Clima. Presentato a Marrakech il rapporto annuale di Germanwatch: l'Italia fa un passo avanti
L’Italia sconta la mancanza di una politica climatica adeguata ma sale in classifica grazie alla riduzione delle emissioni al 2014 dovute agli investimenti sulle rinnovabili. Legambiente: “Per salvare il Pianeta dai cambiamenti climatici occorre accelerare le politiche verso l’accordo di Parigi. Subito un forte segnale dall’Europa”
16 November, 2016
Nessun paese si attesta in una delle prime tre posizioni della classifica perché, anche quest’anno, nessuno dei paesi ha raggiunto la performance necessaria per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici in corso e contribuire a mantenere le emissioni globali ben al di sotto della soglia critica dei 2°C e tantomeno di 1.5°C, secondo quanto concordato lo scorso dicembre a Parigi.
Al 4° posto, per la prima volta, si classifica la Francia – dopo l’8° dello scorso anno – grazie all’eccezionale ruolo svolto per il raggiungimento dell’Accordo di Parigi. Seguono Svezia (5) e Regno Unito (6) che beneficiano delle politiche climatiche dei precedenti governi.
Il Marocco (8), che quest’anno ospita la Conferenza sul Clima, continua il suo trend positivo, consolidando la sua leadership in Africa grazie ai considerevoli investimenti nelle rinnovabili e agli ambiziosi impegni assunti (riduzione del 32% del trend attuale delle sue emissioni entro il 2030) nell’ambito dell’Accordo di Parigi per un paese ancora in via di sviluppo.
Anche l’Italia fa un passo in avanti, rispetto allo scorso anno, passando dal 20° al 16° posto grazie alla considerevole riduzione delle sue emissioni (-19.8% nel 2014 rispetto al 1990 con una riduzione del 4.6% rispetto all’anno precedente) dovuta all’onda lunga degli investimenti degli anni precedenti nelle rinnovabili (22esima posizione della classifica specifica) purtroppo arrestatasi nel 2014 e dal contributo dell’efficienza energetica (21° posto) combinato con la perdurante stagnazione economica. Trend positivo nonostante l’assenza di una politica climatica nazionale a livello degli altri partner europei, che relega il nostro paese in fondo alla classifica specifica (44°) stilata dal rapporto per quanto riguarda le politiche nazionali. Assenza che tuttavia inizia a farsi sentire sempre più. Secondo i dati preliminari dell’Ispra, nel 2015 si è registrato infatti un aumento delle emissioni totali del 2%, dovuto soprattutto alle emissioni del settore energetico che sono cresciute del 3%.
Questi, in sintesi, i dati emersi dal rapporto annuale di Germanwatch e CAN-Europe sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia, presentato oggi a Marrakech. Rapporto che conferma anche quest’anno la continua crescita a livello globale delle rinnovabili e un ulteriore sviluppo dell’efficienza energetica a scapito soprattutto del carbone. Tuttavia, questa rivoluzione energetica procede ancora troppo lentamente rispetto a quanto richiesto dall’Accordo di Parigi.
“Il rapporto evidenzia come i paesi europei, rispetto al passato, stiano rallentando la loro performance climatica, mentre le economie emergenti si avvicinano sempre più. Serve subito un forte segnale dall’Europa, soprattutto dopo l’elezione di Donald Trump, e a partire da Marrakech, dove deve riconquistarsi con i fatti la storica leadership ormai in declino – ha dichiarato la presidente di Legambiente Rossella Muroni -. Abbiamo tutte le condizioni per poterlo fare. Rivedere l’attuale impegno di riduzione del 40% è possibile con un impatto positivo sull’economia europea, perché è ormai provato che l’azione climatica fa bene alla nostra economia. Dal 1990 al 2014 si è registrato un forte disaccoppiamento tra riduzione delle emissioni ed aumento del PIL e mentre le emissioni sono diminuite del 24%, il PIL europeo è invece aumentato del 47%. Una sfida che l’Europa e l’Italia possono e devono vincere per accelerare nella direzione dell’Accordo di Parigi e contribuire così a salvare il pianeta dai cambiamenti climatici”.
Nella classifica del rapporto, trend positivi si segnalano anche tra le economie emergenti del G20 come India (20), Argentina (36) e Brasile (40), che hanno registrato un importante passo in avanti rispetto al passato.
La Germania, dopo molti anni di leadership, continua invece il suo trend negativo retrocedendo al 29°posto. Caduta dovuta alla quota ancora considerevole del carbone nel mix energetico nazionale, che non consente la necessaria riduzione delle emissioni indispensabile al raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di riduzione entro il 2020 del 40% delle emissioni rispetto al 1990.
Nelle retrovie si posizionano Stati Uniti (43) e Cina (48) principali responsabili (insieme 38%) delle emissioni globali. Gli USA sono indietreggiati in quasi tutti gli indicatori compromettendo i passi in avanti degli scorsi anni. Senza tener conto che non è presa in considerazione dal rapporto l’impatto sulle politiche climatiche statunitensi dell’elezione di Donald Trump. Per quanto riguarda la Cina, nonostante la scarsa performance, va sottolineato il suo importante ruolo nella riduzione del consumo globale di carbone grazie alla chiusura lo scorso anno di 30 centrali a carbone.
Canada (55), Australia (57) e Giappone (60) sono i peggiori tra i paesi industrializzati con politiche climatiche ed energetiche fortemente inadeguate rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Il rapporto prende in considerazione la performance climatica di 58 paesi che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. La performance di ciascun paese è misurata attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI) e si basa per il 60% sulle sue emissioni (30% livello delle emissioni annue e 30% il trend nel corso degli anni), per il 20% sullo sviluppo delle rinnovabili (10%) e dell’efficienza energetica (10%) e per il restante 20% sulla sua politica climatica nazionale (10%) e internazionale (10%).