Un parco fotovoltaico sopra la discarica
L'alternativa di Comune e Amiat alla riapertura di Basse di Stura - da La Stampa del 03.09.2011
02 September, 2011
Andrea Rossi
L’idea si trascina da tempo, sostenuta anche da una mozione votata a schiacciante maggioranza dal Consiglio comunale. Negli ultimi giorni, però, ha ripreso prepotentemente quota, complice l’intenzione del Comune di tentare la riapertura della discarica di Basse di Stura, sfruttare i 250 mila metri cubi di capienza ancora disponibili e portare nelle casse del Comune una decina di milioni. Apriti cielo: la Provincia non sembra disposta a concedere autorizzazioni, anche se finora non sono arrivate richieste ufficiali; le circoscrizioni sono pronte a mettersi di traverso; e anche a Palazzo di Città l’idea di riaprire l’impianto chiuso quasi due anni fa non convince tutti. Uno dei più recalcitranti è Enzo Lavolta, assessore all’Ambiente. Che, dopo essersi detto perplesso sull’ipotesi di una riapertura, ora rilancia il progetto di fare del sito il più grande parco fotovoltaico d’Italia.
Il progetto si fonda su una convinzione: perché non cogliere l’occasione e fare di Basse di Stura il cuore di un piano di riconversione energetica della città, virando sulle energie rinnovabili e garantendo comunque ai conti del Comune introiti certi? «È chiaro che il futuro di questa città poggia anche sulla sua capacità di farsi motore di processi innovativi in campo energetico, riducendo le emissioni e dando impulso alle fonti rinnovabili», spiega Lavolta. «La riconversione energetica di Basse di Stura è un’opportunità di trovare una destinazione d’uso innovativa per una discarica in via d’esaurimento». E generare anche introiti per Amiat, cioè per la città, che controlla il 100 per cento dell’azienda.
Il progetto ha già preso forma. L’area è immensa: 800 mila metri quadrati. Verrebbe messa a gara tra gli operatori e le aziende interessate, e suddivisa in lotti, di dimensioni molto diverse tra loro così da consentire l’ingresso ai grandi colossi dell’energia così come alle realtà di dimensioni inferiori. Ciascuno avrebbe facoltà di installare pannelli nel lotto di competenza e vendere l’energia prodotta al gestore della rete. E il Comune? Farebbe cassa tramite Amiat, intascando un canone per la cessione - una sorta di affitto - del suolo pubblico. Di quanto? È la parte al momento più difficile da prevedere del progetto, ma, se venissero impiegati tutti gli 800 mila metri quadrati disponibili, secondo i prezzi di mercato Torino potrebbe incassare anche 5 milioni di euro l’anno.
Il mega impianto di Basse di Stura, se sfruttato al massimo delle sue possibilità, potrebbe ospitare impianti per una potenza complessiva di 40 MegaWatt, arrivando a una produzione teorica di 48 milioni di kW/h l’anno. L’elettricità prodotta sarebbe sufficiente a illuminare le case di 40 mila torinesi.
Il limite riguarda i tempi. E i soldi. Riaprire la discarica - soluzione a suo tempo tentata da Sergio Chiamparino e oggi sostenuta dal vicesindaco Dealessandri, non a caso già braccio destro dell’ex sindaco - per il Comune avrebbe un duplice vantaggio: l’autorizzazione dovrebbe essere ottenuta entro fine anno, lo smaltimento di rifiuti inerti o assimilabili potrebbe cominciare già nel 2012 e portare denaro nelle casse di Palazzo Civico in tempi piuttosto brevi. Diverso il caso del parco fotovoltaico. Bisogna individuare le soluzioni tecniche adatte, verificare lo stato dei terreni, avviare le procedure per suddividere i lotti e metterli a gara, ottenere tutte le autorizzazioni necessarie. Infine, installare i pannelli e allacciarli alla rete. Un lavoro di molti mesi, prima dei quali la città non potrebbe incassare soldi, non essendo gli impianti in funzione.
L’idea di offrire a Basse di Stura una prospettiva di riconversione energetica prevarrà sulle esigenze di cassa della città? Difficile dirlo. Di sicuro c’è che la discarica sta già sperimentando varie forme di produzione di energia alternativa. Al suo interno è attivo un sistema di captazione del biogas, prodotto dalla decomposizione dei rifiuti che viene convogliato in una centrale che lo trasforma in energia elettrica. Un sistema che, tuttavia, si esaurirà nel corso del tempo, man mano che la dismissione dell’impianto procederà. Per completare la riconversione serve dell’altro: il parco fotovoltaico, soluzione a suo tempo proposta proprio da Amiat, potrebbe essere una soluzione. «La migliore tra quelle sul tavolo, nonostante le criticità tecniche», assicura Lavolta.