Filiera abiti usati: lo stato dell’arte e l’esperienza di Humana
Eco dalle Città ha intervistato Pietro Luppi, direttore dell'Occhio del Riciclone. Al centro del dibattito la trasparenza della filiera. L'esempio di Humana che ha realizzato uno strumento di verifica chiamato ESET (acronimo di Filiera Ecologica Solidale e Trasparente)
28 January, 2019
Come funziona e qual è lo stato dell’arte della filiera degli abiti usati in Italia?
La filiera degli indumenti usati in Italia è divisa in tre grossi segmenti. Il primo è il settore delle donazioni degli abiti ad enti profit, parrocchie, gruppi di volontari. In questo caso si pensa che gli abiti siano oggetto di regalo per bisognosi, invece spesso nascono delle filiere perché nella maggior parte dei casi gli indumenti vengono venduti ed entrano in un circuito commerciale. C’è poi la parte della raccolta degli indumenti con i contenitori gialli stradali (in questo caso “rifiuti”) che dopo un trattamento “end of waste” sono avviati a filiere commerciali (che spesso sono le stesse filiere delle donazioni). Il terzo segmento, invece, afferisce ad una logica diversa che è quella dei negozi dell’usato conto terzi: qui i clienti portano gli abiti nei punti vendita ed è lì che vengono rivenduti.
Abbigliamento da uomo
Abbigliamento da uomo
Qual è la filiera più consistente?
In termini assoluti, la filiera della raccolta tramite contenitori stradali è diventata la più consistente. Secondo dati Ispra nel 2017 state 133 mila le tonnellate raccolte con una crescita esponenziale negli ultimi anni. Si stima, inoltre, che esista una grande quantità di sommerso per cui questi numeri potrebbero raddoppiare.
Parlando invece della strutturazione della filiera, al primo anello c’è spesso un ente no profit. Questo stipula una convenzione con chi gestisce la raccolta dei rifiuti urbani per prendere in carico il servizio di raccolta differenziata del rifiuto tessile. Chi ottiene la convenzione quindi raccoglie questi indumenti usati, classificati come rifiuti, e li trasporta in impianti idonei per lo stoccaggio e il trattamento. Una volta che questi cessano di avere lo status di rifiuto, vengono venduti a grossisti che si occupano della loro commercializzazione in Italia e all’estero. Della totalità dei rifiuti raccolti, circa il 65% è riutilizzabile. Tra il 20 e il 30% viene avviato a riciclo delle fibre tessili o altre forme di recupero. La restante parte invece non è recuperabile e va smaltimento.
Per quanto riguarda il mercato, una buona parte degli indumenti riutilizzabili trova sbocco all’estero, in paesi a reddito inferiore del nostro: dall’Europa orientale al Nord Africa, fino all’Africa Sub-sahariana. Arrivati a destinazione, i vestiti sono presi in carico da grossisti che poi li distribuiscono a venditori che sono per lo più ambulanti. Anche la quota che rimane in Italia segue lo stesso percorso: passa da grossisti che successivamente vendono la merce a venditori ambulanti.
Lei è anche responsabile Innovazione per Humana, una realtà molto conosciuta in questo settore. In quale dei segmenti descritti si colloca questa realtà?
Humana è costituita in Italia da due organismi. Una cooperativa, che si occupa di produzione e lavoro, e una Onlus per lo sviluppo di progetti di solidarietà nel Sud del Mondo. La cooperativa per obbligo statutario non distribuisce utili e ristorni ai propri soci ma destina ogni margine al finanziamento dei progetti della ONLUS. La cooperativa è il principale player in Italia per la raccolta dei rifiuti tessili con 1.200 comuni convenzionati e circa 5.000 contenitori dislocati sul territorio.
E’ importante sottolineare la particolarità della filiera di Humana, in quanto fa parte di un movimento internazionale: buona parte dei vestiti raccolti dalla Cooperativa Humana Italia sono destinati a “consorelle” estere che fanno parte di questo movimento e condividono gli stessi valori. Ciò che le strutture del movimento non riescono ad assorbire viene venduto a soggetti esterni. La filiera interna al circuito Humana inizia con la raccolta, prosegue con lo stoccaggio e la selezione e finisce con il commercio all’ingrosso e al dettaglio in Italia, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Lituania, Mozambico e Malawi. Dato che tutto avviene internamente al movimento, è possibile controllare e tracciare sia i materiali che i flussi di denaro lungo tutta la filiera e fino alla destinazione finale. A questo proposito Humana ha sviluppato uno strumento di verifica chiamato ESET (acronimo di Filiera Ecologica Solidale e Trasparente) insieme all’ente di certificazione internazionale Bureau Veritas che ha verificato direttamente tutto il percorso della filiera. Grazie a questo strumento Humana può dimostrare il carattere no profit ed etico della propria filiera. Ora stiamo lavorando per estendere lo stesso livello di verifica anche ai soggetti esterni che acquistano le eccedenze: questo è un punto molto importante perché renderà ESET pienamente applicabile non solo in filiere che, come quella di Humana, sono caratterizzate da un alto livello di controllo diretto di tutti i passaggi, ma anche quelle filiere dove l’ente che raccoglie controlla direttamente solo il primo anello della catena. Speriamo che ESET, o strumenti ad esso analoghi, possa diventare una garanzia per tutte le filiere non profit che vogliono dimostrare la loro identità etica e solidale.
Cosa ha spinto Humana a realizzare ESET?
La filiera degli indumenti usati in Italia è un settore problematico, in quanto esistono oggettive infiltrazioni da parte della criminalità organizzata. Per questo, l’applicazione di strumenti di questo tipo è fondamentale. Con ESET chi è onesto ha modo di dimostrarlo e chi è disonesto può essere escluso con oggettività. Purtroppo, quando sui media escono notizie di cronaca legate a questo settore, i cittadini sono portati a generalizzare senza distinguere tra operatori onesti e disonesti. Si crea così l’idea che questo sia un settore “sporco”. Gli operatori sani devono quindi difendersi e il miglior modo per farlo è dotarsi di strumenti per la trasparenza totale della filiera. Se poi si adottassero anche strumenti di prevenzione in fase di convenzione e gara, come ad esempio l’obbligo di tracciare il percorso degli indumenti, questo contribuirebbe in partenza a sgombrare il campo dagli operatori meno onesti.
https://www.hellenwoody.com/it/
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