Crollo del mercato della carta da macero: il grido di allarme delle imprese del settore
Pubblichiamo di seguito la nota di Unirima sulla situazione del mercato della carta da macero con un'analisi dei problemi sia di mercato che di chiusura del ciclo
10 June, 2019
Per decenni le nostre imprese hanno creato valore dal recupero dei materiali e questo valore è stato distribuito nella filiera, fino al produttore del rifiuto, che si è visto riconoscere un corrispettivo economico per la cessione del rifiuto piuttosto che essere costretto a pagare come avveniva per tutti gli altri rifiuti. Oggi però, proprio quando si parla tanto di Economia Circolare e le direttive europee finalmente ne tengono conto, si assiste ad un tale deprezzamento dei materiali recuperabili che la gestione dei materiali cardine dell’Economia Circolare, cioè la carta ed altri, rappresenta un costo per tutti.
Tutto
questo impone un cambiamento di paradigma da parte di tutti i
soggetti coinvolti nella filiera. In particolare i produttori dei
rifiuti sono costretti a fare i conti con una situazione del tutto
inaspettata. Proprio quando si parla tanto di Economia Circolare sono
costretti a pagare per il recupero dei rifiuti piuttosto che vedersi
riconoscere un corrispettivo economico. E più passano i mesi e più
questo costo è crescente. Per fare un esempio, mentre fino a qualche
anno fa il recupero degli imballaggi misti poteva essere svolto senza
costi per il produttore oggi è inimmaginabile un costo inferiore a
250 euro/ton. Anzi prezzi bassi nella gestione dei materiali
recuperabili sono il sintomo di una gestione poco trasparente da
parte delle imprese del recupero, che può sconfinare
nell’illegalità.
I
motivi sono molteplici.
C’è un problema di mercato.
Il valore della carta da macero è tornato ai minimi storici come nel 2008, solo che allora c’era stata la crisi dei mutui subprime ad affossare tutta l’economia mondiale, oggi non è così.
I cambiamenti dello scenario internazionale, derivanti in primo luogo dalla guerra commerciale fra Cina e USA (ma anche dalle nuove politiche di altri paesi del sud-est asiatico), hanno portato ad un surplus di carta da macero su tutti gli altri mercati poiché gran parte del materiale americano che veniva utilizzato nel mercato cinese è stato dirottato su altri mercati e ha determinato un affossamento delle quotazioni della carta da macero .
Il problema è quindi di portata globale, tanto che alcune municipalità, negli Stati Uniti, hanno deciso di interrompere le raccolte differenziate e ripristinare lo smaltimento di tutti i materiali raccolti perché economicamente più sostenibile rispetto al ciclo della raccolta, valorizzazione e recupero dei materiali.
Un
recentissimo articolo di un giornale di Hong Kong riporta il calo del
45% rispetto a dicembre scorso del prezzo del cartone, un crollo di
mercato che rischia di far chiudere le imprese e gli operatori della
raccolta del cartone con conseguenti impatti sulla città poiché con
prezzi così bassi (75 $/tons) diventa impossibile raccogliere il
cartone destinato al riciclo. Da
evidenziare la dichiarazione del direttore della Hong Kong Recycle
Materials and Reproduction Business General Association: “The
US-China trade war has a little bit of effect because the demand
would be lower. But this is not the biggest problem. The biggest
problem is the mainland factory wants to earn more when it has a
chance”.
Le
conseguenti ripercussioni sul nostro settore di questi mutamenti del
mercato internazionale sono pesantissime. Per avere idea del trend
negativo dei prezzi, il
grafico sottostante riporta l’andamento del prezzo
medio del cartone di tipologia
1.04.02 (Materia Prima per cartiera, prezzi franco acquirente) con un
crollo da
gennaio a maggio di circa il
25%.
C’è un problema di chiusura del ciclo.
Un altro problema è quello della sempre più cronica indisponibilità di impianti per lo smaltimento finale degli scarti non riciclabili derivanti dal trattamento dei rifiuti recuperabili. Infatti ogni filiera di materiale dell’economia circolare prevede che ci sia una certa percentuale di scarti che derivano dalla lavorazione necessaria per rendere recuperabili i materiali raccolti. La disponibilità di impianti per lo smaltimento finale di questi rifiuti sta continuamente diminuendo negli anni e questo porta i costi di smaltimento di questa parte residuale del ciclo a costi stellari che hanno un impatto economico devastante sulle filiere e possono portare anche al blocco totale del ciclo laddove diventassero effettivamente indisponibili.
La causa di questa cronica carenza di impianti finali è da ricercare nel diffuso atteggiamento dell’opinione pubblica di non percepire l’industria della gestione dei rifiuti come una risorsa. Negli anni anziché favorire lo sviluppo di nuove imprese per la gestione dei rifiuti, soprattutto nei punti critici della chiusura del ciclo con impianti di trattamento finale, si è ostacolata sempre, sia a livello politico che amministrativo locale, la realizzazione di nuovi impianti o lo sviluppo di quelli esistenti. Questo ci ha reso oltremodo dipendenti dalla disponibilità di impianti esteri ad accogliere i rifiuti prodotti dal nostro sistema industriale (nei limiti di una legislazione europea volta sempre di più ad una riduzione dello spostamento dei rifiuti per privilegiare la chiusura “in loco” del ciclo).
Esiste infine un problema di legalità che impone un cambiamento di mentalità da parte di tutti i soggetti coinvolti, ma in particolare da parte dei produttori. E’ infatti necessario accettare che il valore del materiale recuperato possa subire delle oscillazioni nel tempo, quindi non sempre si possono chiudere contratti che vedono nella gestione dei rifiuti recuperabili un ricavo bensì può essere necessario sostenere un costo, anche crescente, a seconda delle condizioni di mercato. Non comprendere questo e dare spazio ad imprese che riescono inspiegabilmente ad operare al di fuori delle logiche di mercato, come se nulla fosse cambiato e come se i costi che affliggono tutte le imprese della filiera per loro non rappresentassero un problema significa aprire le porte ad operatori economici che non operano nel rispetto dell’ambiente e quindi della legalità e, nella peggiore delle ipotesi, sono parte della criminalità organizzata.
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