Truffa a danno delle rinnovabili
Il paradosso degli incentivi "verdi": nel 2004 il 75% dell'energia sostenuta con il Cip6 per le fonti rinnovabili prodotta da fonti assimilate. A beneficiarne anche i rifiuti e i residui petroliferi. Legambiente: "Porre fine a una grave contraddizione che penalizza le energie pulite". L'Unione europea intanto ha già avviato una procedura d'infrazione - da EcosportelloNews
03 October, 2006
<b>Alina Lombardo</B>
I contrari lo definiscono una "stretta inattesa" e poco auspicabile per il settore ambientale in Italia. I favorevoli lo salutano come il passaggio obbligato per allinearci correttamente a quanto stabilito dall'Unione europea in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili. Sul banco degli imputati è l'emendamento (articolo 15 bis) alla legge Comunitaria 2006, al centro di un acceso dibattito in Parlamento prima della pausa estiva, "reo" di aver proposto l'esclusione dei rifiuti non biodegradabili dai finanziamenti, i cosiddetti certificati verdi, per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Il no degli industriali: scelta che porta gravi problemi
La levata di scudi contro l'emendamento da parte di alcune lobby che vedono nell'incenerimento dei rifiuti la soluzione ai principali problemi ambientali italiani (smaltimento rifiuti e raggiungimento degli impegni di Kyoto attraverso alte percentuali di energia prodotta da fonte rinnovabile) è stata ben sintetizzata sulle colonne del Sole 24 Ore lo scorso luglio da Paola Ficco.
La quale, parlando dell'emendamento spiega: "Se approvato, provocherebbe due gravi problemi. Il primo, per la soppressione dei rifiuti non biodegradabili tra le fonti energetiche rinnovabili (Fer), che invece era la condizione appositamente prevista per l'Italia proprio dalla direttiva 2001/77/Ce, per consentire la possibilità di raggiungere gli obiettivi previsti dalla stessa norma europea. Il secondo problema, invece - continua Ficco - riguarderebbe la disincentivazione di Fer come i rifiuti non biodegradabili che, invece, consentirebbero di soddisfare gli impegni del protocollo di Kyoto. Infatti, nell'allegato alla direttiva 2001/77/Ce era stata inserita una nota che, per l'Italia, rendeva esplicita la necessità di considerare anche la quota non biodegradabile dei rifiuti, al fine di raggiungere l'obiettivo nazionale di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili (25% nel 2010)".
La nota affermava che "nel tener conto dei valori di riferimento enunciati nel presente allegato, l'Italia muove dall'ipotesi che la produzione di energia interna lorda di elettricità a partire da Fer rappresenterà nel 2010 fino a 76 TWh, cifra che comprende anche l'apporto della parte non biodegradabile dei rifiuti urbani e industriali utilizzati in conformità della normativa comunitaria sulla gestione dei rifiuti". "Ora - conclude Ficco - alla luce dell'art. 15 bis, rischia di venir meno il supporto della quota non biodegradabile dei rifiuti. Il che significa, per l'Italia, l'impossibilità di raggiungere il traguardo del 25% di energia da Fer entro il 2010".
<B>Il sì degli ecologisti: scelta importante per l'ambiente</B>
Argomentazioni che non convincono gli ambientalisti. "Sostenere che senza l'apporto dei rifiuti per l'Italia sarà impossibile il raggiungimento dell'obiettivo del 25% di produzione elettrica da fonti rinnovabili entro il 2010 è solo una boutade" ribatte Stefano Ciafani, coordinatore scientifico nazionale di Legambiente.
"Stando a quanto riportato nel Rapporto Rifiuti 2005' di Apat e Osservatorio nazionale sui rifiuti - prosegue Ciafani - i 48 termovalorizzatori per gli urbani attivi nel 2003 hanno prodotto 2,4 TWh di energia elettrica, pari al 3% dell'obiettivo di 76TWh previsto tra 4 anni dalla direttiva sulle rinnovabili per l'Italia. E questo sarebbe il contributo energetico indispensabile degli inceneritori attivi nel nostro Paese? Anche mettendo in pratica il folle progetto dell'ex ministro dell'Ambiente Matteoli di costruire almeno un impianto di incenerimento per provincia - continua Ciafani -, e raddoppiando quindi il contributo degli inceneritori alla produzione nazionale di energia elettrica, non si otterrebbe un contributo così rilevante da giustificare un improprio finanziamento che sottrae risorse ad altre fonti realmente rinnovabili".
