Energia, trasporti e banda larga: quanto ci costa un paese fermo
Non fare nulla è un lusso che non ci possiamo permettere: più di 47 miliardi di euro l’anno. Il rapporto di Agici-finanza d’impresa mostra che l’Italia che si ferma è perduta - da Wired del 02.12.2014
03 December, 2014
di Gianluca De Martino
Ogni cantiere fermo, ogni progetto rimasto sulla carta rappresentano un costo per la collettività. Un costo che nei prossimi 17 anni supererà gli 800 miliardi di euro se l’Italia non sarà in grado di far ripartire gli investimenti in settori strategici, dall’energia alle telecomunicazioni, passando per strade e ferrovie. Cifre e previsioni di questo gap da colmare sono indicate nel Rapporto “Costo del Non Fare 2014”, realizzato da Agici Finanza d’Impresa e presentato questa mattina a Roma.
L’Osservatorio CNF, con il contributo di alcuni partner come Acea, Assolombarda, Enel, Federutility, Ferrovie dello Stato italiane, Hera, Mediterranea delle Acque e Terna, ha monitorato la realizzazione di infrastrutture in sette settori chiave per lo sviluppo, come ferrovie, telecomunicazioni, viabilità, logistica, energia, idrico e rifiuti.
Il costo del non fare rischia di crescere di 47 miliardi e mezzo di euro ogni anno fino al 2030, quando supererà la soglia di 800 miliardi, circa la metà del Prodotto interno lordo in un anno. Già nel biennio 2012-2013 questo danno è stato di 82 miliardi di euro, persi a causa del rinvio di decisioni nell’attesa di giorni migliori.
Più della metà del costo del non fare riguarda mancati interventi sulla rete a banda ultralarga (427,7 miliardi). Il “non” ammodernamento delle tratte ferroviarie, sia di alta velocità che convenzionali, costerà 113 miliardi, quello di autostrade e tangenziali 74,7 miliardi. E il pensiero corre – nel primo caso – all’assenza di un Tav a sud della Campania (anche se nello Sblocca Italia è previsto il finanziamento della tratta Napoli-Bari) e, nel settore della viabilità, al cantiere infinito della Salerno-Reggio Calabria.
Lo studio indica i fabbisogni infrastrutturali in vista del 2030, alcuni coerenti con le richieste provenienti dall’Unione europea.
Bolletta troppo cara. Nel settore dell’energia si parte da una condizione di debolezza italiana nel contesto internazionale: il costo medio per la fornitura è del 25% più cara per un imprenditore rispetto ai competitors europei. L’82% dell’energia consumata viene importata, a un prezzo che nel 2013 è stato di 56 miliardi. La riduzione di costi e dipendenza dall’estero avverrà con più investimenti nelle rinnovabili, in modo da tale che da raggiungere il 51% di consumi.
Discariche zero. Tagliare nettamente la produzione di rifiuti indifferenziati, fino a zero conferimenti in discarica, è tra gli obiettivi in ambito ecologico. Si indica nel 70% la quota di raccolta differenziata per il 2030, con una parte del 44% destinata ai termovalorizzatori. Questi impianti dovranno essere in grado di smaltire 47,2 milioni di tonnellate nei prossimi 17 anni. Il “non fare” determinerebbe un costo di oltre 4 miliardi di euro.
Più treni e più strade. All’Italia serviranno altri 47 chilometri di tangenziale, 842 chilometri di autostrada a rilevanza regionale e 419 a rilevanza nazionale. Il costo del non fare sarebbe di 84 miliardi e mezzo, ma una contemporanea crescita della banda larga – che ridurrà la mobilità – porterà una diminuzione a 74,7 miliardi. Nel 2030 dovrà crescere la rete ferroviaria di 937 km per l’alta velocità e alta capacità e di 435 km per le tratte convenzionali (di cui 320 km di nuove realizzazioni).
Acqua di qualità. “La realtà evidenzia un settore con vaste aree estremamente arretrate”: il rapporto si riferisce alla rete idrica italiana, con le sue falle, i suoi sprechi e il suo inquinamento. La sostituzione di condotte obsolete e il potenziamento della depurazione sono gli obiettivi fissati per il 2030 anche per rispondere all’Unione europea che per ben due volte ha condannato l’Italia per l’inadeguatezza del sistema di smaltimento, che inquina mari, fiumi e altri corsi d’acqua. Se questi investimenti mancheranno, il prezzo da pagare sarà di circa 50 miliardi di euro.
Telecomunicazioni, la sfida più ardua. Il costo più alto del non fare è legato alla mancata attuazione dei piani per la banda ultralarga. Gli obiettivi sono quelli già fissati dalla Commissione europea nell’Agenda Digitale in riferimento alla Banda Ultralarga: copertura a 2Mbps per l’intera popolazione italiana entro il 2013, portata a 30 Mbps, fino alle sottoscrizioni a 100 Mbps per la metà delle abitazioni entro il 2020. La mancata realizzazione produrrebbe un effetto negativo a catena, pari a oltre 400 miliardi di euro, anche nei settori di e-commerce, formazione a distanza, telelavoro, assistenza sanitaria, cloud computing e, come visto in precedenza, sui trasporti.
Cosa serve all’Italia per limitare i danni? Un piano di investimenti da 185 miliardi che guardi al 2030, con una fetta importante da destinare alle infrastrutture ferroviarie (75 miliardi) e alle energie rinnovabili (37 miliardi). Rispettare il trend dell’ultimo biennio, con 13 miliardi di euro l’anno di investimenti, contribuirebbe a colmare il deficit. La destinazione delle risorse, che per il 65% sono andate all’energia tra il 2012 e il 2013, va ricalibrata in favore delle ferrovie innanzitutto, ma anche del settore idrico e della viabilità.
Il rapporto “Costo del non fare” indica due strade principali per il raggiungimento degli obiettivi generali. Propone di privilegiare gli interventi di miglioramento delle infrastrutture, quindi ammodernamenti, manutenzioni e upgrade tecnologici. In secondo luogo, “sviluppare strumenti di finanziamento standardizzati (come ad esempio i bond) per attrarre i capitali di assicurazioni e fondi pensione”.
(da Wired)
(Foto Getty Images)