La formula della soft economy per uno sviluppo a misura di crisi
Difesa del territorio, tecnologie avanzate, rinnovabili: gli ingredienti per battere la depressione. C´è un pezzo di Paese che punta sulla qualità e sulla penetrazione dei suoi prodotti di eccellenza all´estero - da La Repubblica del 13.03.2009
13 March, 2009
Antonio Cianciullo
Investimenti in tecnologie avanzate, cura delle radici territoriali, difesa del territorio e della coesione sociale. È questa la formula dello sviluppo a misura di crisi. Lo sviluppo che guarda avanti e si scrolla di dosso i vecchi miti della crescita selvaggia, il culto dell´ipertrofia che ha squilibrato il sistema economico. La proposta viene da Ermete Realacci, responsabile ambiente del Pd: «C´è un pezzo d´Italia che corre più veloce della crisi e non è quello che si rifugia dietro l´idea di nuovi dazi o il ritorno alla cementificazione del paese. È l´Italia che punta sulla qualità dei suoi prodotti d´eccellenza, che continua a sostenerli e a migliorarli facendone uno strumento di penetrazione del made in Italy all´estero».
La formula di questa soft economy balza agli occhi esaminando, all´interno dei settori vincenti, le quantità di merci in gioco e i fatturati. Il numero di scarpe esportate si è dimezzato ma il fatturato è aumentato. Produciamo il 40 per cento in meno di vino rispetto agli anni Ottanta ma il valore dell´export è quadruplicato superando i tre miliardi di euro e siamo diventati leader mondiali nel settore.
Insomma chi ha puntato sulla quantità si trova oggi molto spesso con i bilanci in rosso, incapace di sostenere la pressione commerciale che viene da paesi in cui il costo del lavoro è strutturalmente più basso. Chi ha puntato sulla qualità ha le carte in regola per stare in campo. Le piccole imprese mobiliere di Ponsacco, Lari e Cascina (in provincia di Pisa), specializzate nelle forniture per gli yacht di lusso esportano verso Est buona parte della produzione. Le concerie di Santa Croce sull´Arno, che trent´anni fa figuravano tra i grandi inquinatori, hanno ammodernato gli impianti e vendono la qualità italiana in Cina, tanto che il primo ministro di Pechino, quando è arrivato in Italia, ha voluto visitarle per capire la ragioni del successo.
La foto di gruppo di quelli che ce la fanno, spesso citata da Realacci, è stata scattata alle Olimpiadi di Pechino: i veicoli elettrici venivano da un´azienda delle Marche, molti dei fucili che hanno vinto medaglie erano bresciani, le pavimentazioni degli impianti sportivi erano piemontesi, gli scafi usati nel canottaggio toscani.
Ed è un modello, come sottolinea il direttore di Greenpeace Giuseppe Onufrio, che permetterebbe al sistema Italia di rientrare nella competizione globale, ormai ufficialmente aperta dalla presidenza Obama, nel campo delle fonti rinnovabili e dell´efficienza energetica. Lo smantellamento della promettente industria nazionale del sole e del vento, determinato negli anni Novanta dall´incapacità politica di creare le condizioni base per lo sviluppo di aziende che avevano tutti i numeri per giocare la partita, può infatti essere almeno in parte compensato.
«Nel settore della tecnologia fotovoltaica pura abbiamo accumulato un ritardo consistente», ricorda Onufrio. «Eppure abbiamo la possibilità di entrare nello sviluppo delle rinnovabili non solo come compratori ma anche come fornitori di tecnologie d´avanguardia. Ad esempio nel fotovoltaico a concentrazione si può utilizzare il grande know how delle aziende italiane nel campo dell´ottica, della meccanica di precisione e dei sistemi di puntamento per produrre oggetti in cui solo il 10 per cento del valore è rappresentato dalle celle fotovoltaiche e il 90 per cento sta in ciò che serve a concentrare la luce solare e muovere il pannello in funzione della posizione del sole. Dal Friuli alla Sicilia, abbiamo centri di eccellenza in grado di produrre queste tecnologie».