Smog e CO2: per inquinare meno, la vecchia auto si tiene o si cambia? E con cosa?
Continua l’indagine sul ciclo di vita delle automobili. E’ vero che produrre auto ecologiche, ibride o elettriche, costa di più in termini di Co2? E dopo quanto tempo si ammortizza lo scarto? E' vero, come sostengono alcuni, che inquino meno se mi tengo la vecchia auto? Ne parliamo con il Professor Marco Pierini del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Firenze
25 March, 2013
Continua la nostra indagine sul ciclo di vita delle automobili. La domanda a cui stiamo cercando, faticosamente, di dare una risposta è questa: lasciando da parte la questione dei blocchi alla circolazione, è possibile che finisca per essere meno dannoso per l’ambiente tenersi la propria vecchia auto che sostituirla con una nuova di categoria superiore, o addirittura alimentata elettricamente, per quanto meno inquinante? Dopo aver raccolto il parere dell’Agenzia Europea per l’Ambiente e della Fondazione Telios, riapriamo la discussione con il Professor Marco Pierini del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Firenze. “C’è un articolo scientifico che tratta esattamente questo quesito – risponde Pierini. "Can a prolonged use of a passenger car reduce environmental burdens? Life Cycle analysis of Swiss passenger cars. La risposta che viene data dagli autori (Michael Spielmann e Hans-Jörg Althaus) è che prolungare la vita di un'auto fino a 15 anni provocherebbe un impatto complessivo leggermente inferiore rispetto alla sostituzione. Ma attenzione: l'articolo evidenzia anche come il risultato sia stato ottenuto stimando che i nuovi modelli sul mercato permettano una riduzione dei consumi di un 3% annuo. Se invece prendessimo in considerazione tecnologie come l’elettrico o l’ibrido, per le quali la riduzione dei consumi sarebbe notevolmente più bassa, il confronto renderebbe invece particolarmente favorevole il rinnovo del parco auto”.
Insomma, resta una domanda difficile. Anche perché, fa notare il professore, per avere un risultato certo bisognerebbe valutare anche l'impatto legato ad eventuali nuove infrastrutture di supporto alle tecnologie indicate.
C’è un’altra questione su cui si accapigliano spesso sostenitori e detrattori delle auto ibride ed elettriche. E’ davvero così difficile capire se la quantità di CO2 che deriva dal processo di costruzione di queste autovetture “alternative” sia più alta o no di quella prodotta dalla costruzione di un'automobile a benzina o diesel?
“L'impatto di una vettura ibrida è generalmente più alto a causa della maggiore complessità del veicolo – risponde Pierini - Oltre alle componenti tradizionali, ce ne sono di nuove, quindi l'impatto è essenzialmente additivo. Non posso esprimermi con certezza sulle vetture elettriche, non avendo mai svolto un’analisi specifica. La sensazione (ma è solo una sensazione) è che l’impatto delle batterie sia tale da rendere il veicolo elettrico più impattante di uno tradizionale se ci limita a guardare la sola fase di produzione. Si tenga comunque presente che la fase di produzione è una parte minoritaria dell’impatto di un veicolo in tutto il suo ciclo di vita. Nel caso di veicoli tradizionali (con motore a combustione interna), la produzione rappresenta il 20-30 % del totale”.
Abbiamo visto come secondo alcuni la quantità di emissioni prodotta in fase di costruzione sarebbe talmente alta che le auto elettriche non riuscirebbero ad ammortizzarla durante il proprio ciclo di vita… “Non saprei quantificare dopo quanti km si ammortizza lo scarto, ma quello che si trova in letteratura va sempre contestualizzato. Suppongo che lo scarto si ricomponga abbastanza presto nel caso di alimentazione della vettura elettrica con energia prodotta da fonti a basso tenore di carbonio (rinnovabili, nucleare, fonti fossili con sequestro della CO2); questo scenario comunque NON è il caso della Cina, in cui il governo punta molto sull'auto elettrica ma anche sulle centrali a carbone, ma è il caso della Francia, che come noto ha un mix energetico molto diverso da quello degli altri paesi europei.
L'impatto di un veicolo, comunque, non è legato solo alla CO2 e pertanto una simile visione potrebbe risultare troppo riduttiva. La produzione di rifiuti legati alle batterie a fine vita, ad esempio, potrebbe essere un aspetto penalizzante soprattutto in paesi in cui l'infrastruttura di raccolta e riciclo non sia consolidata”.
L’ultimo nodo cruciale del dibattito sull’LCA dell’auto riguarda i diversi parametri dell’inquinamento da valutare in un bilancio complessivo dell’impatto ambientale. Come abbiamo visto, si tratta di considerare le emissioni di CO2 da una parte e gli inquinanti prodotti dall’altra (Pm10, NO2…). Come si fa a tenere assieme aspetti così diversi ma ugualmente importanti per determinare l’ecosostenibilità di un mezzo?
“I vari inquinanti sono processati in modo da riferirsi a categorie di impatto omogenee (global warming, eutrofizzazione, potenziale fotochimico etc.) che permettono di ottenere indicatori aggregati per tutti gli inquinanti emessi. Il problema, più che sul metodo, sta nella valutazione delle quantità realmente emesse; la stima delle emissioni sulla base dei limiti della categoria di omologazione (es. euro 3-4-5) è una forte semplificazione, legata all'uso di cicli di riferimento standard; è inoltre omesso l'eventuale invecchiamento del veicolo e della variazione delle sue performance. Alcuni progetti (per esempio ARTEMIS: Assessment and Reliability of Transport Emission Models and Inventory Systems), propongono nuovi cicli di prova, più vicini a quelli reali, con nuove metodologie di attribuzione degli inquinanti con correlazioni statistiche; attività di questo tipo sono continuamente oggetto di aggiornamento e ricerca per fornire dati e modelli tarati sulle nuove tecnologie.
La valutazione delle polveri sottili emessa è particolarmente difficile; l'analisi dei risultati dell'uso di filtri antiparticolato, ad esempio, è un tema tuttora oggetto di studio in letteratura perché la massa complessiva delle polveri viene ridotta, ma una parte è trasformata in prodotti diversi (polveri più fini e non solo) la cui stima è ancora particolarmente incerta…”.
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