Treni notturni. Lettera di uno dei tre ferrovieri ex Wagon Lits che il 21 dicembre aveva occupato il grattacielo di Intesa San Paolo a Torino
Antonio Previti, licenziato l’11 dicembre in seguito alla soppressione dei treni notturni, racconta la sua esperienza di lotta per difendere il proprio posto di lavoro e per vedere ripristinato un servizio di mobilità che permetteva di viaggiare tra il Nord e il Sud Italia a prezzi contenuti. L’occupazione del grattacielo in costruzione, le dirette radio e tv e infine l’arrivo del sindaco Piero Fassino che convince i tre ferrovieri a scendere
07 January, 2012
Un’emozione indescrivibile
Ciao sono Antonio, uno dei tre lavoratori della Servirail che il 21 dicembre 2011 è salito sul grattacielo in costruzione di Intesa San Paolo a Torino. Volevo raccontare questa mia esperienza, per certi versi fantastica ma per certi altri molto dura. Io e i miei tre colleghi Matteo, Nicola e Arrigo abbiamo deciso di compiere questo gesto perché la nostra situazione lavorativa si stava pian piano assopendo. Era già da un paio di giorni che pensavamo a come, quando, cosa fare ed eravamo disposti a tutto. Mercoledì pomeriggio ci siamo ritrovati per sistemare le ultime cose: controllare di avere tutto il materiale, comprare le cose da mangiare e anche qualcosa da bere. La sera verso le 6:00 circa siamo partiti verso l’edificio. La mia avventura non è cominciata benissimo. Andando verso il grattacielo ho cominciato a ricevere telefonate in cui tutti mi dicevano che stavo facendo una cazzata. In ogni telefonata si ripetevano sempre frasi del tipo: “Lascia stare, tu che sei giovane non fare queste cavolate. Fai andare avanti gli anziani che parlano parlano e alla fine non fanno niente di pratico”. Oppure: ”Siamo preoccupati, abbiamo sentito tuo padre e tua madre e non vogliono che tu ci vada”. In tutta questa situazione continuavo a innervosirmi, perché vedevo che come al solito nessuno mi appoggiava e tutti avevano sempre un idea migliore della mia; inoltre per colpa di questo comportamento avevo paura di rovinare la nostra avventura perché sapevamo di avere i telefoni controllati. Nel frattempo comunque arrivammo al grattacielo. Dopo quel momento di rabbia è salito lo sconforto, a quel punto mi sono allontanato un po’ dal gruppo e tutti quei sentimenti di rabbia sconforto e tristezza sono sfociati in un pianto. I miei compagni di avventura vedendo e capendo la situazione mi hanno aiutato a superare questa fase facendomi ragionare e dicendomi che se volevo rinunciare non sarebbe stata una sconfitta o una resa. Io invece dentro di me sapevo che se avessi rinunciato non sarei più riuscito a guardarli in faccia. Mentre i miei compagni mi dicevano questa cosa stavamo passeggiando attorno al grattacielo e ci accorgemmo che all’entrata del cantiere non c’erano le guardie. Questo ci spiazzò. Pensavo che dopo tutto quello che era successo al telefono ci stessero aspettando dentro il cantiere. Dopo un po’ di discussioni, qualcuno dei ragazzi che ci avevano dato supporto decise di rinunciare. Noi invece no. Per evitare di farci male decidemmo di passare dall’entrata e di non scavalcare il muro come avevamo progettato. A quel punto Matteo al grido “Chi mi ama mi segua” partì verso l’entrata; noi lo seguimmo e, dopo aver salutato le telecamere, passammo dalla sbarra: eravamo entrati. Solo Arrigo, il quarto compagno d’avventura, era rimasto fuori a fare presidio, come d’accordo. Una volta dentro il cantiere, non avendo idea di come fare per arrivare alla meta, ci mettemmo a correre verso la scala che vedevamo in lontananza, ma la prima strada era sbarrata