Riciclo illegale: 110.000 posti di lavoro persi, secondo Eurispes e Polieco
L'Istituto Eurispes e il Consorzio Polieco denunciano: "Il ricorso a forme di smaltimento diverse dal riciclo o dalla esportazione di rifiuti plastici fa sì che l’Italia sia diventato un paese povero sia di materie prime sia di materiale riciclato ponendo a rischio tutte le politiche green adottate in questi anni"
18 September, 2013
Secondo le stime del consorzio Polieco e dell'istituto Eurispes in Italia il mercato del riciclo illegale dei rifiuti vale almeno sette miliardi di euro, e ci costa anche in termini di mancati posti di lavoro: 110mila. Sono i coiddetti "rischi dell'export" e delle importazioni di prodotti riciclati pericolosi, le cui conseguenze sono raccolte nello studio appena presentato dai due enti a Roma, in occasione del Forum internazionale organizzato dallo stesso Polieco sull'economia dei rifiuti.
"Lo studio, fotografa lo stato dell’arte della produzione di materie plastiche a livello mondiale (che mostra un incremento in 10 anni del 3,7%) ed europeo (+1,7%) e analizza le problematiche europee e nazionali legate al riciclo dei prodotti plastici, evidenziando, da un lato, una mappatura che vede i Paesi Ue come diversamente riciclatori, intermediari o rinunciatari (e l’Italia è fra quest’ultimi), dall’altro, un aumento delle problematiche (anche di salute, oltre che economiche) legate all’importazione di beni prodotti con rigenerato di dubbia origine.
Nel 2011, di tutta la plastica richiesta dal mercato nell’UE-27, è stato intercettato un quantitativo di rifiuti pari a 25,1 milioni di tonnellate, in aumento del 2,4% rispetto al 2010, più che doppio rispetto al tasso di crescita della domanda di plastiche vergini (+1,1). In discarica sono finite 10,2 milioni di tonnellate, mentre la quota residua è stata destinata a recupero di materia o energetico, con un tasso pari al 59,1% di tutti i rifiuti raccolti ed al 31,7% dei materiali vergini immessi sul mercato.
Dall’analisi emerge che circa il 25% delle spedizioni di rifiuti inviate dall’Ue ai Paesi in via di sviluppo di Africa e Asia avvenga in violazione delle normative internazionali, ma allo stesso tempo, una ingente quantità di beni contraffatti o diversamente pericolosi, arrivano in Europa proprio grazie all'esportazione illecita di una diffusa miniera di materiali che, adeguatamente riciclati in loco, darebbero luogo ad un risparmio notevole ed ad un minor depauperamento di ambiente e risorse nell’ottica della sostenibilità e di un approccio etico all’attività umana.
In Italia, le stime sul mercato della contraffazione parlano di un giro di circa 7 miliardi di euro, che comporta minori entrate fiscali per 1,7 miliardi e una perdita di 110mila posti di lavoro. Tra i settori più colpiti emergono abbigliamento e accessori (2,5 miliardi di euro), seguiti da cd, dvd, pirateria informatica e dal comparto agroalimentare (1,1 miliardi di euro). Nel 73% dei casi i beni sequestrati risultano di origine cinese.
Recenti dati forniti dalle dogane europee mostrano la dimensione del fenomeno: nel 2011 è stato rilevato un incremento del 15% dei casi di contraffazione, con percentuali simili in termini di articoli contraffatti (11%) ed il rispettivo valore della vendita al dettaglio (14%). Oltre ad instaurare dinamiche virtuose incentrate sulla valorizzazione della filosofia che in Italia si è tradotta nel marchio di qualità ambientale volontario “rifiuti km0”, un importante aiuto al mercato italiano potrebbe provenire dalla predisposizione di ulteriori incentivi per riciclatori e produttori, sia in termini economici che di servizi alle imprese. Difatti, la contrazione dei prezzi dei prodotti che ne conseguirebbe, costituisce uno stimolo per il consumatore ad acquistare prodotti Made in Italy, spesso penalizzati dall’industria criminale.
Appare quindi evidente l’urgenza di un generale cambio di prospettiva in grado di costruire nuove opportunità. Occorre, da un lato, ripensare il concetto di rifiuti in termini di materiali, ossia valorizzando la risorsa da un punto di vista tecnico-economico; dall’altro, concepire il territorio non solo come elemento di qualità ambientale, ma anche come punto di partenza per un rinnovato impulso del settore in chiave green. È necessaria, inoltre, una maggiore cooperazione tra produttori di manufatti, distributori, consumatori, riciclatori ed altri operatori del settore; cooperazione per la quale si rende necessaria una rivisitazione del rapporto tra politica e territorio finalizzata sia a fornire adeguate risposte amministrative e gestionali delle realtà con differenti sensibilità e criticità ambientali, sia ad una ottimizzazione dei materiali realizzati sul territorio nazionale.
Le prospettive indicate dallo Studio prevedono di:
- agire nei luoghi di produzione per captare i materiali prima che siano considerati rifiuti, evitandone altresì lo spostamento e la conseguente probabile dispersione sul territorio, (azione vincente, soprattutto se sostenuta dall’interazione tra Enti, Associazioni di categoria e Imprenditoria italiana, dai singoli produttori alla grande distribuzione);
- riproporre in sede legislativa la condizione che gli impianti di riciclo in cui si conferiscono all’estero i rifiuti recuperabili debbano avere caratteristiche ambientali equivalenti a quelle vigenti in Europa;
- la promozione di un mercato dei prodotti riciclati (Acquisti Verdi) Made in Italy, soprattutto quelli che possono vantare una certificazione in tal senso.
«L’uso di prodotti riciclati – secondo il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara – è diventato sempre più centrale e strategico soprattutto per quelle nazioni, come la nostra, povere di materie prime. Il valore economico di questi prodotti ha conosciuto un andamento significativo, soprattutto per quanto riguarda il settore della plastica, più sensibile all’andamento del mercato del petrolio. Non è azzardato ipotizzare che nel prossimo futuro assisteremo ad una “guerra delle plastiche”, dalla quale uscirà vincente solo chi si sarà dotato degli strumenti idonei al recupero di materia, al riciclo dei rifiuti e al loro riutilizzo. Il miglioramento della gestione dei rifiuti in polietilene, contribuisce, inoltre, a un miglior utilizzo delle risorse e può aprire nuovi mercati e creare posti di lavoro, favorendo una minore dipendenza dalle importazioni di materie prime e consentendo di ridurre gli impatti ambientali, in una logica di transizione verso una gestione sostenibile dei materiali. Insomma la gestione dei rifiuti in generale e di quelli di plastica in particolare – conclude Fara - rappresentano una grande sfida per la tutela dell’ambiente, ma sono anche una formidabile occasione per rendere più efficienti le nostre risorse e più forte la nostra economia».