IX Congrezzo nazionale Legambiente: relazione di apertura Vittorio Cogliati Dezza
Uscita dal fossile, rigenerazione delle città, sicurezza: ecco i temi portanti della discussione ambientalista e delle future politiche europee nella relazione del presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza. Sud, Mediterraneo, interdipendenza, bellezza, green economy, disuguaglianze: l’ambientalismo come strumento necessario per affrontare le sfide del mondo contemporaneo
02 December, 2011
“Ridurre i consumi a partire dal sistema dei trasporti, implementare efficienza e fonti rinnovabili nelle sue molteplici forme, investire nelle reti, combattere con decisione il rischio di infiltrazioni mafiose nel settore energetico, pianificare il sistema degli incentivi, sapendo che in base alle previsioni dell’European Photovoltaic Industry Association, l’Italia sarà il primo paese europeo a raggiungere la grid parity già nel 2015. Lavorare sugli stili di vita, partecipare al risanamento del paese anche con i progetti per la sostituzione dei tetti in amianto con quelli fotovoltaici. Ma anche chiudere definitivamente con il nucleare, mettendo in sicurezza i siti esistenti, impedire nuove autorizzazioni per le trivellazioni petrolifere nei nostri mari e l’apertura di nuove mega centrali, bloccando la penetrazione del carbone. Perché l’alternativa, come dimostrato dalla vittoriosa campagna referendaria contro il nucleare, c’è”. Questi gli obiettivi da perseguire per “uscire dall’era fossile”, primo punto portante della discussione ambientalista nel congresso di Bari e delle politiche del futuro per l’Italia e per l’Europa nella relazione di apertura del IX Congresso nazionale di Legambiente del presidente dell’associazione Vittorio Cogliati Dezza, che identifica poi nella ‘rigenerazione delle città’ e nella ‘sicurezza’ le ulteriori assi portanti del dibattito sullo sviluppo futuro.
“Le città rappresentano oggi la quintessenza dello sviluppo sbagliato. Sono le responsabili della maggior quantità di CO2 emessa in atmosfera. Sono il luogo del caos quotidiano, della perdita di identità, dell’inefficienza energetica, della dispersione sociale e della bruttezza insostenibile delle periferie, del consumo di suolo. Ma, proprio per questo devono essere il luogo da cui ripartire. Per procedere su questa strada occorre vincere la battaglia della legalità, contro le morti bianche e il lavoro nero, occorre che si capisca che non sarà la deregulation a salvare l’occupazione, né la pervasiva occupazione di suolo agricolo per costruire appartamenti indipendentemente dalla domanda. Ci aspettiamo nei prossimi anni una vera rivoluzione culturale, che per atro nell’ANCE è già avviata. D’altra parte l’invecchiamento del cemento, la presenza diffusa di edifici veri e propri colabrodo energetici, il caos nella mobilità e la crisi del trasporto pubblico locale, richiedono una forte alleanza tra ambientalisti, lavoratori, imprenditori insieme agli amministratori locali, per bloccare il nefasto sistema degli oneri di urbanizzazione, come fonte principale di finanziamento degli enti locali, per investire, anche utilizzando le cornici positive che possono venire dal patto dei sindaci e dall’approvazione di buoni regolamenti edilizi, in riqualificazione energetica e idrica, in sistemi di mobilità su ferro e pubblici, in quartieri a zone 30”.
E poi la sicurezza: “Al di là della percezione mediatica, la mancanza di sicurezza in città è provocata soprattutto dal traffico automobilistico, dall’inquinamento atmosferico, molto più che dalla micro criminalità. Ma il tema della sicurezza è un tema pervasivo in Italia, che va al di là dei confini urbani, riguarda le aree industriali, le bonifiche, la presenza diffusa dell’amianto, gli inquinanti in atmosfera o nell’acqua, la depurazione ed il sistema delle fognature, e la certezza dell’approvvigionamento idrico. E soprattutto riguarda due incredibili emergenze: la sicurezza sismica e quella idrogeologica, per le quali si è finora riusciti solo a intervenire a valle dei disastri, nella più totale incapacità di investire in prevenzione e messa in sicurezza del territorio e delle abitazioni, spendendo miliardi per ricucire le ferite inferte. Solo negli ultimi due anni abbiamo speso più di 800.000 euro al giorno per recuperare i danni di alluvioni e frane. Senza considerare il danno irrecuperabile delle vite, della perdita della casa, degli affetti, della memoria”.
Cogliati Dezza ha quindi proposto al Congresso alcune azioni su cui impegnarci e provare a esprimere tutta la nostra forza perché “da lì pensiamo che nel breve periodo possano passare alcuni segnali forti del cambiamento che vogliamo”: “la rivoluzione energetica, già in atto, deve produrre cambiamenti reali. Chiediamo di chiudere le centrali a olio combustibile e a carbone, le più inquinanti e meno efficienti. Per mettere in sicurezza i territori dal dissesto idrogeologico proseguiamo il nostro lavoro con la Protezione Civile, rilanciamo la collaborazione con l’ANCI, con gli ordini professionali, con gli agricoltori, con i costruttori perché si diffonda una cultura adeguata e si dia il valore necessario ai Piani di bacino e di distretto per prevenire i disastri, ma soprattutto dobbiamo ripartire da quanto le alluvioni di questo mese hanno messo in rilievo: la gente non sa come si deve comportare in caso di emergenza. Sapendo anche che se non c’è un salto di qualità nella battaglia contro il consumo di suolo ogni azione volta a migliorare la sicurezza dei nostri territori è votata al fallimento. Promuoviamo quindi la realizzazione di un servizio civile volontario per la prevenzione, che oltre a realizzare interventi di manutenzione leggera degli alvei, lavori con la popolazione per informarla e per fare esercitazioni su cosa si deve fare in caso di emergenza. Nei prossimi mesi inoltre verranno al pettine, in modo drammatico, i nodi creati dai tagli alle Regioni sul trasporto locale. Non è più il momento di limitarsi a denunciare il misfatto. Dobbiamo lavorare per porre all’attenzione generale il dramma dei pendolari dalla cui soluzione dipende non solo il miglioramento della loro vita ma il miglioramento di tutto il sistema trasportistico periurbano e quindi la qualità della vita di tutti i cittadini”.
