“Euro3 Diesel? Inquinano come 40 Euro 3 a benzina”. Il dibattito visto da Bruxelles
Sostituire i vecchi diesel con quelli di ultima generazione è solo un modo per far girare l’industria dell’auto? L’abbiamo chiesto a Marco Gasparinetti, della Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea, che ci spiega perché i blocchi dei diesel Euro 3 sono comunque una buona idea
31 January, 2013
Bloccarli, difenderli, o rottamarli per un’auto di categoria superiore? Continua il dibattito attorno ai diesel Euro 3. Nemico pubblico numero uno per alcuni e capro espiatorio sacrificato all’industria dell’auto per altri, l’efficacia degli Euro standard fa discutere gli stessi ambientalisti. Dopo l’intervista al giornalista Enrico De Vita, che sosteneva, assieme ad altri lettori, la totale inutilità del rinnovo del parco auto, abbiamo chiesto un parere anche a Marco Gasparinetti, della Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea.
Bloccare i diesel Euro 3 serve a qualcosa o no? “Analizziamo le conseguenze: una persona in possesso di un diesel Euro 3 che non può più utilizzarlo in città ha davanti a sè tre alternative: sostituire il veicolo con un altro diesel di categoria superiore - Euro 5 visto che gli Euro 4 non possono più essere immessi in commercio; sostituirlo con un veicolo a benzina; abbandonare l’auto in favore di mezzi pubblici e bicicletta. Direi che in termini di emissioni di particolato ci si guadagna in tutti e tre i casi: un diesel Euro 5 inquina mediamente venti volte meno di un diesel Euro 3. Un’auto a benzina Euro 3 inquina quaranta volte meno del suo equivalente diesel. Nel terzo caso ovviamente si ha il guadagno maggiore, sia dal punto di vista ambientale che economico.
Quindi non è vero che non c’è differenza tra le categorie Euro. “La differenza c’è, eccome, se parliamo di micro polveri. Certamente bisogna distinguere il tipo di inquinante – le emissioni di CO2 sono effettivamente più basse nei diesel, ma quelle di black carbon sono altrettanto nocive per il cambiamento climatico - e tener conto del fatto che il grande salto è stato possibile solo con gli Euro 5. In termini di Pm10 la differenza tra Euro 3 ed Euro 4 è molto ridotta, ma la situazione è cambiata notevolmente con gli Euro 5: i filtri anti particolato di serie con cui vengono prodotti sono in grado di ottenere una riduzione delle polveri del 95%”.
Nessun complotto internazionale dell’OMS per demonizzare i diesel? “Ma quale complotto, cerchiamo di essere seri”.
Un altro elemento ricorrente nella polemica sui diesel è quello del contributo apportato all’inquinamento atmosferico. Ci sono versioni molto contrastanti, sia sull’incidenza del traffico veicolare sullo smog complessivo, sia sull’apporto dei gas di scarico rispetto alla risospensione delle polveri. Per alcuni gli scarichi prodotti dalle auto private sarebbero responsabili di appena il 9% dell'inquinamento causato dal traffico, che a sua volta rappresenterebbe il 26% dell'inquinamento atmosferico complessivo. Cosa risponde? “Le percentuali variano da un contesto all’altro, quindi parliamo di Torino, dove è nato il caso: a Torino il traffico veicolare incide per l’88% sul totale. Il contributo del riscaldamento è molto scarso, e questo è un dato virtuoso, frutto di una scelta coraggiosa come quella di investire sul teleriscaldamento. La risospensione delle polveri causata dall’abrasione delle ruote ha un ruolo importante, il 46% delle emissioni da traffico (a Torino: il dato medio europeo è più basso) ma non dimentichiamo che è dal tubo di scappamento che arrivano gli inquinanti più dannosi per la salute, e cioè il Pm 2.5, che è la causa principale delle morti premature dovute allo smog”.
Ma allora perché le amministrazioni continuano a ragionare in termini di Pm10? “E’ un ritardo della normativa europea: il rispetto dei limiti del Pm 2.5 diventerà cogente solo nel 2015, e le amministrazioni locali dovranno adeguarsi. Il Pm 2.5 non sarà l’unico, ma diventerà il parametro più importante per valutare la qualità dell’aria di una città. E non c’è corrispondenza esatta fra Pm10 e Pm2.5. La buona notizia è che le città italiane potrebbero non essere messe così male da questo punto di vista”.
Per quanto le nuove auto siano sempre meno inquinanti, in molti si chiedono se il costo ambientale che deriva dall’intero processo di rottamazione e produzione di nuove auto sia effettivamente sostenibile… “Certamente, se vogliamo ampliare il discorso bisogna rendersi conto che l’auto privata e i combustibili fossili non sono più sostenibili sul lungo periodo. Dovremo andare per forza verso la decarbonizzazione e un cambiamento di mentalità, che già oggi, almeno nelle città con una rete di trasporti diffusa, è possibile: va ripensato il modo di muoversi nelle città. Se negli anni Cinquanta l’auto poteva essere un simbolo di libertà, la guida stop&go in mezzo a un traffico di oggi dovrebbe bastare a far capire che ormai il sistema va rivisto. Bisognerà puntare sempre di più sul trasporto pubblico, sulle alternative ecologiche al carburante tradizionale. Però, anche qui, bisogna fare attenzione e trovare le soluzioni più adatte al contesto. Prendiamo l’auto elettrica per esempio: in Francia l’obiettivo è arrivare a 2 milioni di auto elettriche circolanti entro il 2020. Ma la Francia ha un parco nucleare con centrali diffuse in modo capillare in tutto il Paese, che garantiscono l’approvvigionamento di energia...L’Italia no, e il problema di come alimentare queste auto si porrebbe comunque. Questo per dire che la Commissione Europea fornisce delle linee guida, ma poi sono i singoli Paesi che devono fare la differenza, scegliendo in che direzione investire. Non solo i singoli Paesi; anche i singoli cittadini: con la crisi economica e i costi raggiunti dai carburanti, ha ancora senso lavorare tutto il giorno per mantenere l’auto che usiamo per andare al lavoro?”.
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