Viaggio al centro dello smog
Torino, tra gli abitanti dell’incrocio più inquinato d’Italia. "In casa nevica nero e non puoi stare sul balcone, non si riesce a respirare" - da La Stampa del 24.01.2008
24 January, 2008
<b>Bruno Ventavoli</b>
L’epicentro dei veleni è là, all’interno della scuola. L’Itis «Grassi» che forma futuri tecnici per l’industria aeronautica. E’ lì la centralina che analizza l’aria di Torino Nord e ha dato una brutta notizia alla città, assegnando a quell’incrocio di strade frenetiche la palma del più inquinato d’Italia. In via Veronese il pm10 (sigla che indica le sette peggiori sostanze) è stato superato 190 volte lo scorso anno, praticamente un giorno ogni due. Una disfatta ambientale. Il grande parallelepipedo di metallo non smette di ronzare. Svetta su un minuscolo fazzoletto di erba che di verde ha ben poco. Accanto all’ala di un aereo.
La centralina dell’allarme ecologico è proprio accanto al campetto sportivo del «Grassi» dove gli studenti dovrebbero svolgere attività fisica ubbidendo al principio del mens sana in corpore sano. Sapevate di essere il luogo più inquinato d’Italia? No. Nessuno se n’era mai reso conto, nella scuola che si svuota alla fine delle lezioni. Anche perché l’istituto dentro, allegro, colorato, pulito, non ha l’aspetto grigio da day after ecologico. Eppure secondo l’accusa di Legambiente in quel crocevia fumogeno le micropolveri inquinanti fanno strame della legge. «Forse bisogna leggere con più attenzione i dati» dice uno studente che da grande vuole costruire aerei per volare più alto del cielo, oltre i veleni. «Neanche i numeri sono mai neutrali. Magari c’entra la politica, o magari ti dicono così perchè poi ti appioppano un eco-ticket. Comunque l’aria qui non è buona. Lo sappiamo bene, mica siamo sulle montagne di Heidi».
E’ vero. Però le montagne con sprazzi di neve sarebbero giù in fondo all’orizzonte. La zona di Torino incriminata è Madonna di Campagna. Storica circoscrizione operaia, laboriosa, rossa. Oltre il cemento e l’asfalto scorgi i prati, i campi, gli alberi smunti per l’inverno e l’inquinamento. Via Paolo Veronese finirà negli archivi del malcostume con le stimmate della via più inquinata d’Italia. Lei, che porta il nome del pittore che amava la grazia e i colori del rinascimento veneto, in realtà ha l’unica colpa di dare ospitalità all’impietosa centralina. Il resto della via sembra invece celarsi al traffico mefitico. Si insinua tra vecchie boite trasformate in fabbrichette, capannoni industriali, caseggiati a tanti piani appena nati. I veri colpevoli dell’inquinamento sono le altre grandi arterie che la incrociano, via Reiss Romoli, via Sansovino, via Stampini, che reggono il peso di una teoria infinita di auto pendolari e camion, dal mattino fino a notte fonda. Un traffico lento che s’imbottiglia, indugia a diluirsi su tangenziali e provinciali.
«Magari adesso ci mandano la tv o le jene, adesso che siamo i più inquinati d’Italia» dice Samantha, una ragazza che si lamenta che, a parte le micropolveri, lì non arriva mai niente e nessuno. Quello è mica un quartiere divertente da vivere. Barbara, la tabaccaia, nel crocevia dei fumi ci viene solo per lavoro. «Guardi me lo dice lei che l’aria è pessima. Non me n’ero mai accorta. Anzi, io prima lavoravo a Porta Palazzo e dovevo lavarmi i capelli tutti i giorni sennò diventavano uno schifo. Qui è persino meglio. Posso lavarmeli un giorno ogni due».
Sono gli abitanti storici del quartiere, la gente che abita qui da una vita intera, a sapere che la centralina ha ragione. L’hanno capito sui loro polmoni che l’ossigeno è malato. «Vede - dice Silvio Micelli, pensionato, indicando uno dei palazzi sopra le auto - abito al secondo piano, lassù. Ogni mattina devi stare a scopare per mezz’ora perchè c’è la polvere nera dappertutto». «Io invece abito al quinto piano - dice -, e non riesco nemmeno a uscire sul balcone per guardare le montagne. Le vedo laggiù, sono bellissime, ma da dietro il vetro di casa sembrano più tristi. In casa mi nevica il fumo nero». E non vi viene da urlare? «Sì, certo, ma contro chi. Abbiamo imparato a rassegnarci. Abbiamo lavorato in fabbriche che erano un inferno, anche peggio di queste strade».
I giovani che sono al bar, nei giardinetti dove non conviene stare a lungo perché se poi ti soffi il naso viene giù una roba nera che spaventa, conoscono il presente. Ma i vecchi sanno che qui non è mai stato diverso. Una volta c’erano le fabbriche. Il respiro delle concerie, delle fonderie, di decine di officine. Era lavoro, ma anche veleno. Carmelo Nicosia è il presidente del circolo della circoscrizione 5, che sorge a un centinaio di metri dalla centralina, ospita ogni giorno pensionati che giocano a carte, chiacchierano, ragazzi che si divertono con il ping pong. «L’inquinamento c’è sempre stato, mia suocera guardava la ciminiera della Ferrero e faceva delle previsioni perfette a seconda di dove piegava il getto nero. Ti sapeva dire se arrivava la pioggia».
Giri per rivenditori di kebab e pizzerie, per case a mille piani o per le piccole cascine sopravvissute ad un mondo che non c’è più, e trovi solo gente che vorrebbe cambiare aria. E’ mica facile invecchiare con le auto che ti rombano sotto casa e la mattina presto sembrano entrarti nel letto. E’ faticoso condividere l’intimità domestica con freni, frizioni, tubi di scappamento. Non è bello mescolare il profumo del ragù, o d’un fiore pallido, con nubi di diesel. Ma che fare? La gente qui si sente lontana dal cuore della città. Qualcuno suggerisce che ci sono altri problemi. Che chissenefrega dell’inquinamento. «Guardi, giri laggiù a destra e fa duecento metri, c’è un campo rom. Vada a vedere e capirà». Già annuiscono gli altri. Qui il problema è lo spaccio. E le prostitute che arrivano ogni notte, quando il traffico un po’ scema. E la microcriminalità. Anche la sicurezza, dicono, è ecologia.