Trivelle in Sicilia, Legambiente: «Un vero assalto al mare siciliano» | Dossier
L'associazione, tramite la sua Goletta Verde, chiede al Governo e alle amministrazioni locali di rivedere i progetti di trivellazioni nel Canale di Sicilia. Presentato un dossier con i rischi all'estrazione del petrolio
18 July, 2014
«E’ in corso un vero e proprio assalto al mare siciliano da parte delle compagnie petrolifere: 12.908 i chilometri quadrati interessati dai cinque permessi di ricerca già rilasciati e da altre 15 richieste di concessione, ricerca e prospezione avanzate. Questo, nonostante, già oggi nel canale di Sicilia vengano estratte (dato a fine 2013) 301.471 tonnellate, il 41% del totale nazionale del petrolio estratto in mare». Così Legambiente, che parla di «scelta scellerata di politica energetica, portata avanti ora con incredibili giustificazioni anche dal premier Matteo Renzi, che non trova scusanti valide neanche dal punto di vista strategico energetico, viste le ridicole quantità di petrolio in gioco».
«Inoltre - aggiunge l'associazione - gran parte delle richieste oggi in fase di valutazione provengono da compagnie straniere, la cui attività non porterà benefici all’economia nazionale, portando greggio e ricavi oltre confine. Una corsa all’oro nero che rischia di compromettere per sempre il futuro delle popolazioni coinvolte da possibili incidenti che metterebbero in pericolo ambiente, turismo e pesca».
Per questo Goletta Verde, la storica campagna itinerante di Legambiente a difesa del mare e delle coste italiane, rilancia proprio dalla Sicilia l’appello a Governo e Parlamento affinché venga avviata anche nel nostro Paese una rivoluzione energetica, garantendo uno sviluppo futuro, anche sul piano economico, sicuramente molto più sostenibile e duraturo e soprattutto venga ridata voce e possibilità di scelta ai territori e alle popolazioni interessate dalle richieste di estrazioni avanzate dalle compagnie petrolifere. Legambiente, inoltre, chiede a tutte le amministrazioni siciliane, alle associazioni di categoria, a partire da quelle della pesca e del turismo, agli enti parco e a tutti coloro che hanno a cuore la tutela del mare e del territorio siciliano, di fare fronte comune per fermare la corsa all’oro nero.
Un appello che arriva da Donnalucata (Rg) dove ha fatto tappa l’imbarcazione ambientalista proprio per presentare il dossier “Canale di Sicilia, da favola blu a incubo nero?”. Alla conferenza di presentazione a Scicli a Palazzo Mormino di Donnalucata hanno preso parte Serena Carpentieri, portavoce di Goletta Verde; Claudio Conti ed Enzo Parisi, componenti della segreteria regionale Legambiente Sicilia e Antonino Duchi, presidente Circolo Il Carrubo di Ragusa.
«Continuare a rilanciare l’estrazione di petrolio è solo il risultato di una strategia insensata che non garantisce nessun futuro energetico per il nostro Paese. Il no al petrolio non è solo una fissa di qualche associazione o “comitatino”, come sostiene il Presidente Renzi, ma rispecchia l’interesse di gran parte del Paese – dichiara Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente – A dimostrazione dell’assurdità della scelta di puntare ancora sul petrolio, basti ricordare che le quantità di greggio stimate sotto il mare italiano sono di poco meno di 10 milioni di tonnellate e, visto che il nostro consumo annuo è pari a 61 milioni, si esaurirebbero in soli due mesi. Considerando anche quelle sotto il suolo italiano si arriverebbe a 82 milioni di tonnellate di riserve certe, anche in questo caso però durerebbero per poco meno di 17 mesi. Se veramente si vuole rompere con il passato e giocare un ruolo strategico nel dibattito energetico internazionale, il premier deve portare ben altri dati nel dibattito internazionale. Partendo, ad esempio, dai dati sulle fonti rinnovabili che con oltre 700 mila impianti hanno garantito un terzo dei consumi elettrici del Paese. Inoltre, investire oggi in efficienza energetica e fonti rinnovabili, porterebbe nei prossimi anni i nuovi occupati a 250 mila unità».
A preoccupare l'associazione, in particolare, un eventuale incidente che «potrebbe causare danni alle coste siciliane incalcolabili dal punto di vista ambientale così come devastanti potrebbero essere gli effetti che anche piccole quantità di greggio disperso in mare potrebbero avere sulle coste – aggiunge Mimmo Fontana, presidente di Legambiente Sicilia -. Se le attività di ricerca, perforazione e estrazione saranno condotte con la stessa superficialità con cui vengono redatti gli studi di impatto ambientale, stando a quelli che abbiamo analizzato fino ad ora, il mare siciliano è in grave pericolo. Oggi si effettuano perforazioni a profondità molto maggiori rispetto al passato e questo rende più problematico intervenire in caso d'incidente, come ha evidenziato l'incidente del Golfo del Messico nel 2010. Purtroppo appena poche settimane fa Regione, Assomineraria, EniMed, Edison e Irminio Srl hanno firmato un accordo per un impegno di investimento delle società petrolifere di circa 2,4 miliardi di euro per portare avanti le attività con particolare riferimento all’area marina di fronte la costa ragusana e a terra, sempre nella provincia di Ragusa. Una scelta scellerata che non trova alcuna giustificazione. Per questo ci appelliamo a tutte le amministrazioni siciliane, alle associazioni di categoria, a partire da quelle della pesca e del turismo, agli enti parco e a tutti coloro che hanno a cuore la tutela del mare e del territorio siciliano, per fermare l’insensata corsa all’oro nero anche in questa regione».
Tra le ultime richieste presentate in Sicilia, due sono quelle relative alle attività di prospezione, la prima fase di indagini per individuare le aree di maggior interesse su cui avviare le ricerche Schlumberger Italia per un’area di 6.380 kmq. A queste si aggiungono poi tutte le altre già presentate in precedenza. «Alcune di queste, come quella della Transunion Petroleum di fronte il territorio ragusano, sono molto vicine alla costa e sconfinano il vincolo delle 12 miglia dalle aree costiere previsto dall’articolo 35 del decreto sviluppo approvato nel giugno 2012 - spiega Legambiente - Peccato però che questo limite sia cogente solo per le richieste presentate dopo il 2010 e nel Canale di Sicilia, ad eccezione di una, tutti i permessi e le istanze sono antecedenti al giugno 2010 e buona parte di queste sono all’interno della fascia delle dodici miglia. Che senso ha fare una norma in cui si stabilisce un divieto col solo scopo di eluderlo?»
Anche per questo il Cigno continua a chiedere l’abrogazione di questo articolo, ripristinando i vincoli previsti dal Dlgs 128/2010, validi per tutte le attività, anche quelle in corso, molto più stringenti ed efficaci per la tutela ambientale del mare italiano. Le piattaforme attive nel Canale di Sicilia sono Gela 1, Gela Cluster, Perla e Prezioso, di proprietà della società Eni Mediterranea Idrocarburi, e Vega A, di proprietà di Edison. A queste rischiano di aggiungersene 4, oggi in fase di valutazione di impatto ambientale. Due nel tratto di mare antistante Licata e Palma di Montechiaro e una di fronte la costa meridionale di Pantelleria, dove è già stato rilasciato anche un permesso di ricerca per 657 kmq di area marina. Oltre a queste c’è poi il progetto di ampliamento dell’attività estrattiva accanto alla piattaforma Vega A di Edison, a largo di Pozzallo, con un secondo impianto denominato Vega B.
Scarica il dossier “Canale di Sicilia, da favola blu a incubo nero?”