Se Gambero Rosso premia i “ravioli cinesi” di via Paolo Sarpi
La prestigiosa etichetta del miglior street-food lombardo va a una bottega della “Chinatown milanese” - da WIRED.IT del 29.07.2016. Un luogo di cui ECO aveva già scritto (ingredienti a "km 0" e cucina anti-spreco) per Quartieri Ricicloni
31 July, 2016
di Michela Dell'Amico
Il miglior street food lombardo? È cinese e si trova a Milano, in quella via Paolo Sarpi tanto osteggiata da una certa “cultura”, che considera la Chinatown più antica d’Europa un ghetto di malfattori a muso basso, capaci solo di vendere paccottaglia e offrirti cibo da mal di pancia.
Invece il prestigioso riconoscimento arriva da Gambero Rosso, che già aveva descritto nel dettaglio l’alchimia di questa minuscola bottega che prima di aprire aveva già incuriosito tutti, perché ben presentata dal suo vicino, il macellaio Walter Sirtori: per noi del quartiere, un’istituzione. Vende carne da allevamenti biodinamici e biologici dagli anni ’70. Per lui la salute e il benessere dell’animale sono la stessa cosa della qualità di tutti i prodotti che vende: dal parmigiano alla bistecca, dal salame alle lasagne al forno. Il negozio di Walter è multiculturale, e il suo sorriso pure.
Quando dunque ha affittato il piccolo negozio accanto al suo a Hujian Zhou, meglio conosciuto come Agie, un giovane cinese laureato alla Bocconi, tag heuer formula 1 replica qualcosa è sbocciato.
Tra una chiacchiera e l’altra, i due hanno avuto modo di inventarsi un progetto di collaborazione basato prima di tutto sull’amicizia e il rispetto, e poi sull’amore per la cucina e il fiuto per gli affari.
Il risultato sono dei ravioli cinesi eccezionali, una produzione innovativa e una vendita super easy, appunto take away, mentre la qualità, prima che sentirsi al palato, è spiegata sul bancone: farine pregiate e poco raffinate a km zero, carne di qualità del vicino. I due, così, si fanno pubblicità a vicenda, si stimolano a vicenda, si aiutano e si prestano frigoriferi e padelle, rinnovano la zona mentre la tuffano nella tradizione.
Il successo dipende anche dal sorriso di chi ti vende i ravioli. Vero, non tutti i cinesi della nostra Chinatown sono disponibili come le “signore” di Agie, donne di casa che nulla sapevano di ristorazione, e che mentre ti impastano il raviolo sono pronte a chiacchierare. Ma la colpa è anche nostra, che non abbiamo mai saputo valorizzare anche turisticamente – a partire dalle classiche porte d’ingresso con dragone! – questa bella e antica parte di Milano che, si vede proprio da questa storia, potrebbe portare ricchezza e invece rimane un luogo di divisione, da sempre penalizzato da ordinanze nemiche dei negozi cinesi.
Stando in fila ad aspettare i miei ravioli – o, sottolineo, l’altrettanto valida piadina cinese: deliziosa! – capita di trovare gli italiani un po’ impreparati sul concetto di street food. Prendono in mano l’involucro fumante e si guardano intorno, e chiedono: “Beh, magari li mangiamo sulla panchina?” “Ma anche camminando!”, risponde la signora cinese alla cassa che, ricorda: “È così che funziona”. Come funzioni lo street food noi italiani non lo abbiamo capito ancora bene.
Ci piace, ma ci fa strano non avere le gambe sotto al tavolo se ci troviamo in mano una forchetta. Per carità, impariamo in fretta, e le file da Agie si fanno sempre più lunghe, come pure nei locali cinesi che hanno presto imitato la formula. A pochi passi c’è la trattoria che prepara piatti tipici cinesi e che sulla vetrata specifica che, assieme al cibo, ti vendono anche la cultura.
Poco più in là ci sono le zuppe da mangiare passeggiando. Uno stile facile quello del take away, ma che – chissà perché – ancora non decolla da noi, almeno da noi ristoratori italiani.
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