“Nei nostri refettori niente panino” L’aut aut dei gestori delle mense
Da La Repubblica Torino del 13.09.2016
13 September, 2016
“Nei nostri refettori nessuno mangerà i pasti fatti a casa”
L’INTERVISTA SCARSCIOTTI, AZIENDE RISTORAZIONE
DIEGO LONGHIN
«SE lei va in un ristorante si porta il pasto da casa? Non credo. E non chiederà al ristoratore di tenere il prosciutto in frigo». Parola di Carlo Scarsciotti, presidente Angem, Associazione nazionale delle aziende della ristorazione collettiva.
Ingegner Scarsciotti, se nei prossimi giorni in mensa si presenterà un bambino con il pranzo portato da casa, l’azienda di ristorazione di turno cosa dovrà fare?
«Nei refettori gestiti dalle società in appalto il bambino non può mangiare. Non siamo noi a doverglielo dire, e l’ente di riferimento, il Comune, che deve dirlo alle famiglie. Nelle mense non ci può essere un servizio misto, chi mangia i piatti cucinati dalle aziende e chi quelli portati da casa. Sarebbe una follia».
C’è una sentenza. Perchè sarebbe una follia?
«La sentenza garantisce un diritto. Sulla sentenza non abbiamo nulla da dire. Noi però dobbiamo garantire la tutela della salute e della corretta alimentazione. Non possiamo essere responsabili di pasti prodotti da altri e consumati nei locali gestiti da noi. Incidenti, intossicazioni, allergie. Nei refettori dove la responsabilità e delle aziende non si possono consumare cibi provenienti da fuori. Deve essere tutto rintracciabile. Il Comune deve attrezzare locali diversi dai nostri».
Come garantire il diritto?
«Attendiamo di capire cosa ci dicono i Comuni, le scuole. Abbiamo fatto anche un interpello al ministero della Sanità. Le leggi vanno rispettate. Non basta una lettera con cui il Comune dice di far mangiare i bambini che portano il pasto da casa. E questo vale anche per le scuole che gesticono in proprio la mensa».
Perchè?
«Anche la scuola si deve attenere alle norme igienico-sanitarie. Ambienti separati anche in questo caso e con sorveglianza».
Ma cosa può succedere?
«Se un bambino allergico al lattosio mangia un pezzo di mozzarella portata da casa da un compagno di chi è la responsabilità? Io come azienda devo conservare il cibo per le 24-48 ore successive per i controlli del caso».
Cosa deve fare il Comune?
«Attrezzare locali diversi. Refettori con personale di sorveglianza e macchinari per la catena del freddo e del caldo. Non è proprio un’area a costo zero. E sarò curioso, a fine anno, di vedere anche quanto l’autogestione sarà costata alle famiglie».
Un appalto che prevede la gestione mista risolverebbe la questione?
«Con le norme attuali sarebbe impossibile partecipare. Noi dobbiamo garantire la tracciabilità dei prodotti. Se molte famiglie dovessero disdire la mensa diventerà antieconomico proseguire. Posti di lavoro in fumo».
L’INIZIATIVA DI UN GENITORE E AVVOCATO
Partono i “controricorsi” per difendere il servizio
JACOPO RICCA
NEL SILENZIO Del tribunale, che anche ieri non ha deciso sul reclamo del ministero dell’Istruzione, alzano la voce i genitori che vogliono continuare a usare il servizio mensa. Un gruppo di loro ha preso carta e penna, e tramite l’avvocato Alessandro Lazzari, ha scritto alla Città, al ministero e alle scuole: «Il pasto da casa dev’essere consentito solo ai ricorrenti e nelle modalità previste dalle sentenze».
L’iniziativa è nata all’elementare Palmieri di Cit Turin, ma verrà estesa a altre scuole. Nella lettera si annuncia che si prenderanno iniziative per ridurre i costi del servizio mensa, punto su cui “pro panino” e “anti panino” concordano: «Ci attiveremo per questo – scrivono – Ad esempio, con la proposta di distribuire la spesa su tutti i cittadini come già accade per gli altri costi scolastici». In questi giorni il gruppo vorrebbe confrontarsi anche con altre organizzazioni, come il Coogen, coordinamento genitori, che si è detto contrario alla liberalizzazione per iniziative comuni: «Non sappiamo se la strada migliore sia fare nuove cause di senso opposto, ma è giusto far sentire la voce di chi la mensa la vuole difendere».
Le preoccupazioni di questi genitori si muovono su due piani. Da un lato temono che il pasto promiscuo metta a rischio la salute dei bambini: «Crescono i rischi di contaminazione di tossinfezione » spiegano. «Si obietta che già i bambini mangiano la merenda portata da casa, ma noi vorremmo che anche questa fosse gestita come il pranzo» – aggiunge Lazzari. Dall’altra c’è la paura che il riconoscimento di un diritto, come quello di consumare il cibo portato da casa, «metta a rischio l’intero sistema e porti all’aumento delle tariffe: «Il nostro timore è che la fuga dalla mensa porti al clllasso la refezione scolastica – dice ancora l’avvocato – Questo sarebbe un danno enorme per il sistema educativo. In mensa si impara la convivialità e invece con la nuova organizzazione rischiamo di avere discriminazioni, invidie tra i bambini e di mettere in difficoltà gli insegnanti. Non è questo il modello educativo che vogliamo per i nostri figli».