dai mezzi degli operai. Allora tornammo indietro e provammo a raggiungerla dall’altra parte. Anche questo tentativo si rivelò un fallimento, in quanto non avevamo calcolato che il progetto prevedeva anche un parcheggio sotterraneo e quindi tra noi e la scala c’era un dislivello di almeno trenta metri. Alla fine trovammo la scala per scendere e carichi come asini siamo andati di corsa verso la scala giusta per arrivare al piano del grattacielo che avevamo scelto di occupare. In quel momento era talmente alto il livello di adrenalina che non sentivo la fatica. Una sensazione che solo in poche altre circostanze avevo provato. Dato che eravamo scesi ai piani inferiori per raggiungere la scala, avevamo perso un po’ il senso dell’orientamento. Comunque a questo punto cominciava la salita (la parte più dura): io con in mano una confezione d’acqua da 12 bottigliette e la busta con le scatolette dentro, Matteo con sacchi a pelo e altra roba tra le mani e Nicola con la tenda. Finalmente dopo qualche peripezia arrivammo all’obbiettivo, il quarto piano. A quel punto nonostante la fatica (avevo le braccia a pezzi) abbiamo attaccato lo striscione e abbiamo cominciato a montare la tenda. Mentre facevamo queste cose avvertivo delle strane sensazioni, un misto tra “ci siamo riusciti” e “adesso che facciamo???”.Una cosa strana, che un po’ mi preoccupava, anche perché leggevo le stesse cose nelle facce degli altri. Poco dopo sono partite le prime telefonate con i colleghi, i primi giornali, le prime televisioni, le prime radio ecc. Lì ho cominciato a capire che avevamo colpito il bersaglio giusto. Dopo quasi mezzoretta che eravamo saliti è arrivato il capo cantiere con altre persone al seguito, che dopo averci ascoltato e aver capito i motivi per i quali eravamo saliti fin là sopra, tutto sommato ci ha dato un appoggio. Addirittura ci proposero di scendere da lì e andare a dormire in mensa al caldo. Noi però non accettammo, perché la nostra azione non era uno scherzo. La prima notte sul grattacielo è stata abbastanza dura. Eravamo al freddo, -6°/-7° , e non siamo riuscita riposare; abbiamo dormito forse 2 ore a testa con la sorveglianza che vigilava. Ma nonostante ciò eravamo sempre più convinti, anche grazie ai colleghi che da sotto e telefonicamente ci davano supporto. Alle prime luci dell’alba di giovedì è cominciata la giornata più dura e secondo me decisiva. Non so quante interviste alla radio ho fatto ma garantisco che erano tante; tutti ci davano solidarietà e appoggio. Ora dopo ora vedevamo la situazione cambiare e la cosa ci dava forza e coraggio. Fin quando non sono salite due persone che ci hanno detto: ”Noi non vi possiamo più aiutare. O scendete oppure ognuno si assume le proprie responsabilità”. Quello è stato un momento molto intenso. Provavo talmente tante emozioni che non riuscivo più a ragionare. Ma alla fine, dopo aver parlato tra di noi e spinti dai colleghi che da sotto urlavano ”Noi da qui non ce ne andiamo”, “Ragazzi non mollate”, “Siete un esempi per tutti noi” allora siamo rimasti su, anche perché pensavamo che quelle fossero ore decisive. Poco dopo è arrivato il comunicato di Trenitalia che ci voleva ricollocare. Ovviamente una cosa tutta da verificare. In quel momento mi sono reso conto di quanto certa gente giochi con le persone. C’era giunta voce che al tavolo delle trattative di Roma a qualcuno (o meglio qualche sindacato) non andasse bene una ricollocazione dei lavoratori licenziati in Trenitalia e che le trattative procedevano a rilento per questo motivo. Intanto andava in onda la trasmissione di Santoro che era quasi interamente dedicata a