Se il futuro finisce nel motore
i limiti e i pregi della nuova benzina - da La repubblica del 27.07.2007
27 July, 2007
<b>La crisi energetica del Pianeta, i rischi dell´inquinamento e i nuovi scenari dell´Occidente
Storia e business di un carburante che, in qualche anno, potrebbe cambiare l´economia mondiale
CARLO PETRINI</b>
Qualche settimana fa, la notizia relativa alla liberazione di 1.106 schiavi brasiliani che lavoravano nei campi di canna da zucchero mi ha fatto tornare in mente un´immagine che invece campeggiava a marzo su tutti i giornali: Bush e Lula si stringono la mano, sorridenti. Stavano celebrando la creazione, di comune accordo, di un mercato internazionale dei biocarburanti, poi subito ribattezzato "l´Opec dell´etanolo".
Il fatto che due grandi forze come Usa e Brasile si siano accordate per potenziare quello per cui già ora sono ai vertici mondiali di produzione, può sembrare a un primo distratto giudizio una buona notizia per la salute della Terra: finalmente qualcuno fa qualcosa di concreto per liberarci dall´insostenibile schiavitù del petrolio.
Sembra quasi scontato, ma ci si chiede mai se i biocarburanti sono veramente sostenibili come credono i più? E se lo fossero, per quali motivi e dove ne va implementata la loro produzione? Che cosa sono in realtà questi biodiesel, biomasse, etanolo?
Partiamo dalle definizioni. Sono biocarburanti quelli derivati da organismi viventi o dai loro scarti. Ci sono due grandi gruppi su cui si concentra la ricerca, e non sono la stessa cosa: biodiesel ed etanolo.
Il biodiesel si ottiene da oli vegetali: soia, colza, palma, cocco, arachidi e girasoli. Può essere usato sia come sostituto del gasolio, sia miscelato, in modo da ottenere un combustibile che non necessiti di modifiche agli impianti e ai motori esistenti. È completamente biodegradabile e la sua resa varia da coltura a coltura (è buona quella dell´olio di palma, ma pessima quella della soia, per esempio); in generale ha un contenuto energetico pari al 90 per cento del gasolio tradizionale. L´Europa è la principale produttrice mondiale, anche in virtù del fatto che si è data l´obiettivo di coprire con i biocarburanti il 5,75 per cento dei suoi consumi entro il 2010.
L´etanolo, o bioetanolo, invece è un alcol ottenuto dalla fermentazione di prodotti agricoli che contengono molti carboidrati e zuccheri; vale a dire cereali (mais, sorgo, frumento, orzo), colture zuccherine (canna da zucchero e barbabietola), frutta, vinacce e patate. Fino al 30 per cento può essere miscelato alla benzina tradizionale senza dover modificare il motore. L´etanolo può anche essere estratto, tramite enzimi, dalle biomasse di legno e sottoprodotti agricoli, ma in questo caso costa di più produrlo, anche se c´è un vantaggio ancora non del tutto sfruttato: possono essere utilizzate piante come il panìco verga o il miscanthus giganteum (originario di Cina e Giappone) che non servono per l´alimentazione e possono crescere in terreni non adatti alle colture commestibili. Il contenuto energetico dell´etanolo sarebbe pari al 67 per cento di quello della benzina e la produzione mondiale si concentra in Brasile (dalla canna da zucchero) e negli Usa (dal mais).
Rimane la questione: i biocarburanti sono sostenibili? Per iniziare a rendersene conto bisogna accoppiare la loro resa per ettaro in carburante alla loro resa energetica: con questi dati si arriva alla conclusione che la canna da zucchero brasiliana rende circa 8 unità di energia per ogni unità assorbita, mentre il mais americano rende 1,5. Lula e Bush: l´etanolo brasiliano è decisamente più conveniente di quello americano. Ma perché gli Usa allora hanno coltivato, nel solo 2004, 32 milioni di tonnellate di mais per ottenere 3,4 miliardi di galloni di etanolo?
La resa purtroppo non è l´unico metro di giudizio che dobbiamo utilizzare per valutare la sostenibilità dei biocarburanti. I sostenitori dicono che il biodiesel è sostenibile perché le piante durante il loro processo di crescita assorbono tanta anidride carbonica quanta poi ne viene immessa nell´atmosfera al momento del loro utilizzo. Inoltre riducono l´emissione di polveri sottili del 65 per cento. Il bilancio dell´etanolo, invece, sarebbe una riduzione dell´80 per cento delle emissioni. Ma questi calcoli non tengono conto di molti altri fattori: quante emissioni generano i biocarburanti nella produzione (un chilo di fertilizzanti rilascia sette chili di Co2 nell´atmosfera), raffinazione e trasporto?
