Se sui campi dell´Expo nascerà solo cemento
Intervento di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, sul quotidiano La Repubblica del 12.07.2011
12 July, 2011
Carlo Petrini
L´hidalgo Vicente Loscertales, segretario generale del Bie in visita a Milano qualche giorno fa, avrebbe «messo una pietra tombale» sul masterplan dell´Expo 2015, il progetto che contemplava tanti orti e altri esempi di produzioni alimentari per rappresentare la biodiversità globale e come si nutre il Pianeta. «No a una ripetizione di campi», ha detto.
Ha usato queste parole: «Non è per vedere tanti orti tutti uguali che 150mila visitatori al giorno pagheranno un biglietto. Le distese di melanzane sono uguali in Italia o in Togo. Il tema di Expo, "Nutrire il Pianeta", è più complesso: per vivere serve più di un orto, non vuol dire che dobbiamo essere tutti vegetariani». Detto da uno che si è sempre occupato di cooperazione internazionale e ha approvato il tema con cui Milano ha vinto l´Expo a Parigi nell´ormai lontano 2008 suona come una rivelazione d´incompetenza, sufficienza e ignoranza colossale.
Non aver capito niente del masterplan dopo così tanto tempo è sconcertante, ma bisogna prenderne atto. Siccome al Bie l´unica cosa che interessa sono le royalties che prenderanno su ogni biglietto staccato durante l´Expo, è chiaro che la sua visionarietà - e quella di tutti coloro che gli sono andati dietro sottoscrivendo la sua pochezza - si riduce a quello: pecunia. Ciò che ha guidato sin qui ogni mossa, ogni parola, ogni intendimento lasciando la macchina organizzativa senza uno straccio d´idea su come si farà questa imponente manifestazione. E i tempi stringono come non mai.
«Bisogna dare un´accelerata», dicono, e infatti nel mese di luglio consiglio comunale e giunta milanese dovranno fare alcuni passaggi decisivi e molto delicati per quei nuovi equilibri politici che hanno fatto sognare molti milanesi nel dopo-elezioni. L´area dove sorgerà l´Expo, a meno di quattro anni dalla manifestazione, è ancora in mano ai privati. Il Comune dovrebbe cambiare l´indice di edificabilità, perché altrimenti il prezzo sarebbe quello agricolo: si propone un indice che calcolato sugli ettari totali darebbe origine, nel dopo-Expo, o a una piccola Manhattan (se edificata in altezza) o alla costruzione su tutta l´area di un nuovo quartiere. Peccato che questo vada contro la volontà dei cittadini, che si sono espressi con un referendum che parla chiaro: i milanesi lì sopra ci vogliono un parco agroalimentare e la salvaguardia dalla cementificazione. La patata in mano al consiglio comunale non è bollente, di più. I contratti vanno fatti adesso perché le ruspe dovranno entrare in azione a ottobre.
Questa fretta nel decidere e le casse vuote del Comune non sono imputabili ai nuovi eletti. Perché dovrebbero digerire la polpetta avvelenata di una becera speculazione che non rappresenta il nuovo corso milanese? Intanto, gli abitanti di Milano stanno iniziando a mobilitarsi. È difficile prevedere cosa succederà, ed è anche comprensibile che nessuno stia paventando di lasciar perdere l´Expo (cosa che pur avrebbe i suoi perché): sarebbe una sconfitta politica e sarebbe come dire che ci sono soltanto due alternative, le speculazioni edilizie o il nulla. La terza via invece c´era sin dall´inizio, e non era soltanto un orto. Un parco complesso come complesso è il tema che si è data la manifestazione, un nodo cruciale per il futuro di tutto il Pianeta. Era l´occasione unica per l´Expo di diventare qualcosa di nuovo in un mondo che ha bisogno di nuovi paradigmi. Si è persa l´occasione per mobilitare grandi masse di giovani e meno giovani per interrogarsi sulla domanda crescente di cibo, sul cambiamento del clima e sull´avanzare delle zone aride, sulla sicurezza alimentare, sul complesso rapporto città-campagna; tutto questo non in una dimensione bucolica o poetica, ma con il pieno coinvolgimento della piccola produzione, dell´artigianato e dell´industria alimentare. Chiamando in causa anche il mondo della ricerca, delle nuove tecnologie, e garantendo comunque quel piacere alimentare che tutte le comunità del mondo hanno saputo esprimere nei secoli. Questo era l´Expo da auspicare, che avrebbe fatto di Milano un laboratorio del futuro.
Ma sono mancate la politica, la cultura, il progetto, il coraggio, e con il falso pragmatismo che chiede di costruire una kermesse turistica e intanto si sono persi il tempo e il sogno. L´Expo è così diventata una mastodontica macchina invecchiata su se stessa, valida per le masse cinesi, ma che ha perso da decenni la capacità di essere fulcro d´innovazione.
Giunti a questo punto, chiederei che almeno cambino il tema e che ognuno faccia il suo mestiere. Perché c´è spazio per un grande progetto politico nella nuova Milano, partendo dall´agricoltura periurbana di questa grande città, per poi guardare al mondo nel 2015 con una grande chiamata alle reti di donne, giovani, contadini e cittadini che rivolgono lo sguardo a un futuro basato su un concetto di alimentazione che rispetti la terra e i suoi figli. Il giocattolo Expo sarà altra cosa e, viste le figure che stanno facendo mentre il tempo passa e resta un vuoto colossale d´idee, la figura da peraccottai diventerà presto globale. Quella sì, è uguale in Italia come in Togo.