“Impiegati al Comune ma da casa nostra”
Primo mese di sperimentazione del telelavoro. Venti dipendenti coinvolti nel progetto pilota. Un computer e una linea telefonica gli strumenti indispensabili per lavorare da casa - da La Stampa del 19.03.2013
20 March, 2013
Elisabetta Graziani
A volte per cambiare la vita basta un click. È successo a 20 dipendenti comunali che dal 1° febbraio sperimentano il telelavoro. Sono le prime del Comune di Torino ad aver abbandonato l’ufficio (in cui tornano una volta a settimana) per la casa. Computer e telefono, gli strumenti indispensabili. Per il resto, organizzazione e autodisciplina.
A differenza di quanto successo nell’azienda Yahoo, dove il telelavoro è stato abolito dopo una prova iniziale, in Comune, a un mese e mezzo dall’avvio, il bilancio è molto positivo in termini di risultati professionali. «Stiamo cambiando la vita alle persone», dice soddisfatta Elena Miglia, responsabile del progetto per conto della Città. «Ci sono mansioni estremamente adattabili al lavoro da casa: caricare i dati per il ministero, trascrivere i verbali del Consiglio comunale. Oppure tutte le pratiche di controllo effettuate dal corpo della polizia municipale».
Il progetto pilota è uno dei pochi, se non l’unico, in Italia di questa portata e ha richiamato su di sè l’attenzione del ministero degli Interni che sta monitorando la sperimentazione. Non a caso il telelavoro rientra nelle misure urgenti per la crescita del Paese previste dal governo lo scorso ottobre. «Ci hanno già contattati dal Comune di Milano per avere un supporto tecnico-giuridico e avviare la stessa iniziativa- dice la dottoressa Miglia -. Dopo la fase pilota di 4 mesi, si continuerà per un anno. Speriamo di proseguire in futuro e di estendere la sperimentazione ad altri dipendenti». Trentamila euro i fondi della Regione e 40 mila della Città, la maggior parte per computer e rete internet. Azzerati i costi di mensa (circa 33 mila euro l’anno) e straordinari. Tre i criteri del bando: distanza dal luogo di lavoro, carichi assistenziali (figli o anziani), disabilità. In questa pagina, quattro esperienze a confronto.
Divisione tributi
“Non conta l’orario ma il risultato finale”
Una rivoluzione. E come ogni rivoluzione che si rispetti, vietato tornare indietro. O almeno è quello che spera Manuela Brattoli, impiegata amministrativa nella divisione tributi a Palazzo civico e tra le prime a iniziare l’esperienza di telelavoro avviata dal Comune di Torino. «Non abbiamo più straordinari nè recuperi orari, con relativi risparmi per il Comune, e, se vogliamo, possiamo lavorare dalle dieci di sera a mezzanotte - spiega -. L’importante è essere reperibili dai colleghi per almeno due ore al giorno, ma il nostro telefono è sempre attivo. Per il resto si valuta il risultato finale e non l’orario di lavoro. Una rivoluzione». E risultati ci sono eccome. «Si è più concentrate, si rende di più. E poi una volta a settimana c’è il rendezvous con i colleghi in ufficio». Particolare la vicenda personale di Manuela Brattoli. «Ho un’invalidità permanente per una patologia neurologica progressiva - spiega -. Il lavoro da casa mi permette di evitare i viaggi quotidiani che per me rappresentano un costo in termini di salute». E non solo. «Quando mia figlia si ammala a casa ci sono io e non la tata». Un suggerimento? «Spero che il progetto continui e non sia un’eccezione, in molti Paesi europei funziona».
Polizia municipale
“Posso badare a mio padre invalido”
Quasi settecento euro di risparmio l’anno è l’effetto economico del telelavoro sulla vita di Alfonsina Caputo. Ma questo è il vantaggio minore in termine di qualità della vita. Da tredici anni Alfonsina è un'impiegata amministrativa della polizia municipale, ha 41 anni e vive con il suo gatto a Caluso, vicino ai genitori ultrasettantenni, padre invalido. «Hanno riconosciuto a mio padre il diritto di accompagnamento lo scorso ottobre, ma da allora non ci hanno mandato nessuno - si confida -. Nei mesi scorsi è caduto e mia madre non è riuscita a sollevarlo. Ho dovuto chiedere un permesso di lavoro, ma sono arrivata soltanto un’ora e mezzo dopo: il tempo di raggiungere Caluso col treno o, meglio, con i due treni». Ora tutto questo è soltanto un brutto ricordo. «Spero che il telelavoro possa continuare e non si limiti all’esperimento di un anno - dice -. Il bilancio è più che positivo: riesco a badare ai miei genitori e ho più tempo per me stessa. E per quanto riguarda i risultati professionali, lavoro più di prima e sono più concentrata».
Registrazione atti
“Prima timbravo alle cinque e mezzo”
Dal ’92 fino a un mese e mezzo fa la vita di Nadia Roattino era scandita dal fischio del treno Mondovì-Torino andata e ritorno. Non timbrare più quel biglietto ogni mattina alle 5,30 è un passo avanti nella vita di Nadia e una conquista per tutte le lavoratrici. «Abito a Mondovì, sono impiegata amministrativa in Comune dove mi occupo delle visite dei dipendenti di Palazzo civico - racconta -. Un lavoro senza rapporto con il pubblico esterno, perfettamente eseguibile al computer e il computer, si sa, può stare ovunque». Ecco perchè le è sembrato naturale partecipare a quel bando che dava la possibilità di sperimentare il «telelavoro». «Ora rendo di più di quando ero in ufficio, non ho le stesse interruzioni e risparmio 104 euro al mese tra le mancate spese di treno e pullman». Nadia ha 51 anni e una famiglia, il suo bilancio sul «lavoro da casa» è «positivissimo»: «andrebbe esteso anche agli uomini». Più tempo per se stessa e per la famiglia, con ottimi risultati in termini di rendimento. «Recupero un’ora di treno ogni giorno, non arrivo più la sera tra le cinque e mezzo e le sei e un quarto spiega -. E i risultati in ufficio sono sotto gli occhi di tutti».
Divisione ambiente
“Ho tre figli Ora rendo il doppio”
«Mi ha cambiato la vita». Non ha dubbi Laura Ribotta, 35 anni e tre figli piccoli, responsabile tecnico nell’ufficio bonifiche del Comune. «Mi alzavo alle 6 del mattino per essere dall’altra parte della città alle 7,30. Rientro: non prima delle 17,30, dopo aver recuperato il terzo figlio». Normale routine per le donne italiane, divise tra lavoro e famiglia. Ma anche per Laura, come per il 61% delle lavoratrici del Paese, il vero «successo» consiste nel trovare il giusto equilibrio tra vita privata e professione. Con questa convinzione ha partecipato al bando per il telelavoro e l’ha vinto. «Cosa significa per me il telelavoro? Fare colazione con la famiglia, avere un’ora e mezzo libera in più al giorno, quella che risparmio di viaggio. E poi maggiore concentrazione nel lavoro». Motivazioni non solo personali. «Il lavoro informatizzato comporta un cambiamento di mentalità: significa passare dalla carta all’uso di strumenti informatici - spiega -. I professionisti e gli enti pubblici si stanno abituando a inviare i documenti per posta elettronica certificata: l’equivalente di una raccomandata ma via web».