Una giornata da volontaria in piena emergenza Coronavirus. Il viaggio nella Torino fantasma dei senzatetto
“Ho stretto la mano di un operatore e ci siamo accorti di aver compiuto un gesto ormai desueto: certo coi guanti è un po’ diverso ma è stato come compiere un atto clandestino e rivoluzionario in tempi come questi”
20 March, 2020
di Giulia Galdelli
In un clima di sospetto e di paura anche i nullatenenti hanno il bisogno di nutrirsi e lo fanno nelle strutture che si occupano quotidianamente di distribuire cibo a chiunque ne abbia bisogno. In questi giorni in cui gli ospedali sono al collasso, le terapie intensive intasate e le mura domestiche una prigionia collettiva, poco si parla degli ultimi, dei fantasmi della nostra società, di coloro che non sono inseriti a pieno titolo nel ciclo produttivo.
Le strade di Torino sono pressoché vuote, poche macchine e sparuti pedoni vi circolano. Per uscire di casa bisogna essere in possesso di un’auto dichiarazione con la quale si attesti di avere un buon motivo per farlo. Ogni nostro gesto è caricato di una responsabilità doppia rispetto al normale: la responsabilità verso se stessi e verso il prossimo nostro. La scelta di uscire non è mai presa con leggerezza e anche la consegna di cibo da una parte all’altra della città richiede uno sforzo della coscienza.
La prima tappa del mio viaggio nella città fantasma mi ha portata in pieno centro, dove due gentilissime signore, di cui non conoscerò mai il volto poiché coperto dalla mascherina, mi hanno consegnato una serie di vaschette di alluminio sigillate contenenti il bene di prima necessità per eccellenza, il cibo. Si tratta delle due chef Maria Zingarelli e Antonella Giani dell’Associazione Giardino forbito che hanno volontariamente deciso di mettersi al servizio delle fasce più deboli in un momento in cui si chiede a gran voce di rinchiudersi nel nostro nido domestico. Ogni giorno, a porte chiuse, si mettono ai fornelli e alimentano la catena di solidarietà che culmina nei piatti delle mense dei senzatetto, in particolare di sei centri aderenti tra cui gli asili notturni gestiti dal Gruppo Abele, la Cooperativa sociale Aeris, l’Associazione 360 °, la Cooperativa sociale Terra mia, il Gruppo Arco e il convento di Sant’Antonio da Padova, per un totale di circa 200 pasti e colazioni.
Percorrendo a ritroso lo stretto vicolo del centro, ho iniziato il mio viaggio verso la prima mensa, situa in Via Sacchi 47 e allestita presso il dormitorio gestito da Terra Mia Onlus. Mi aspettavano gli operatori all’uscio con guanti e mascherine per il ritiro quotidiano. Ho stretto la mano di un operatore e ci siamo accorti subito di aver compiuto un gesto ormai desueto: certo, coi guanti è un po’ diverso ma è stato come compiere un atto clandestino e rivoluzionario in tempi come questi. In fila indiana al seguito degli operatori, sono entrati in mensa giovani ragazzi di provenienza per lo più nordafricana con capo chino e un occhio curioso rivolto verso di me.
Gettato uno sguardo rapido all’ingresso del dormitorio e consegnato il cibo, mi sono rimessa alla guida verso la seconda tappa di questo viaggio che fino a pochi giorni fa non avrebbe dato nell’occhio. A ritirare le vaschette in Via Capriolo è venuto un giovane di nome Rodney per conto del ristoro per senzatetto gestito dal Gruppo Arco. Una radio sintonizzata su una stazione spagnola che elencava le nuove misure restrittive del governo ha accompagnato la consegna. Proveniva da un appartamento a pian terreno, emergeva dalla finestra lo scalpo di un ragazzo col cappuccio, la stanza era al buio e soltanto la voce della radio confermava la presenza di persona viva.
Il mio viaggio, prima del rientro a casa, è culminato in Via Marsigli, nello spazio gestito dalla Cooperativa sociale Aeris, dove mi ha accolto un accolito gruppo di senzatetto seduti nel cortile interno della struttura a mo’ di convivio da bar, sigarette in bocca e battuta d’accoglienza per la nuova volontaria al loro cospetto. Ho osservato con un pizzico di invidia il loro rito pre-serale di raccogliersi intorno a un tavolo in attesa di un pasto caldo. Sono tornata a casa meno sola, confortata dal bagno di umanità che mi ero appena concessa e stordita dalla spontaneità di coloro che non hanno nulla da perdere, nemmeno quando impazza il pandemonio, nemmeno quando viene dichiarata guerra a un virus e la paura serpeggia in ogni angolo della città.