Un Green New Deal per rigenerare lavoro e salute
da Il Manifesto del 2.12.2012
04 December, 2012
di Gianfranco Bettin
Non si poteva non restare senza fiato ascoltando ieri, su Rai Tre ad Ambiente Italia, il racconto del pediatra di Taranto costretto a diagnosticare a un neonato un tumore alla prostata (!) e altri tumori a bambini di pochi giorni. Chiari, crudeli segni di un danno trasmesso geneticamente perché la sua causa è ben radicata in un luogo, da tempo. Era lo stesso pediatra che per primo aveva individuato la presenza di diossina nel latte materno. Qualunque cosa si pensi del decreto Monti che riapre l'Ilva e fa, contestualmente, partire l'operazione che dovrebbe renderla più compatibile con l'ambiente, è inadeguata di fronte a questi racconti. Il decreto, per disperazione o freddo calcolo, si muove su un crinale rischioso, compiendo una pesante forzatura sul provvedimento della Procura che aveva bloccato la produzione.
Una forzatura che, dal governo, si vorrebbe compensata da una tempistica della «riconversione» vigilata da un garante nominato dal presidente della Repubblica e al prezzo, se non rispettata, nientemeno che dell'esproprio (in base, oltre che all'art.41, all'art.43 della Costituzione: «A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale»; articoli che sarebbe bene tener presenti anche in altri casi. Se il decreto reggerà al vaglio della legittimità costituzionale - cosa di cui si può anche dubitare - resterà da misurare l'affidabilità dei soggetti in campo, a cominciare dai Riva, che finora è stata ben al di sotto del minimo necessario.
In realtà, nella lunga vicenda dell'Ilva, come in altre simili, si manifestano i caratteri e lo stesso fallimento storico della politica industriale italiana e i ritardi, le ambiguità, i limiti della nostra politica ambientale. Per decenni ambiente e salute non sono stati altro che variabili dipendenti della produzione e soprattutto del profitto. All'origine ci sono certo ritardi culturali tipici non solo della classe politica e imprenditoriale e che hanno riguardato anche il mondo sindacale e l'opinione pubblica, la società stessa, specie nelle varie «città-fabbriche». Ma da un certo punto in poi non è più stato naturale o inevitabile vivere «sotto il vulcano».
L'ultima indagine della procura di Taranto mette bene in luce le complicità e contiguità con l'Ilva del sistema locale di potere, gerarchie ecclesiastiche e certa informazione comprese, i maneggi per sminuire le critiche e le denuncie ambientaliste. Per decenni la Regione, la massima autorità sanitaria locale, ha latitato, fino ai primi atti varati soltanto con la presidenza Vendola, come ha latitato il governo, fino ai recentissimi provvedimenti. Anche questi, tuttavia, non basteranno, se la politica nazionale, se il governo e il parlamento, non assumeranno l'esigenza di varare un piano straordinario per riconvertire le industrie inquinanti e risanare i territori avvelenati difendendo così per davvero il lavoro e la salute. Un piano che potrebbe essere la base di una sorta di Green New Deal, che rigeneri quegli ambienti e con essi la vita ora insidiata perfino nel momento in cui viene alla luce e ancor prima.