Non solo. L'emendamento si riferiva alla direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, recepita in Italia con il D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387. Provvedimento, quest'ultimo, che rischia di costare al nostro Paese una procedura di infrazione. La Commissione Europea, infatti, come riportato in un comunicato ufficiale dello scorso aprile, ha messo sotto osservazione l'Italia, perché ritiene ampiamente criticabili le azioni praticate per raggiungere gli obiettivi della direttiva. Tra queste anche l'inclusione della produzione di energia degli inceneritori di rifiuti non biodegradabili (per esempio le plastiche che, derivati dal petrolio, non possono certo definirsi fonti rinnovabili) tra quella finanziabile in quanto prodotta da fonti rinnovabili in palese violazione dell'art. 2 della direttiva.
<B>Ripensare il sistema di incentivi</B>
Ancora. L'attuale sistema di incentivazione/tassazione previsto per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti è del tutto inadeguato a risolvere in maniera sostenibile il problema. Ecco perché: incentiva enormemente e impropriamente l'incenerimento con recupero energetico, grazie al programma di incentivi Cip6 del 1992 e al meccanismo dei Certificati verdi introdotto dal Decreto Bersani (Dm 11 novembre 1999). Istituiti entrambi per sostenere economicamente le fonti rinnovabili, di fatto le due forme di incentivo hanno visto un'estensione dei benefici economici anche alle fonti assimilate più inquinanti, finendo per drenare gran parte dei fondi a fonti, come i rifiuti, che rinnovabili non sono.
Risultato: solo nel 2004 il Gestore della rete di trasmissione nazionale (Grtn) ha ritirato una quantità di energia elettrica prodotta da impianti incentivati a Cip6 pari a 56,7 TWh, di cui ben il 76,5% alimentati da fonti assimilate, utilizzando per l'acquisto dell'energia necessaria per alimentare gli impianti circa 2,4 miliardi di euro derivanti dal pagamento delle bollette elettriche.
Le cose non sono migliorate con l'introduzione dei Certificati verdi (titoli annuali "al portatore", cioè totalmente disgiunti dalla corrispondente energia verde prodotta e quindi liberamente negoziabili sul mercato, attribuiti all'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili utilizzando impianti entrati in esercizio dopo l'1 aprile 1999). Infatti, oltre agli inceneritori hanno diritto ai Certificati, indipendentemente dal combustibile usato (quindi anche se usano carbone e petrolio), anche le centrali ibride che praticano la co‑combustione di biomasse e/o rifiuti (anche sotto forma di Cdr), gli impianti che utilizzano l'idrogeno prodotto da fonti fossili, gli impianti a cogenerazione abbinati al teleriscaldamento ecc.
Sono invece esclusi dal beneficio dei Certificati verdi i piccoli micro-cogeneratori per condomini, alberghi, ospedali, centri commerciali ecc. fondamentali nella prospettiva della generazione diffusa. Ne risultano quindi svantaggiate (e qui si entra nel paradosso) proprio quelle tecnologie fondate sulle fonti rinnovabili vere, per esempio il solare, che avrebbero maggiore bisogno di incentivo.
<B>Così è all'estero</B>
Alcuni paesi come l'Austria e la Germania, a differenza dell'Italia, hanno scelto di non inserire per niente, nel calcolo dell'energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili, la quota da attribuire all'incenerimento dei rifiuti urbani. In altri, per esempio l'Olanda, è stata introdotta una rigida individuazione della parte realmente rinnovabile dell'energia prodotta, cioè quella legata a biomassa.
<B>La proposta</B>
Come risistemare le cose? "Eliminiamo il sostegno economico alle fonti non rinnovabili, come la parte non biodegradabile dei rifiuti, secondo quanto previsto dalla direttiva europea" suggerisce Ciafani. "Solo così - conclude - libereremo risorse economiche per le vere fonti rinnovabili, come il solare fotovoltaico e l'eolico, che ne hanno sicuramente più bisogno. Solo così riusciremo a recuperare i ritardi del nostro Paese sugli obiettivi di Kyoto e a garantirci una gestione più sostenibile dei rifiuti".
Per dare più vigore ed efficacia alla proposta, Legambiente ha redatto una petizione che indirizza al Commissario europeo per l'energia e ai ministri dello Sviluppo economico e dell'Ambiente due richieste precise.
Rispettivamente: "Di praticare tutte le iniziative a disposizione della Commissione, compresa la procedura di infrazione, nei confronti dell'Italia per aver esteso i benefici economici previsti dalla normativa europea per le fonti rinnovabili anche all'incenerimento dei rifiuti non biodegradabili. E di adoperarsi per sostituire l'attuale sistema di incentivazione per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e assimilate fondato sui Certificati verdi con un meccanismo trasparente di sostegno economico riservato solo ed esclusivamente alle fonti pulite, ispirato al modello del cosiddetto 'conto energia' tedesco".