Arriva il batterio mangia-plastica
Lo hanno isolato alcuni scienziati giapponesi: è in grado di degradare e assimilare la plastica. Potrà essere usato per migliorare la salute dei nostri oceani – Da Repubblica.it del 11 marzo 2016
11 March, 2016
di Sandro Iannaccone
Qualcosa come 311 di tonnellate prodotte ogni anno. Di cui tra 4,9 e 12,7 milioni finiscono nei mari e negli oceani. Cifre che parlano chiaro: gli esseri umani sfornano (e abbandonano) tanta, tantissima plastica. E, stando alle stime dei ricercatori della Sea Education Association, pubblicate lo scorso anno sulla rivista Science, lo scenario è destinato a peggiorare: se non si interverrà quanto prima per migliorare lo smaltimento dei rifiuti nelle zone costiere e adottare sistemi di riciclo più efficienti, la quantità di plastica nei nostri mari potrebbe aumentare di dieci volte entro il 2025. Ma, fortunatamente, è in arrivo anche qualche timida buona notizia. Un'équipe di scienziati del Kyoto Institute of Technology e di altri istituti di ricerca giapponesi, infatti, ha appena isolato una specie di batterio, Ideonella sakaiensis, in grado di "divorare" la plastica, utilizzandola come fonte di sostentamento e crescita, mediante l'azione chimica di soli due enzimi. I dettagli della scoperta sono stati appena pubblicati su Science.
Il batterio, spiegano gli autori della ricerca, è particolarmente goloso di PET - per la scienza: polietilene tereftalato - , una delle plastiche più diffuse al mondo. Se ne producono circa 50 milioni di tonnellate l'anno ed è utilizzata soprattutto per scopi alimentari (bottiglie e contenitori per cibi e bevande), ma anche per costruire etichette, involucri per batterie, tubi e pellicole. Dal punto di vita chimico, si tratta di una plastica estremamente resistente al processo di biodegradazione, cioè di distruzione da parte di agenti biologici: finora si riteneva che solo due funghi, tra gli organismi conosciuti, fossero in grado di decomporre parzialmente il PET. Almeno fino a oggi, quando è stato identificato Ideonella sakaiensis.
Il batterio è stato scovato dagli scienziati analizzando oltre 250 campioni prelevati da un sito di riciclaggio di bottiglie in PET, ed è assolutamente unico nel suo genere. In particolare, i ricercatori del Kyoto Institute of Technology, guidati da Shosuke Yoshida, hanno identificato i due enzimi chiave nella reazione di idrolisi (cioè di rottura, decomposizione) della plastica, descrivendo in dettaglio il processo. Il primo si chiama, molto banalmente, PETase, ed è secreto dal batterio quando questi aderisce alle superfici plastiche. Il secondo si chiama MHET idrolase, ed è quello responsabile della rottura delle catene di PET in molecole più piccole e "innocue", l'acido tereftalico e il glicole etilenico. Il processo, aggiungono gli scienziati, è purtroppo abbastanza lento - la degradazione completa di una piccola pellicola in PET impiega circa sei settimane alla temperatura di 30 °C - ma, nonostante ciò, "la scoperta potrebbe avere implicazioni molto importanti per il riciclo delle plastiche, così come per lo studio dei principi dell'evoluzione degli enzimi", come spiega Uwe T. Bornscheuer sull'editoriale che accompagna l'articolo scientifico.
La ricerca, naturalmente, andrà avanti: gli autori dello studio hanno infatti intenzione di capire se è possibile utilizzare il batterio per isolare l'acido tereftalico e riutilizzarlo per la produzione di nuova plastica, il che consentirebbe di evitare l'uso di petrolio. Oltre che, naturalmente, comprendere a fondo i meccanismi di decomposizione della plastica, con lo scopo di intraprendere azioni corali di bonifica degli ecosistemi. Il pericolo, in effetti, è molto concreto: uno studio condotto dagli scienziati del Finnish Environment Insitute nel dicembre 2013, per esempio, ha svelato che la plastica che inquina gli oceani costituisce una grave minaccia per gli abitanti del mondo sottomarino: spezzettata dagli agenti atmosferici in particelle micrometriche - la cosiddetta microplastica - viene facilmente ingerita dal plancton, da dove si diffonde poi al resto dell'ecosistema. Il problema è particolarmente sentito anche in Italia: come ha evidenziato il rapporto Marine litter 2015, pubblicato da Legambiente a novembre scorso, il 95% dei 2597 rifiuti galleggianti in 120 chilometri quadrati di mare è fatto di plastica. Al primo posto, fogli e buste, letteralmente letali per la fauna. Il mare più inquinato è l'Adriatico, seguito dal Tirreno e dallo Ionio. Altro che bandiere blu.