LETTI PER VOI - Sostenere lo sviluppo salvando il pianeta
Intervento di Joseph E. Stiglitz su La Repubblica del 15.06.2005
23 June, 2005
Il primo ministro inglese Tony Blair ha promesso che il meeting del G-8, fissato per il 6-8 luglio a Gleneagles in Scozia e che egli presidierà, si focalizzerà su due dei più importanti e dei più immutabili problemi che affliggono il mondo: la povertà del Terzo Mondo e il riscaldamento globale.
Per molto tempo queste due preoccupazioni sono parse essere in contraddizione tra loro: se da un lato i paesi industrializzati sono responsabili del considerevole aumento di gas serra verificatosi negli ultimi 200 anni, dall´altro una crescita più rapida nel mondo in via di sviluppo significherebbe che il loro contributo alle emissioni complessive lo aumenterebbe. Com´è comprensibile, il mondo in via di sviluppo non intende sacrificare la propria crescita per il bene collettivo globale, specialmente nel momento in cui gli Stati Uniti, il Paese più ricco del mondo, non paiono essere assolutamente disposti a sacrificare neppure un po´ del loro lussuoso stile di vita.
Una nuova coalizione composta da un gruppo di Paesi in via di sviluppo della foresta pluviale, alla cui testa vi sono Papua Nuova Guinea e Costa Rica, si è ora fatta avanti con una proposta alquanto innovativa, offrendosi non soltanto di imporre dei limiti alle proprie emissioni di gas serra, ma altresì di mostrare in che modo si potrà ottenere ciò promuovendo al contempo il loro sviluppo.
Avendo preservato i beni ambientali della Terra, i Paesi in via di sviluppo da tempo forniscono un bene collettivo tanto vitale quanto globale. Le loro foreste tropicali sono un enorme luogo di raccolta della biodiversità e le foreste costituiscono importanti pozzi che assorbono il carbonio poiché riducono il livello di CO2 nell´atmosfera.
Alla metà degli anni Novanta ho fatto parte della Commissione Internazionale per i cambiamenti del clima e ho così avuto occasione di esaminare le prove scientifiche riguardanti la gravità delle concentrazioni di gas serra e le loro ripercussioni economiche e sociali. All´epoca vi erano già schiaccianti testimonianze a conferma del grave problema che deve essere assolutamente affrontato e risolto, ma da allora i dati – che per esempio riguardano il rapido scioglimento della calotta glaciale dei poli – hanno ancor più rafforzato tale esigenza.
In effetti circa un quarto di tutte le emissioni di gas serra è dovuto a cambiamenti occorsi nello sfruttamento della terra – in linea di massima deforestazione – un valore comparabile alle emissioni statunitensi prodotte bruciando combustibili fossili (gli Stati Uniti sono il Paese che singolarmente contribuisce più di chiunque altro alle emissioni di gas serra).
Preservando le loro foreste pluviali, i Paesi tropicali hanno offerto un inestimabile aiuto alla Terra, per il quale fino a questo momento non sono stati retribuiti. Ma, specialmente dopo la firma del protocollo di Kyoto, possiamo almeno quantificare in parte l´importanza di questi servizi resi all´ambiente, valutandoli con il criterio del "sequestro di carbonio" (il che significa che se non avessero preservato le loro foreste, il livello di concentrazione dell´anidride carbonica nell´atmosfera sarebbe stato enormemente più elevato).
Il Protocollo di Kyoto ha fatto nascere nuovi mercati per la commercializzazione delle emissioni di anidride carbonica, per esempio l´ETS (European Emissions Trading Scheme), il sistema di scambio delle quote di emissioni di gas serra dell´Unione Europea. Al costo attuale del carbonio, il valore del "sequestro di carbonio" attuato dalle foreste pluviali tropicali verosimilmente è alla pari o supera gli attuali livelli degli aiuti internazionali forniti ai Paesi in via di sviluppo. In effetti, in pratica, sono i poveri ad aiutare i ricchi.
