - da Il Giorno del 17 giugno 2011
17 June, 2011
di Nicola Palma
Tre chilometri pedalati pericolosamente. I ciclisti lo sanno bene. Soprattutto quelli che affrontano quotidianamente la pista - che poi si trasforma in corsia - tra i Bastioni di Porta Venezia e piazza Duca d’Aosta. Oppure i patiti delle due ruote che si avventurano lungo il tracciato che congiunge a strappi il Naviglio Martesana a Porta Nuova, cioè il primo dei sette Raggi verdi messi in cantiere dall’ex Giunta Moratti.
I referendari vorrebbero partire proprio dal Piano della mobilità ciclistica 2007 per tagliare il traguardo dei quattrocento chilometri di itinerari entro il 2015, uno degli interventi elencati nel primo quesito ambientale su «traffico e smog», promosso dal 79% dei votanti. Prima, però, sarebbe il caso di dare una risistemata ai percorsi già esistenti, seppur molti di questi siano stati completati solo qualche mese fa. Partenza da piazza Oberdan. Ore quattro del pomeriggio, il traffico in corso Buenos Aires fagocita la carreggiata, difficile arrancare in bici tra gli scarichi delle auto dirette in centro. Inizia la ciclabile, separata dal resto della strada da cordoli bianchi alti dieci centimetri. Prima stranezza: un pezzo di percorso si avvita inspiegabilmente attorno ai Bastioni di Porta Venezia, finendo nel nulla all’angolo con viale Majno.
Sul cavalcavia che costeggia i giardini di via Palestro va un po’ meglio: si viaggia ordinati, c’è solo qualche pedone indisciplinato. Vietato rilassarsi, però. Mani sui freni in piazza Repubblica: la pista si interrompe poco prima di una curva, a pochi metri dai binari del tram. Qui i peones del velocipede restano impietriti: nel dedalo di incroci, ci si ritrova disorientati e costretti a rifugiarsi sul primo marciapiedi utile. «Stia attenta», urla un pedone.
«Non è colpa mia - si scusa la signora Carla - mi costringono a farlo». Chi? «Quelli che hanno progettato e realizzato questo percorso, che si spezza all’improvviso e poi riparte qualche metro più in là». Cioè con la corsia riservata di via Vittor Pisani. Settecento metri invasi dai veicoli in sosta palesemente vietata: alcuni hanno le quattro frecce lampeggianti, altri sono fermi da ore. Impossibile ritagliarsi un pertugio per andare avanti, bisogna ritornare in strada. Poco lontano, si incrocia il Raggio verde numero uno, quello che congiunge la Martesana a Brera. Decisamente meglio, ma i pericoli sono sempre dietro l’angolo. In piazza Einaudi c’è un pilone di cemento piantato proprio in mezzo alla pista. Andiamo avanti. Le strisce pedonali senza semaforo danno la precedenza ai ciclisti in arrivo, ma gli automobilisti sfrecciano da viale della Liberazione senza curarsene troppo. Passato l’ennesimo ostacolo, si arriva sul pavè di via San Marco, non proprio il terreno ideale per stare in sella. In via Moscova, ecco i primi operai al lavoro per il restyling di Brera: previsti itinerari ciclopedonali, si fatica a passare. Fino in piazza San Marco: la ristrutturazione non lascia spazio, la corsa si interrompe all’angolo con via Fatebenefratelli. Tra un cestino gonfio di immondizia e la rete del cantiere.