Legambiente presenta Comuni Rinnovabili 2019: 'Troppo lenta la crescita dell’energia pulita in Italia, a rischio gli obiettivi al 2030'
L'associazione: “È il momento delle scelte: si deve recepire subito la direttiva europea sulle comunità energetiche e l’autoproduzione da fonti pulite per rilanciare gli investimenti che aiutano famiglie e imprese”
15 May, 2019
È quanto rivela il rapporto Comuni Rinnovabili 2019 di Legambiente, presentato oggi a Roma e disponibile sul sitowww.comunirinnovabili.it, che analizza non soltanto il cambiamento in corso nel sistema energetico italiano e internazionale ma, attraverso il racconto di 100 storie del nostro territorio, dimostra come sia già in atto un percorso di sviluppo e di innovazione radicale dell’autoconsumo e delle comunità energetiche. Un modello sempre più distribuito che rappresenta una straordinaria opportunità di sviluppo locale in chiave di sostenibilità ed economica circolare, capace di aprire nuove opportunità nelle nostre città e di ridurre importazioni di gas e carbone, oltre che la spesa energetica complessiva. Ed è quello che, anche alla luce dell’emergenza imposta dai cambiamenti climatici, ci chiede l’Europa: con la direttiva 2018/2011 si apre uno scenario che può portare a un salto di scala nella trasformazione del sistema energetico con ricadute non solo nei diversi settori produttivi, ma che entrerà nelle città e negli edifici, nella mobilità e nelle abitudini delle persone.
«Non possiamo più aspettare: lo sviluppo delle rinnovabili in Italia è praticamente fermo e non ha alcun senso rinviare una scelta che può fermare la febbre del pianeta ed è nell’interesse dei cittadini, delle imprese – dichiara Edoardo Zanchini vicepresidente di Legambiente –. L’Europa ha definito principi e regole per le comunità energetiche e i prosumer (produttori-consumatori) di energia da fonti rinnovabili, grazie alle quali saranno smontate le assurde barriere che oggi impediscono di scambiare energia pulita nei condomini o in un distretto produttivo e in un territorio agricolo. In più si aprirebbero le porte a investimenti innovativi che tengono assieme fonti rinnovabili, efficienza energetica, sistemi di accumulo e mobilità elettrica. La sfida è dunque di entrare al più presto nel merito delle scelte concrete da compiere e che Governo e Parlamento si impegnino a recepire entro il 2019 la direttiva europea».
Per sostenere questa richiesta Legambiente ha lanciato oggi su Change.org la petizione “Liberiamo l’energia rinnovabile”, indirizzata al presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e al vice presidente e Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio per chiedere di aprire subito alle comunità energetiche e all’autoproduzione da rinnovabili e semplificare le procedure per tutti coloro che scelgono di puntare sulle energie pulite.
I report dell'IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) sull’accelerazione drammatica dei processi climatici, le proteste dei Fridays for Future, le notizie sulle alluvioni in Mozambico e l’aumento della temperatura dell’Artico, hanno rafforzato l’attenzione e il consenso verso scelte capaci di rilanciare subito gli investimenti per stare davvero dentro gli obiettivi fissati con l’Accordo di Parigi sul Clima. La buona notizia, sottolinea Legambiente nel suo rapporto, è che tutti gli studi dimostrano che quegli obiettivi (-55% delle emissioni al 2030) sono raggiungibili nel nostro Paese e porterebbero benefici pari a 5,5 miliardi di euro all’anno e alla creazione di 2,7 milioni di posti di lavoro come dimostrato da una ricerca realizzata da Elemens per Legambiente.