La biodiversità e la stabilità del clima sono beni globali di tutti. Per il mondo nel suo complesso i benefici derivanti dalla conservazione delle foreste superano il valore di sfruttamento delle stesse per un Paese come la Papua Nuova Guinea (PNG), il cui governo vorrebbe fare la cosa giusta, e preservare quindi il capitale naturale per le prossime generazioni. Ma le autorità al momento credono di non avere altra scelta.
A Kyoto, per molteplici ragioni, è stato commesso un errore: laddove i Paesi interessati possono essere ricompensati per aver piantato delle foreste, non possono essere ricompensati per aver evitato la deforestazione. Paesi come la Papua Nuova Guinea dunque guadagnerebbero doppiamente qualora tagliassero i loro antichi alberi da legna e se poi li ripiantassero. Ma tutto ciò non ha alcun senso da un punto di vista economico o sociale. Questi Paesi dovrebbero piuttosto ricevere degli incentivi per salvaguardare le loro foreste. (Come sempre accade, ci sono alcune questioni tecniche da risolvere per ciò che attiene il monitoraggio e il rilevamento, ma con le moderne tecnologie dovrebbe essere possibile risolvere entrambi i problemi). Quanto meno, i mercati come quello dell´ETS dovrebbero accreditare le riduzioni di emissioni risultanti dall´aver limitato la deforestazione.
Senza un simile programma, sfortunatamente, i Paesi in via di sviluppo non hanno né i mezzi né gli incentivi per accollarsi la preservazione delle foreste. Vi sono circa 2,7 miliardi di persone, in 60 Paesi in via di sviluppo, che vivono in zone della Terra coperte dalle foreste tropicali. Per loro abbattere le foreste di alberi da legna – anche quando, come al momento, ricevono poi soltanto il 5 per cento del prezzo finale di New York, per esempio – è l´unico modo per la gente di far quadrare i conti.
Alcuni hanno suggerito di attendere fino al 2012 per affrontare questa questione, anno in cui si suppone che debba entrare in vigore una revisione del Protocollo. Ma possiamo davvero permetterci di attendere? Con la deforestazione che procede agli attuali ritmi, i contributi alle concentrazioni di gas serra di Brasile e Indonesia messi insieme controbilancerebbero quasi l´80 per cento delle riduzioni di emissioni guadagnate con l´applicazione del Protocollo di Kyoto.
Ciò che della nuova iniziativa riguardante le foreste pluviali colpisce in maniera particolare è il fatto che proviene dagli stessi Paesi in via di sviluppo e che essa è indice della loro creatività e del loro impegno sociale. Per la prima volta i Paesi in via di sviluppo paiono essere intenzionati a sottoscrivere quel genere di impegni che Europa, Giappone e altri Paesi industrializzati avanzati (con l´eccezione degli Stati Uniti) hanno sottoscritto allo scopo di evitare quello che di fatto potrebbe essere un disastro globale.
Il Costa Rica, per esempio, ha già dimostrato che un sistema di retribuzione per la fornitura di servizi ambientali (come la preservazione delle foreste naturali) può funzionare in modo tale da preservare l´ambiente e al contempo incoraggiare l´economia.
Indennizzare i Paesi in via di sviluppo per la fornitura di questi servizi ambientali potrebbe essere un modo per aumentare sostanzialmente gli aiuti e al tempo stesso fornire a questi Paesi i giusti incentivi di mercato. Da un punto di vista globale, in assoluto l´uso migliore di queste risorse è il mantenimento delle foreste, che non esclude persino la possibilità di procedere ad abbattimenti programmati e controllati.
Si tratta di un´iniziativa intorno alla quale potrebbero e dovrebbero coalizzarsi tutti i Paesi: in un mondo diviso – tra Paesi ricchi e poveri, tra quelli coinvolti nella protezione ambientale e quelli interessati allo sviluppo – questa iniziativa può davvero unirci tutti. I leader del G-8 dovrebbero tener conto di questa proposta.
<i>Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l´economia, è professore di economia alla Columbia University. È stato presidente del Consiglio dei consulenti economici del presidente Clinton e Capo economista e vicepresidente senior della Banca Mondiale. Il suo libro più recente è "I ruggenti anni Novanta: nuova storia del decennio più prospero per il mondo".
Copyright: Project Syndicate, 2005
Traduzione di Anna Bissanti </i>