«La mia Torino tradita da architetti arroganti» - da La Stampa del 24.11.2004
Augusto Cagnardi è l’ideatore delle Spine che stanno cambiando il volto della città ed è indignato: «Purtroppo su questi nuovi spazi hanno spostato di peso i casermoni della periferia. Che tristezza»
24 November, 2004
IL PADRE DEL PIANO REGOLATORE GIUDICA LE TRASFORMAZIONI NEGLI occhiali alla Harold Lloyd di Augusto Cagnardi si specchiano i casermoni azzurrini bulimicamente cresciuti dietro l’elegante scheletro della Materferro. E lui, il padre del piano regolatore, che si ritrova dopo 10 anni a calpestare ciò che fino al 1993 ha soltanto disegnato, non riesce ad aprire bocca. Poi esplode: «Ma è possibile che questi signori non abbiano capito che le città vivono di qualità e che la qualità fa premio?». E poi: «Guardi qui (tamburellando sulla lamiera grigia che incornicia l’edificio, ndr) questa è lamieraccia, ed è già ondulata adesso che le gru sono ancora al lavoro. E poi non parliamo di estetica per favore. A questi imprenditori, a questi architetti manca il senso civico...». Augusto Cagnardi è davvero indignato. Osserva il viale della Spina la «sua creatura» che ha raddoppiato il respiro a un corso Mediterraneo sorvegliato da pali-scultura e inveisce: «No, ma adesso telefono al sindaco. Ma chi ha pensato di mettere sopra i pali un cappellino? Ma se si disegna una cosa in un modo come si fa a disattendere un progetto?». Brutta giornata per uno degli urbanisti più famosi d’Italia. A Shangai gli fanno ponti d’oro perchè lui li faccia, sul serio, a loro, ed ogni volta che torna a Torino, la città per cui ha disegnato l’anima con cui affrontare il nuovo millennio, si arrabbia. «Il problema è che voglio bene a questo posto - sospira - l’architettura di Torino è di un’eleganza innata. Ecco perchè mi arrabbio se vedo che sugli spazi nuovi ricavati grazie al piano regolatore hanno spostato di peso i casermoni della periferia. Che tristezza». Architetto, pensa davvero che con una mano l’amministrazione stia lavorando a favore del Bello, abbattendo per esempio le torri di via Artom e con l’altra stia permettendo uno sfacelo urbanistico sulla Spina? «Lo sfacelo è qui, sotto gli occhi di tutti. Ma gli amministratori hanno poca scelta. Il vero problema sta nella presunzione e nell’arroganza degli architetti di oggi. Difetti avallati prima da professori improvvisati che non hanno mai preso una matita in mano e poi da imprenditori frettolosi che hanno soltanto un obiettivo: guadagnare». Eppure loro, i costruttori, sostengono che tutti sarebbero capaci di costruire bene se si potesse vendere a 10 milioni al metro quadro. Ma a 4 la coperta del Bello risulta un po’ corta. «Ecco, queste sono balle. O bufale, scriva come vuole. Negli Anni Venti ci hanno insegnato come si può costruire bene senza spendere cifre. E si potrebbe continuare adesso. Come mai se vai a Barcellona non trovi una sola costruzione di simile bruttezza? Là il livello medio è molto più alto. Ci sarà un motivo... Il problema, come le ho detto, sta negli architetti, adesso poi che la commissione igienico edilizia non decide più in merito alla bellezza degli edifici nessuno più pensa di “decorare” la città». Ma non c’era un supervisore estetico della Spina? «Sì, lo ricordo bene. Era Jean Pier Buffi. L’ho anche incontrato più volte, è una persona di valore. Per un po’ ci lavorò su. Poi deve essere sparito. Credo che gli operatori abbiano avuto la meglio. Al di là delle interpretazioni, mi pare che si sia davvero defilato». La città però si è dotata di un consulente per il Bello, lo storico dell’architettura Carlo Olmo. Che cosa potrà fare? (Fissa malinconico le case-alveare nate a ridosso di via Livorno, ndr): «Allo stato attuale delle cose c’è poco da fare. Torino ha perso un’occasione irripetibile...». Vuole dire che la parola del suo piano regolatore è stata tradita nel passaggio dalla teoria della tavola a colori alla pratica del caseggiato fresco di tinteggiatura? «Diciamo che il piano non è stato curato a dovere. Sulla Spina che doveva diventare un luogo dell’architettura qualificata sono spuntati edifici a metà fra l’ufficio Anni Sessanta e le periferie cresciute per dare un tetto agli immigrati». Torino però ha 300 cantieri in questo momento. Come giudica tanto fervore? Nel modo più positivo possibile. Significa che la città ha voglia di cambiare pelle, di rinnovarsi. Ben vengano le ruspe, sono sempre un segnale positivo per le città». (Cagnardi nel frattempo viene accompagnato davanti all’opera più discussa della città, il parcheggio di piazzale Valdo Fusi, ndr). Anche quando costruiscono queste cose, architetto? «Accidenti. Ma questa è roba da mettersi le mani nei capelli. Ma come hanno fatto ad approvare un progetto che oltraggia l’architettura di Castellamonte, Mollino, Gabetti e Isola con una maxi-baita rivestita in perlinato? Poi cosa vuole dire questo invaso? E questa distesa infinita di griglie? La buona architettura deve essere silenziosa, umile, mai urlata». Che farebbe se fosse nei panni del sindaco adesso? «Piangerei».