Infine il presidente di Legambiente ha proposto di approvare una mozione che impegni l’associazione a costruire una grande campagna nazionale per il diritto di voto alle amministrative agli stranieri appoggiando il disegno di legge per il riconoscimento del diritto di elettorato attivo e passivo dei cittadini di stati esteri non comunitari nelle elezioni comunali e circoscrizionali residenti da più di cinque anni presentata dai senatori ambientalisti Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.
Il tema dell’interdipendenza e delle disuguaglianze torna più volte nella relazione: “Oggi non è più possibile essere soggetto attivo nel territorio se non capiamo e ci rapportiamo alla nuova dimensione dell’interdipendenza. Riconoscere che la doppia identità è una ricchezza in più, per gli immigrati e per noi, è già una grande acquisizione, ma non basta. Come non basta l’esercizio costante della solidarietà. C’è bisogno di costruire un’idea diversa di cittadinanza moderna e accogliente, basata sull’interdipendenza, aperta ai contributi di lingue, culture e religioni diverse. Con la stessa logica ambientalista dobbiamo affrontare l’altro grande tema delle disuguaglianze, la cui crescita esponenziale, secondo quanto sostengono autorevoli economisti, è la causa scatenante della crisi. Credo che nessun Paese sia in grado di sostenere lo sforzo per superare la crisi se non ritrova profonde ed evidenti ragioni di coesione sociale, radicate motivazioni unitarie che sorreggano un progetto di paese condiviso”.
E se l’ambientalismo è lo strumento necessario per affrontare le sfide del mondo contemporaneo, una delle partite principali si gioca nel campo dell’economia: “Oggi l’ambientalismo si trova a vivere un’occasione unica perché un’economia che faccia bene al clima, che ha bisogno di più equità sociale per non rimanere vulnerabile prigioniera del capitale finanziario, della sua volatilità e voracità è un’economia che ha nella green economy il traino innovativo Non è un caso se nel pieno della crisi, nel 2009-2010 gli investimenti privati in imprese e tecnologie verdi a livello globale sono cresciuti del 35%, pari a 220 mld di $ annui, e in Italia (indagine Green Italy, per Symbola e Unioncamere), tra le imprese della green economy la percentuale di quelle che faranno assunzioni è del 32% contro il 20% delle altre imprese, e gli occupati stabili (non stagionali) in questo settore sono il 29% contro il 19% degli altri settori. Un’economia investita da un dinamismo sconosciuto ai settori tradizionali perché profondamente innestata sui territori e sulle comunità. Ma la green economy deve essere accompagnata da un vero e proprio green new deal, per equilibrare, nel ruolo di indirizzo della politica pubblica, il nuovo welfare, capace di rispondere alle esigenze delle giovani generazioni, con lo sviluppo di nuova occupazione e di nuovi stili di vita. Un green new deal che suoni come una grande motivazione sociale ad uno sforzo collettivo per rigenerare il Paese”.
Molto spazio nella riflessione è stato dedicato un concetto cardine caratteristico del nostro Paese: la bellezza. “L’Italia deve tornare a produrre bellezza, la bellezza è sempre stato il tratto dominante della nostra storia. La bellezza è speranza, la bellezza ti impedisce di assuefarti agli scempi, è il filo che tiene insieme il passato e il futuro. E’ sempre in evoluzione, va costruita e ricostruita. Qui sta la vocazione più inossidabile del nostro paese, qui sta l’ostacolo da superare, perché questo paese da decenni non produce più bellezza, se non in modo occasionale e sporadico, il consumo di suolo e la marea montante dell’indifferenza e della chiusura nella ristretta cerchia della propria vita, interrotta solo da qualche atto di generosa solidarietà per le vittime ricorrenti dei disastri “naturali”, sono i simboli di questo declino antropologico. Spetta anche a noi rilanciare la bellezza dei gesti, la virtù civica, la voglia di partecipazione, mentre la bellezza delle cose è testardamente rimasta in questi anni la carta vincente anche dell’economia che ha saputo rispondere alla crisi del Paese: il made in Italy, il design, le produzioni culturali coprono ormai il 4,8% del valore aggiunto prodotto in Italia, per 1, 4 milioni di occupati. E la bellezza dei luoghi. La bellezza del paesaggio e delle città non è, e per noi non potrà mai essere, la difesa esclusiva dell’esistente, non possiamo accettare un’idea di conservazione come rigida ingessatura dell’esistente, né ci possiamo accontentare di fermare la bellezza in zone dedicate, vere e proprie riserve indiane, che siano i centri storici o le Tre Cime di Lavaredo. La bellezza o è pervasiva o non è. La bellezza ci deve accompagnare in tutti i luoghi in tutte le attività della nostra giornata, deve essere il motivo per cui si blocca il consumo di suolo (insieme alla ragioni ecologiche), deve essere il valore aggiunto alle trasformazioni del territorio. La bellezza ci deve accompagnare nella nostra vita quotidiana, negli spazi che percorriamo tutti i giorni. Per questo le nostre battaglie future dovranno essere non solo perché si blocchi ogni scempio nei territori, perché si facciano opere belle, ma soprattutto perché la bellezza abiti in modo permanente nelle nostre periferie.