Un ciclista su tre non rispetta il codice della strada
Secondo il Comune nel giro di due anni si sono moltiplicate le bici in circolazione, così come gli incidenti che le coinvolgono; i ciclisti sono accusati di essere indisciplinati e di percorrere marciapiedi e portici. Fabio Zanchetta di Bike Pride: «A sentire le accuse, chi va in bicicletta sarebbe improvvisamente impazzito. C’è chi rispetta il codice e chi no, e si pedala dove si corrono meno rischi» - da La Stampa del 23.09.2013
23 September, 2013
Emanuela Minucci
«È vero, noi italiani siamo così: saliamo sulla bici e odiamo gli automobilisti, ci mettiamo al volante e malediciamo i ciclisti, usciamo a piedi e imprechiamo contro tutti» lo diceva l’altra sera un comico a Zelig. Ultimamente, però, sono i numeri a fare la differenza. E non fanno ridere.
Troppe infrazioni
Dati del Comune alla mano le due ruote (grazie anche al fattore crisi con la benzina e il caro-sosta alle stelle) sono quadruplicate nel giro di due anni insieme con le rastrelliere e le piste ciclabili. E siamo al problema: aumentano i ciclisti e, di pari passo, crescono pure gli incidenti provocati dai medesimi. In assenza di statistiche precise (basta leggere le lettere di protesta che arrivano ai giornali, giusto ieri su «Specchio dei Tempi» ne pubblicavamo una e le chiamate ai vigili urbani) si sa che gli amanti delle due ruote che pedalano contro il codice della strada sono in preoccupante aumento. L’abitudine di un ciclista su tre? Confondere i portici con le piste ciclabili, rischiando di investire chi esce dai negozi o dalle case e correre come razzi nelle isole pedonali dimenticando che lì, ci sono appunto, anche i pedoni che non possono girare con lo specchietto retrovisore. Poi ci sono i raffinati dell’infrazione, quelli che imboccano sì la pista ciclabile, ma rigorosamente al contrario, facendo una bella sorpresa agli automobilisti che se li ritrovano davanti mentre girano.
Il decalogo ignorato
Ma che fine ha fatto, nella città con le piste ciclabili più lunghe d’Italia (175 chilometri), il famoso «bon ton» del ciclista, quel decalogo che si era messo a punto oltre un anno fa tutti insieme, Comune, automobilisti, amanti delle due ruote e pedoni? Se lo chiede uno che di portici se ne intende (altro record, Torino ne ha 12 chilometri, ecco perché il problema delle bici che sfilano al coperto davanti alle vetrine si sente di più che in altre città): è Paolo Bertolini, presidente dei commercianti di via Roma: «Li vediamo tutti, ogni giorno, sono un problema, anzi un pericolo. Forse basterebbe multarne qualcuno ogni tanto. I vigili si appostano agli ingressi Ztl per sorprendere chi imbocca contromano una via d’accesso al centro al riparo dalle telecamere? Si nascondano anche dietro una colonna per punire il ciclista che sfrecci mettendo a repentaglio la sicurezza di chi entra ed esce dai negozi». Questo è un suggerimento, ma il problema, secondo i negozianti di via Lagrange, è anche un altro: «Da minoranza oppressa, ora che le bici si sono moltiplicate, siamo passati alla minoranza schiacciante e bisogna che imparino a difendere la propria sicurezza senza mettere a rischio quella degli altri».
Il «marciabici»
Ma c’è un’altra abitudine che sta davvero diventato pericolosa: i ciclisti che trasformano il marciapiede con un «marciabici». È vero, se chi pedala preferisce il marciapiede alla strada il più delle volte è perchè lì sopra si sente più sicuro. Purtroppo, però, l’effetto domino non finisce qui, perchè il pedone che non si accorge si essere inseguito e sorpassato dalla bici può finire per terra. Il problema si fa più evidente sui ponti. Prendete quello che porta alla Gran Madre: per evitare rotaie, auto e pietre sconnesse i ciclisti evitano la strada e se ne vanno bordo ringhiera. E i pedoni si infuriano. «Il bello è che se ti lamenti ti insultano pure - si lamentava ieri una signora con il bambino per mano - poi se ne corrono via veloci». Per dirla tutta, però, poi ci pensa l’automobilista a farla pagare a chi pedala, stringendoli e strombazzando. C’è una triste par condicio nel traffico: l’insulto corre sempre sulla preferenziale.
“È ora di cambiare rotta. Presto un giro di vite”
Elena Lisa
L’ultimo episodio sabato, sotto i portici di via Sacchi. Una signora anziana, appena uscita da un negozio, è stata investita da un ciclista che l’ha fatta ruzzolare per terra. Fortunatamente per entrambi niente di rotto, solo contusioni. «A Torino - dice il comandante dei vigili urbani Alberto Gregnanini - è ora di cambiare rotta. Ciclisti, pedoni e automobilisti devono avere rispetto gli uni degli altri. Ma visto che nell’ultimo periodo stiamo intervenendo soprattutto per incidenti causati dalle biciclette, allora prima cominceremo da loro».
In che modo?
«D’accordo con l’assessorato all’Ambiente e con quello alla Viabilità abbiamo preparato un decalogo, una specie di rieducazione stradale».
I ciclisti hanno dimenticato il codice?
«Diciamo che serve una rispolverata...».
Le regole da rispettare sempre?
«Mai pedalare sui marciapiedi. Mai viaggiare contromano. Mai esagerare con la velocità».
Cose che stanno scritte nel codice della strada...
