Ecomori, chi sono i migranti che aiutano i poveri italiani
Paolo Hutter sul Fatto Quotidiano
08 July, 2018
Pure in uno scontro aperto ed epocale come quello sulla immigrazione forse è possibile fare e proporre delle cose che possono essere apprezzate anche da chi ha dei punti di vista molto diversi. Cose che possono essere interpretate in modo parzialmente diverso, funzionali a narrazioni anche diverse, ma positive perché non tolgono niente a nessuno, e forse consentono di ridimensionare una parte del contenzioso. Mi riferisco in generale alle migliori pratiche già in corso in vari comuni italiani con richiedenti asilodurante il periodo dell’accoglienza o subito dopo. Non è vero che ci siano solo speculazione, o parassitismo, o perdite di tempo o assistenzialismo vuoto. Ci sono anche delle esperienze positive. In particolare voglio accennare a una attività in cui i richiedenti asilo (in genere africani neri) aiutano direttamente persone in povertà, italiani o immigrati da lungo tempo. In alcuni mercati di Torino, Milano e Roma sono già attivi alcuni “ecomori” ( è una definizione autoironica che mette insieme il “colore della pelle” e il carattere ecologico delle azioni) che insieme ad attivisti delle associazioni Eco dalle Città e Recup raccolgono a fine mercato le eccedenze, quella parte di ortofrutta invenduta che gli ambulanti stessi non ritengono di conservare per il giorno dopo.
Non le raccolgono per sé ma per redistribuirle, a fine mercato, a chi viene a cercare un po’ di cibo gratis (che siano indigenti secondo i canoni tradizionali o “freegans” appassionati). Così si assiste alla scena, simbolica ma estremamente concreta della mano nera che mette il frutto o l’ortaggio nella mano bianca. Questa attività è finora perlopiù volontaria, ed è ancora largamente al di sotto delle potenzialità. Sono tanti I mercati e sono tanti i richiedenti asilo che hanno energia da dedicare a questo tipo di esperienza, tanto più che si tratta di un lavoro di sole due ore. Si stanno però anche sperimentando delle forme di retribuzione almeno parziale, o di tirocinio retribuito. C’è un fondamento economico che va anche al di là del valore del cibo recuperato, ed è il contributo che questa azione da alla riduzione dei rifiuti da gestire, ed eventualmente alla raccolta differenziata.
Credo che ragionando con un po’ di creatività, ci siano anche altre attività in cui i richiedenti asilo, o i neo-rifugiati possono essere di aiuto diretto concreto e immediato alle fasce più disagiate della popolazione e non solo indirettamente tramite la pulizia di parchi e giardini, forse l’unica attività di volontariato che è stata finora praticata, e neanche in larga scala.
Come dicevo in premessa, c’è chi può interpretare queste attività come una forma di restituzione della assistenza ricevuta nell’accoglienza, oppure come una forma di protagonismofinalizzata a formarsi per entrare con forza nella società. O tutt’e due le cose. A mio parere, tanto per intenderci e per evitare estremizzazioni in un senso o nell’altro, non può essere un’attività obbligatoria né viceversa una attività da proibire come se fosse lavoro nero o forzato. Nella situazione italiana, nel reale, come nel percepito, può essere una strada valida da percorrere: di intelligenza sociale.