Differenziata: Roma ferma al 44% sale di appena un punto e mezzo, fermo anche il Porta a Porta con 33%
L’anno passato più di 700.000 tonnellate di rifiuti sono stati bruciati nei termovalorizzatori di altri territori, il 41% del totale
08 June, 2018
L’evidente criticità di gestione dei rifiuti per la quale si parla continuamente di “emergenza monnezza”, ha assunto caratteri di ciclicità periodica che la rendono strutturale. A due anni dall’insediamento della giunta, Legambiente, con il suo dossier realizzato utilizzando dati pubblici di Ama, ha tracciato un quadro complessivo del sistema di raccolta e gestione.
La situazione che emerge è sconfortante, la percentuale di differenziata cresce troppo poco dal 2016 al 2017 e rimane sostanzialmente piantata al 44%; la diffusione del Porta a Porta è ferma al 33% delle utenze nel 2017, stesso dato del 2016 e l’ambizioso programma del Campidoglio per il raggiungimento nei prossimi 3 anni (entro il 2021) del 70% di RD sembra compromesso considerando questi dati a meno di un cambio di rotta deciso.
Sul territorio romano c’è una disomogeneità totale nella modalità di raccolta per i 15 municipi: è positivo il superamento del 50% delle utenze passate al Porta a Porta nei municipi IX, VI e I, risulta fanalino di coda il V municipio con soli cassonetti. Anche il nuovo porta a porta a microchip, buon sistema introdotto anche per passare alla tariffa puntuale istituita per legge dalla Regione, ha una diffusione irrisoria con sole 327 utenze domestiche e 68 commerciali del Ghetto; la sua ulteriore diffusione, annunciata a tutto il VI e X municipio, riguarderà in realtà i soli quartieri di Axa e Fontana Candida/Due Leoni; mentre a San Lorenzo, Dragona, Dragonello, Centro Giano e Tor Bella Monaca Vecchia siamo ancora a studi preliminari.
“L’emergenza monnezza a Roma è ormai strutturale, quanto messo in campo dal Campidoglio è veramente troppo poco per un’inversione in positivo del ciclo dei rifiuti- dichiara Roberto Scacchi Presidente di Legambiente Lazio - i dati Ama lo certificano indiscutibilmente e serve un cambio di rotta deciso verso l’economia circolare. La percentuale di differenziata è sostanzialmente ferma così come la diffusione del porta a porta e ci sono municipi interi con soli cassonetti, i rifiuti viaggiano dovunque impattando sulla vita di cittadini di altri territori e accordi come l’ultimo per l’invio in Puglia, buono per una sola giornata di rifiuti, sono un nonnulla rispetto all’enorme mole di produzione. La buona sperimentazione del porta a porta a microchip è poco utile a mutare il trend, rivolgendosi a poche decine di utenze e intanto si è mandato a incenerimento il 41% dei rifiuti prodotti. Negli anni passati, avevamo indicato quattro punti che potevano essere i capisaldi di un nuovo ciclo virtuoso: diffusione del porta a porta in tutta la città, creazione di centri di riuso, tariffa puntuale e costruzione di biodigestori anaerobici per l’organico, proposte che purtroppo continuano ad essere attuali perché niente di tutto ciò sta avvenendo e impazzano immagini indecorose della monnezza di Roma”.
La capitale produce qualcosa come 1.700.000 tonnellate annue di rifiuti totali, con media giornaliera di 4.700 tonnellate e di questi, 1 milione di tonnellate sono ancora indifferenziato che passa nei TMB di Ama e privati con una forte migrazione in altri territori del Lazio, altre regioni e Austria; con questi numeri, l’accordo per conferire in Puglia, fino al 30 giugno prossimo, 4.500 tonnellate complessive, sembra del tutto irrisorio. Nel frattempo la Regione Lazio, per redigere il nuovo Piano regionale, sta attendendo gli ultimi documenti dalle Provincie.
Intanto nel 2017, più di 700.000 tonnellate di rifiuti, 41% del totale, sono stati bruciati nei termovalorizzatori di altri territori. Ci sono poi 172.000 tonnellate di umido nel 2017 da smaltire che hanno preso le strade del nordest Italia e si parla invece di Cesano e Casal Selce per la realizzazione di 2 impianti per il compostaggio aerobico: senza coinvolgimento alcuno dei territori, senza recupero di edilizia in disuso e con nuovo consumo di suolo nel verde, con una progettazione affidata all’obsoleta tecnologia aerobica che maleodora e non crea energia. Al contrario si dovrebbe puntare sui biodigestori anaerobici che non emetterebbero miasmi, non produrrebbero emissioni e immetterebbero in rete Snam il biometano prodotto.