“Vedevo troppe auto vuote, ora BlaBlaCar vale 1,6 miliardi di euro”
Intervista al fondatore e Ad di BlaBlaCar Frédéric Mazzella: ha 39 anni e ha creato la start-up delle auto condivise nel 2006. Un bisnonno era italiano. La sede del gruppo è a Parigi – da La Stampa del 21.09.2015
21 September, 2015
di Leonardo Martinelli
È iniziato tutto per caso. Correva il 2003, pochi giorni prima di
Natale. «Per le feste dovevo andare a casa dai miei genitori, in
Vandea. Ma in treno non c’era più neanche un posto», ricorda
Frédéric Mazzella. «Allora mia sorella, che viveva a Rouen, è
passata da Parigi e siamo scesi giù assieme in macchina.
Sull’autostrada osservavo le auto: erano vuote, c’era solo il
conducente. E intanto i treni erano pieni zeppi di persone che, in
molti casi, avevano pagato una fortuna per quel biglietto». Così è
nata l’idea di BlaBlaCar, specialità francese esportata nel mondo.
«In fondo non facciamo che ottimizzare delle risorse esistenti:
riempiamo delle macchine vuote». La piattaforma mette in contatto
automobilisti con posti liberi a bordo e altre persone che desiderano
viaggiare nella stessa direzione. Condivideranno le spese relative a
benzina e pedaggio.
Un tragitto Roma-Milano viene a
costare una trentina di euro.
Eccolo Frédéric, nella sed della
sua società, in piena Parigi. BlaBlaCar ormai è un colosso, con
oltre 20 milioni di utenti in 19 paesi (l’Italia dal 2012),
compresi i lontani India e Messico. Lui ha 39 anni ma ne dimostra
decisamente meno. Un bisnonno era italiano («la famiglia veniva
dalle isole di Procida e Ischia ma non ci sono mai stato»).
L’atmosfera in questi open space scintillanti è un po’
bambinesca, con le macchinine sui tavoli e l’inevitabile biliardino
di ogni start-up che si rispetti. Ma c’è poco da scherzare: la
società è valorizzata 1,6 miliardi di dollari. E venerdì l’ultimo
colpo di scena: 200 milioni di dollari raccolti mediante fundraising,
grazie a due grossi fondi di investimento americani, Insight Venture
Partners e Lead Edge Capital.
Cosa farete di questi soldi
?
«Serviranno a sbarcare in nuovi paesi: stiamo già
lavorando sul Brasile. E a consolidarci dove già siamo, anche in
Italia, che è uno dei nostri principali mercati».
Dopo quel
«lontano» Natale 2003, il servizio è decollato in Francia solo nel
2006. È stato difficile agli inizi ?
«Ho dovuto passare
per sette banche prima che una accettasse di aprire un conto per
l’azienda. Parlavo di start-up e non si fidavano. Mi chiedevano gli
ultimi tre bilanci: ma noi stavamo appena iniziando. Poi tutti mi
dicevano: non funzionerà mai, la gente è individualista. Agli inizi
me lo ripetevano anche in Italia. Invece ha funzionato, eccome».
Lei
ha studiato a Stanford tre anni, nel cuore della Silicon Valley. Lì
è diverso ?
«Diciamo che negli Stati Uniti la novità è
subito attraente, in Europa rappresenta prima di tutto un
rischio».
Chi utilizza oggi BlaBlaCar ? Solo studenti
squattrinati ?
«Non è vero, proprio da un sondaggio
realizzato in Italia è emerso che il 71% degli utenti ha un
lavoro».
Al momento di iscriversi al servizio, bisogna
indicare il livello di loquacità (bla, blabla, blablabla). Gli
italiani sono i più chiaccheroni ?
«Lo pensavamo anche
noi. Poi abbiamo fatto un’inchiesta in tutti i paesi dove siamo
presenti. E sono arrivati primi i polacchi».
BlaBlaCar non è
l’unica buona idea di economia collaborativa nata in Francia, dove,
fra le altre cose, furoreggiava anche UberPop, prima che i tassisti
parigini iniziassero a spaccare le macchine e in certi casi le facce
dei conducenti del nuovo servizio...
«Nel loro caso si
trattava di persone che non erano tassisti professionisti e che
svolgevano quell’attività. Noi facciamo solo condivisione delle
spese. Ci finanziamo prelevando una debole commissione».
È
vero che da giovane era un «genietto » della matematica ?
«Vivevo
in provincia. Mio padre era professore di matematica, oggi in
pensione. A casa bisognava sapere far di conto e bene. Nella mia vita
non c’erano solo i numeri ma anche il pianoforte. Sono venuto a
Parigi già durante il liceo per studiare musica».
Poi ha
superato l’esame di ammissione a Fisica alla Normale di Parigi, che
in Francia non è poca cosa. Chi esce di lì in genere diventa
professore universitario. O va a lavorare in una grossa impresa.
Perché un destino così diverso per lei ?
«Io dopo mi sono
anche laureato in Informatica a Stanford, dove gli studenti più
brillanti abbandonavano gli studi per fondare start-up o erano
assunti da Google. Lì mi si aprì un altro mondo».
Vaga sui
confini di mondi diversi....
«C’è una coerenza che
accomuna musica e matematica. E pure una certa logica e la
creatività. Quanto alla matematica e alla fisica mi aiutano nel
business, affinché il lato emotivo, che può risultare invadente,
non influenzi troppo le mie decisioni».
È vero che lei usa
spesso BlaBlaCar in incognito per verificare se il servizio funziona
davvero?
«Sì, anche se ormai mi riconoscono quasi
sempre».
Il suo grado di loquacità?
«Dichiaro un
blabla».
P.S. Ma i suoi compagni di viaggio non hanno dubbi:
Frédéric è un blablabla.