noi. Dal grattacielo grazie ad un cellulare ne abbiamo seguito un pezzo e abbiamo visto che le proteste che stavamo facendo in tutta Italia stavamo alzando un bel polverone: in quei momenti ho sentito davvero l’unione tra noi lavoratori ed ero contento di farne parte attivamente. Mentre guardavo la trasmissione pensavo: “Ma è mai possibile che la gente per farsi sentire debba arrivare a tanto?” Arrivava la notte e noi eravamo sempre più infreddoliti. Era ormai da due giorni che non facevamo un pasto caldo, ma fortunatamente quella sera ci fecero arrivare una resistenza da campeggio per scaldare il cibo, così che dopo due giorni abbiamo mangiato un pasto caldo. Anche se era solo riso in busta precotto per noi era oro. Per farci arrivare la resistenza i colleghi che erano fuori dal cantiere l’hanno dovuta nascondere tra le coperte, perché il personale di guardia aveva ricevuto l’ordine di non farci arrivare più niente. Quella sera grazie al riso e al the caldo siamo riusciti a riposare e a non patire il freddo come la notte prima. Non dimenticherò mai che per riposare, siccome avevo i piedi gelati, dovetti mettere i guanti per le mani nei piedi. Dopo qualche ora ci svegliammo. Cominciava l’ultima mezza giornata di occupazione. Al mattino grazie a Michele Curto che ci ha seguito e appoggiato per tutti questi giorni siamo riusciti a far salire il sindaco Fassino sul grattacielo. Volevamo parlare con lui perché dopo le ultime esperienze non ci fidavamo più né di Trenitalia né dei Sindacati e volevamo che lui si prendesse l’impegno di seguire direttamente la nostra vicenda e soprattutto che ci facesse da garante. Non dimenticherò mai quella mattina. Eravamo arrivati all’atto finale e io ne facevo parte. La tensione prima di vedere il Sindaco si tagliava con il coltello. Avemmo pure un piccolo diverbio tra di noi, che ovviamente superammo. Comunque finalmente arriva Fassino. Ci chiese di scendere per parlare, ma noi dicemmo che dovesse salire lui perché noi da lì non ci saremmo mossi se non avessimo ricevuto qualche garanzia. Fortunatamente il sindaco accettò questa proposta e salì fino al secondo piano; noi gli andammo incontro. Mi ricordo che ci disse che avrebbe seguito personalmente e direttamente la nostra situazione e che avrebbe vigilato. Queste sue parole, unite ad altri fatti, ci convinsero e così salimmo a ritirare la nostra roba. Aiutati da tutti gli operai, raccogliemmo tenda, coperte e pacchi vari e scendemmo. Mi ricordo che mentre scendevamo tutti i lavoratori del cantiere ci diedero la loro solidarietà. Una volta arrivati dietro i cancelli del grattacielo salutammo tutti i capi ed uscimmo . E’ stato bellissimo vedere i colleghi che commossi ci abbracciavano. Ho provato emozioni indescrivibili che non avevo mai provato prima. Alla fine di tutta questa storia ho capito, o meglio mi si è rafforzata la convinzione, che per ottenere qualcosa bisogna combattere e sacrificarsi. E che soprattutto una battaglia fatta in maniera costruttiva ti fa scontrare con emozioni particolari. In quei momenti sei solo con te stesso e riesci a vedere e provare delle cose che gli altri non vedono. Soprattutto quando, come nel mio caso, riesci assieme ad altri a ravvivare una situazione ormai quasi sopita, provi una sensazione di felicità immensa, che unita alle altre emozioni diventa una cosa fantastica ed indescrivibile. Dopo aver compiuto quest’azione mi sento davvero benissimo e spero che anche altre persone e soprattutto ragazzi giovani come me lottino per cercare di migliorare un po’ la loro vita e questo stato in cui viviamo.
Antonio Previti ex lavoratore Wagons lits