Aggiungendo questi dati alcuni scienziati sono arrivati a dire, per l´etanolo, che in realtà esso riduce le emissioni soltanto del 13 per cento, tenendo conto di quanto "brucia" durante la produzione e che poi ha una resa energetica pari soltanto al 70 per cento dei carburanti tradizionali.
Ma non finisce qui: per far posto alle coltivazioni da biocarburanti, spesso si tagliano le foreste. Avviene in Brasile, ma anche in Cina e in Indonesia. C´è chi sostiene che: "per minimizzare il flusso netto di Co2, è chiaramente meglio mantenere le foreste esistenti e rigenerare le foreste sulle aree coltivabili disponibili, piuttosto che produrre biocarburanti da colture agricole".
In fin dei conti però, forse, l´unica produzione abbastanza sostenibile di biocarburanti è l´etanolo brasiliano, vista la sua alta resa e il suo valore energetico, che minimizzano gli effetti negativi della sua produzione, ma vogliamo fare del Brasile il nuovo serbatoio mondiale? Sarà sostenibile portare tutti queste nuove "benzine" in giro per il mondo? E tagliare porzioni importanti di foresta amazzonica?
A complicare e aggravare la situazione c´è poi tutta una serie di altre questioni mica da poco. Il prezzo del mais Usa, a causa della corsa all´etanolo, è passato da 2 dollari nell´agosto 2006 a 3,90 dollari nel febbraio di quest´anno. Nel frattempo in Messico si scendeva in piazza per manifestare contro il rincaro delle tortillas, fatte di mais. Quant´è sostenibile sottrarre spazio e risorse alla produzione di cibo per produrre carburante? È morale pensare che con i cereali necessari a riempire il serbatoio di un Suv si potrebbe sfamare una persona per un anno?
Si aggiungano poi gli interessi di tante lobby che non hanno minimamente a cuore i destini ambientali del pianeta. Non è che le industrie automobilistiche, soprattutto americane, potranno continuare tranquille a mettere in strada i loro inefficentissimi veicoli senza affrontare costi di riconversione produttiva?
Rese energetiche, deforestazione, sicurezza alimentare, interessi politici, politiche agricole, ogm, lobby industriali: se ci mettiamo dentro tutto calcolare la sostenibilità dei biocarburanti rischia di diventare una babele in cui è facile perdersi.
Mettiamoci dunque il caro vecchio buon senso: di rischi ce ne sono tanti, ma è anche vero che i biocarburanti hanno dei vantaggi. Per cui forse è il caso che la politica intervenga in fretta con dei regolamenti in grado di massimizzare la portata di questa alternativa. Come? Vietando colture non efficienti, garantendo sicurezza alimentare e foreste, incentivando la ricerca in direzioni di colture non alimentari e utilizzo di biomasse di scarto che garantiscano utilizzo di terreni incolti e produzioni più sostenibili.
La sfida, come avviene per molti altri ambiti, si può vincere se gioca soprattutto a livello locale, l´unico livello in cui si può ancora applicare il buon senso. È solo su questa dimensione che si può calcolare con buona approssimazione la sostenibilità dei processi di produzione e consumo (favorendo ad esempio l´autoconsumo nelle zone rurali); è solo a livello locale che si può dare, in caso di occorrenza, la priorità all´alimentazione rispetto ai carburanti o che si possono utilizzare le risorse (compresi rifiuti e scarti) più convenienti.
L´adattamento locale dei biocarburanti garantirebbe che non si ripetano le dinamiche dell´attuale industria globale del cibo, che tiene in scacco i contadini e ci ha portato un´infinita serie di problemi legati alla sicurezza alimentare a agli impatti ambientali. Così come si sta sviluppando il mercato oggi, in un quadro internazionale privo di regole, parlare di biocarburanti significa soprattutto parlare di mettere il cibo nei motori e, se di alternativa si tratta, sarà tutta a vantaggio dell´agri-businness transnazionale, che avrà un buon motivo per continuare con dei sistemi produttivi che non vanno nella direzione giusta. La direzione del buon senso.