«È tempo di aprire un confronto sulle scelte nei diversi settori produttivi e sulle politiche più efficaci di efficienza energetica e sviluppo delle fonti rinnovabili – aggiunge Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente -. Dobbiamo riuscire entro il 2030 quanto meno a triplicare i 20 GW installati di impianti solari e realizzare investimenti capaci di ridurre drasticamente consumi energetici e emissioni di CO2. Il 2019 sarà un anno fondamentale, perché queste decisioni dovranno essere messe nero su bianco nella versione finale del Piano energia e clima, da presentare a dicembre a Bruxelles, che dovrà fissare la traiettoria degli obiettivi e delle politiche al 2030 e poi di completa decarbonizzazione. Fino ad oggi è mancato un dibattito pubblico su quanto questi obiettivi siano intrecciati con le risposte di cui il nostro Paese ha bisogno per uscire dalla crisi. La prospettiva della generazione distribuita è fondamentale anche perché è una risposta locale a problemi globali che si può applicare ovunque».
Cambiare passo è necessario e lo dimostrano i numeri del rapporto di Legambiente: nel 2018 le installazioni da rinnovabili hanno continuato con ritmi lentissimi, in continuità con gli ultimi cinque anni (una media di 502MW all’anno per il solare e di 342 per l’eolico), assolutamente inadeguati perfino a raggiungere i già limitati obiettivi al 2030 della Strategia energetica nazionale e del nuovo Piano Energia e Clima. Il lato positivo è che i buoni risultati raggiunti negli ultimi dieci anni dal nostro Paese sono stati possibili proprio grazie agli oltre 822mila impianti fotovoltaici distribuiti in quasi tutti i comuni italiani, a oltre 17mila tra idroelettrici (3.430), eolici (4618), da biogas e biomasse (2753), geotermici ad alta e bassa entalpia (7164), i 4,36 milioni di metri quadri di impianti di solari termici e gli oltre 66mila impianti a bioenergie termici.
Se si guarda il totale dell’installato in Italia, la tecnologia in maggiore crescita è il fotovoltaico che ha raggiunto i 20,1 GW, mentre quella con la maggior potenza complessiva è ancora l’idroelettrico dove si sono aggiunti 1,5 GW di mini agli impianti “storici”. A livello regionale è, invece, la Lombardia quella con il maggior numero di impianti da fonte rinnovabile in Italia (8.850 MW installati), grazie soprattutto all’eredità dell’idroelettrico del secolo scorso. Mentre è la Puglia la regione in cui vi sono le maggiori installazioni delle “nuove” rinnovabili, ossia solare e eolico (5.213 MW su 5.532 MW totali).
Del nuovo scenario aperto dopo l’approvazione della Direttiva Ue e delle proposte per il recepimento in Italia si è discusso questa mattina all’Hotel Nazionale di Roma nel corso dell’incontro Comunità Rinnovabili e Prosumer. Il tempo è adesso!, promosso da Legambiente. Una dibattito che ha visto la partecipazione di Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente; Katiuscia Eroe, responsabile Energia Legambiente; Danilo Di Florio, Solis Green Log; Tommaso Barbetti, Elemens - Tavolo Autoconsumo ed efficienza; Marco Bussone, presidente Uncem; Sara Capuzzo, vicepresidente ènostra Emilio Sani, Italia solare; Angelo Tartaglia, portavoce Oil free zone Pinerolo; Andrea Zaghi, direttore Generale Elettricità Futura; Giovanni Battista Zorzoli, presidente Coordinamento Free; Tullio Patassini Commissione attività produttive Camera dei Deputati; Gianni Girotto, presidente Commissione Industria Senato; Antonio Misiani, Commissione Bilancio Senato; Rossella Muroni, Commissione Ambiente Camera. Gli interventi di Sara Pizzinato, Riccardo Battisti e Marco Pezzaglia hanno permesso di chiarire il quadro della situazione negli altri Paesi europei e delle scelte per il recepimento della Direttiva in materia di autoproduzione e comunità energetiche.