«Che vale per tutti, anche per i ciclisti... Non mi spiego proprio perchè ci sia tutta questa indisciplina, eppure la rete ciclabile torinese è di tutto rispetto».
I pedoni dicono che i vigili non multano mai i ciclisti. È vero?
«No, quando sorprendiamo qualcuno che pedala in modo pericoloso scatta la contravvenzione. Ma non ci sono leggi precise: in Germania, ad esempio, per circolare in bicicletta occorre l’assicurazione obbligatoria. Se non c’è, o non è ben esposta, la bici viene sequestrata. Da noi l’assicurazione è una scelta personale, e tutto resta nell’ambito della responsabilità civile».
Quindi non c’è soluzione?
«La soluzione è sempre la stessa: prudenza. Mai sentirsi padroni della strada: l’ostacolo può nascondersi dietro l’angolo».
A proposito, non crede che le strade sconnesse e le auto in doppia fila siano grandi ostacoli per i ciclisti?
«Si sta provvedendo a tutto. Compreso l’ampliamento della pista ciclabile. Comunque ci risiamo, in una maniera o nell’altra si tende sempre a veder prima i cattivi comportamenti degli altri e poi i nostri».
Via Sacchi è un velodromo
Emanuela Minucci
«Quando un ciclista ha investito mio padre sotto i portici non ci ho più visto: e ho preparato un esposto contro la nostra via Sacchi trasformata, nostro malgrado in un velodromo». Lui è l’uomo che ha dichiarato guerra alle biciclette sotto i portici. Ci ha provato in tutti i modi: «Ho fatto un esposto alla Procura, l’ho mandato al sindaco e a tutti coloro che potevano avere voce in materia, ma non è successo niente».
Fabio Bono ha 39 anni ed è il direttore dell’hotel Genova. «Giusto ieri una signora all’altezza dell’edicola è stata travolta da un ciclista e si è rotta un braccio - spiega - Qui passa, a velocità pazzesca, una bici al minuto; non ne possiamo più». Sventola l’esposto e spiega: «Abbiamo chiesto che si sistemassero dei cartelli con il divieto di accesso alle bici: ci è stato risposto che è già vietato e che sarebbe stato, come dire, pleonastico, più o meno come vietare l’accesso delle auto al fiume. Peccato che nessuno tenga conto del divieto e noi intanto finiamo all’ospedale».
Sulla denuncia che lui ha stilato ormai cinque anni fa sta scritto: «Oramai da tempo immemore, osserviamo come un fenomeno di malcostume quale quello di transitare in bicicletta a velocità sostenuta, sotto i portici di via Sacchi stia diventando abitudine oramai tollerata dalle istituzioni, quasi di natura folcloristica, tale da essere annoverato tra le realtà oggettive da considerarsi facente parte dell’arredo urbano, in netto contrasto con quanto recitato dal Codice della Strada e dal suo regolamento. In più di un’occasione, ci sono stati degli investimenti nei quali sono rimasti coinvolti i clienti all’uscita degli hotel, piuttosto che gli avventori, all’uscita dai negozi situati in zona». Siamo alla fine del 2013 e in via Sacchi secondo gli abitanti non è mai successo niente: «A parte il fatto che è stato investito anche l’ex assessore al Commercio che abita proprio da queste parti e aveva a suo tempo ricevuto il nostro esposto».
Pedaliamo dove non c’è pericolo
Elena Lisa
«A sentire le accuse - dice Fabio Zanchetta, presidente dell’associazione “Bike Pride” - chi va in bicicletta sarebbe improvvisamente impazzito».
Chiariamolo. Cosa sta capitando?
«Primo, chi si muove in bicicletta non fa parte di una tribù. Ognuno è responsabile di sé stesso e di come pedala: c’è chi rispetta il codice e le persone, e chi se ne frega ed è più avventato».
E fin qui non ci piove. Ma per voi perché le segnalazioni di investimenti provocati da ciclisti sono aumentati?
«Perché questa città non è stata pensata per le due ruote. E nonostante gli annunci, i problemi non cambiano».
È un buon motivo per non rispettare il codice della strada?
«Si pedala dove si corrono meno rischi. E a Torino i luoghi meno pericolosi continuano a essere i marciapiedi e i portici, non certo le strade e le piste ciclabili. Una mamma in bici con il figlio sul seggiolino rischia la vita, sull’asfalto. In Comune c’è un “bici plan”, ma tra ciò che viene pianificato negli uffici e quel che viene realizzato sulla strada c’è un abisso. E poi parlano i numeri...»
Quali?
«Quelli delle stragi. Dicono che chi va in bici è un problema? Peccato che in dieci anni, in Italia, ci sono stati 40 mila ciclisti ammazzati e un milione di feriti gravi».
Ma la rete ciclabile di Torino ha fama di essere una delle migliori del Paese. Non è così?
«Direi di no. Per questo chiediamo che venga modificata. Per capirci: il 40% del percorso è promiscuo, cioè corre sui marciapiedi, quindi inutile lamentarsi se poi capita di sfiorare un pedone. In corso Marconi, per dirne un’altra, spazio per le bici non c’è: la pista è diventata parcheggio gratuito per auto. Chi guida se ne è appropriato e nessuno fa niente».
Parla dei vigili urbani?
«No, parlo del Comune. Fino a quando la ciclabile sarà studiata perché deve esserci e non perché deve essere percorsa, le difficoltà per tutti continueranno a essere uguali e ripetute. Solo quando un’amministrazione deciderà di togliere spazio alle auto, ci sarà la vera svolta».