Il calo negli ultimi anni non è dovuto solo al taglio degli incentivi, ma anche alle barriere, anche non tecnologiche, che trovano i progetti nei territori. Ad esempio il tema delle autorizzazioni e del consenso locale rimane ancora un buco nero delle procedure italiane, da affrontare quanto prima sia per i nuovi impianti sul territorio italiano che per l’eolico off-shore, ma anche per il revamping degli impianti esistenti. Il Piano Energia e Clima deve affrontare i nodi che ancora impediscono il pieno sviluppo delle rinnovabili in Italia, sia in termini di autorizzazioni che di meccanismi di supporto allo sviluppo delle energie pulite, tra cui i contratti di lungo termine tra privati (PPA), e di premiare i sistemi capaci di contribuire alla flessibilità della rete grazie all’integrazione di fonti rinnovabili, sistemi di accumulo, mobilità elettrica. Non è un problema di risorse per gli investimenti o di oneri di sistema nelle bollette, perché questa prospettiva consente di spostare verso l’elettrificazione una quota rilevante dei consumi e di ridurre importazioni di gas e carbone. Inoltre si deve intervenire per spostare la fiscalità in campo energetico e ambientale secondo il principio "chi inquina paga" e tagliare i sussidi alle fonti fossili come ci chiedono da tempo tutte le istituzioni internazionali.
L’altra faccia della medaglia, quella positiva, è invece rappresentata dalle storie raccontate nel dossier (tutte disponibili su www.comunirinnovabili.it), perché confermano che è possibile realizzare impianti ben integrati nell’ambiente e nel paesaggio.
Storie che hanno al centro il tema dell’autoproduzione e della distribuzione locale: esperienze che dimostrano come sia già possibile fare a meno delle fonti fossili, in ogni area dell’Italia. Tra queste c’è ad esempio la Cooperativa Elettrica di Funes, in provincia di Bolzano, i cui soci sono gli stessi abitanti della valle, che soddisfa pienamente il fabbisogno del territorio, grazie al mix delle fonti rinnovabili. Produce più energia pulita di quanta ne consumi e il resto viene venduto alla rete nazionale reinvestendo i ricavi sia in sconti sulla bolletta elettrica, sia progettando e realizzando nuovi impianti. Anche nel settore agricolo le esperienze positive non mancano, come l’Azienda Agricola Val Paradiso a Naro (Agrigento), dove si coltivano oltre 100 ettari di ulivi secondo i disciplinari dell’agricoltura biologica e l’intero processo produttivo è alimentato con energia pulita proveniente da fonte rinnovabile. Lo stesso avviene nell’Azienda Agricola Arte, situata tra Manfredonia e Cerignola in Puglia, che quattro anni fa ha avviato una produzione biologica certificata e ora è autosufficiente nei consumi grazie a un impianto di biogas. Oppure l’Azienda Agricola Isola Augusta, nel comune di Palazzolo dello Stella (Udine), che nel corso degli anni ha realizzato tre impianti fotovoltaici che riducono i costi di energia impiegata. L’azienda dispone anche di una colonnina di ricarica per veicoli elettrici, oltre ad un impianto geotermico ad acqua di falda che riesce a soddisfare l’80% del riscaldamento delle strutture (alloggi, agriturismo, cantina). Tra le storie segnalate quella del Comune di Cavalese in Val di Fiemme in Trentino Alto Adige, dove è presente un impianto di teleriscaldamento alimentato a biomassa, proveniente dagli scarti di lavorazione delle segherie e falegnamerie locali, che sostituisce oggi oltre 3.500.000 di litri di gasolio e produce energia elettrica e termica distribuita attraverso le reti locali. A questo si aggiunge, per la parte elettrica, un impianto mini idroelettrico e un impianto di digestione anaerobico per il trattamento della frazione organica, in grado di produrre energia elettrica rinnovabile e compost di grande qualità. La Sem (Società Elettrica in Morbegno), in provincia di Sondrio, è invece una cooperativa fondata nel 1897 che produce energia elettrica attraverso lo sfruttamento di nove impianti mini idroelettrici situati in Valtellina/Alto Lario ed è oggi distributore unico per alcuni comuni della zona. Una “public company” composta da 624 utenti soci e 165 utenti non soci. A questi si aggiungono poi altri impianti sempre con energie rinnovabili.
Il dossier completo è disponibile a questo link