“Andare peggio” significa che un trend che abbiamo non si interrompa
Intervista a Stefano Tibaldi, Direttore Servizio IdroMeteorologico, ARPA Emilia-Romagna, a cura di Karl-Ludwig Schibel
28 February, 2008
<b>Sentiamo da tante fonti che “i cambiamenti climatici sono in atto”. Quali sono per lei i segnali più chiari in Emilia-Romagna di un andamento meteorologico non più riconducibile alla normalità?</b>
Intanto, negli ultimi 25 anni la prima cosa è stata l’aumento delle temperature, soprattutto quelle medie-massime più che le minime. Dall’inizio degli anni ’80 è chiaramente successo qualcosa di rilevante. Nella letteratura scientifica non si sono viste ipotesi convincenti su eventuali cause locali poiché è stato un aumento di temperatura di 2/3 gradi nelle medie-massime, un incremento enorme e che quindi è impossibile pensare che vada avanti. Ci deve per forza essere una componente di variabilità interdecadale, perché se continua ad andare avanti un aumento di questo tipo fra 100 anni siamo tutti fritti, in senso letterale. Non è pensabile dunque che la temperatura salga di 2°C ogni quarto di secolo, significherebbe 8°C a secolo, una cosa fuori dal mondo.
<b>Il che significa però che gli aumenti delle temperature massime sono superiori a quello che l’IPCC pubblica nel suo quarto rapporto.</b>
No, perché si riferiscono a un’area piccola. L’IPCC pubblica degli aumenti che sono tipici di aree, anche continentali, molto più grandi, quindi nel momento in cui l’area diventa sempre più vasta gli aumenti calano. Se si guardano i trend lineari di aumento della temperatura, questi aumentano se si passa dalla scala globale e da periodi molto lunghi - gli ultimi 200 anni, faccio per dire - e ci si concentra su alcune scale locali, dove gli aumenti sono stati particolarmente forti e magari su periodi più brevi, più recenti. In questo caso si possono avere degli aumenti di temperatura molto maggiori di quelli citati dall’IPCC, ma questo è normale perché nell’attimo in cui si passa da larghe scale a piccole scale e da lunghi periodi di media a brevi periodi di media è chiaro che la variabilità aumenta e quindi se si fa una scelta oculata del posto si possono trovare dei trend enormi.
<b>Così quando lei dice negli ultimi 25 anni un aumento di 2°C c’è un margine di insicurezza, mi auguro grande, che questa dinamica continui in modo lineare.</b>
È molto difficile che continui in modo lineare e sarà meglio che non succeda altrimenti abbiamo seri problemi, però il fatto di avere un venticinquennio così clamorosamente in aumento è probabilmente un sintomo del fatto che non soltanto le medie aumentano, sia le medie-medie, che le medie-massime, che le medie-minime - un po’ meno queste ultime - ma anche che aumenta la variabilità, non soltanto da un anno all’altro, ma da un decennio o da un ventennio all’altro, e questo è pericoloso per la gestione delle risorse. Per esempio la precipitazione nel nord Italia, nei mesi estivi è calata del 30% negli ultimi 30 anni. Assieme a questo aumento di temperatura c’è stato un rilevante calo della precipitazione che peraltro non si vede per esempio nel centro sud, ma soltanto nel nord Italia. Anche queste forti differenze tra il nord e il sud, da quello che ricordo a memoria, non si sono viste nei periodi precedenti. Queste esagerazioni ed eccessive intensità di comportamento sono un po’ una caratteristica dell’ultimo ventennio/trentennio.
<b>Quali sono le principali incertezze nelle sue ricerche? Cioè c’è una chance che tutto potrebbe andare meglio del previsto o c’è anche la possibilità che potrebbe andare ancora peggio di come sta andando? </b>
Per me “andare peggio” significa che un trend che abbiamo - che continuiamo a vedere in questi anni e che abbiamo visto negli ultimi 20/30 anni - non si interrompa. Se questi trend non si interrompono, e non abbiamo garanzie né in un senso né nell’altro naturalmente, allora questo è già molto peggio del previsto.
<b>Si può quantificare o almeno dare un’idea dell’incertezza di questi andamenti?</b>
Per quanto riguarda le incertezze è più facile valutarle sulle previsioni. Siccome le previsioni per il secolo che abbiamo davanti sono abbastanza consistenti con i trend che ho appena citato - vale a dire che con i nostri modelli tendiamo a prevedere per il nostro secolo dei numeri che sono ragionevolmente coerenti e consistenti con quello che abbiamo misurato negli ultimi 25/30 anni - allora si possono usare le incertezze delle ragionevoli previsioni per dare un’idea dell’incertezza del trend. Le incertezze naturalmente ci sono perché se si prendono modelli diversi, questi danno risposte un po’ diverse. Anche elaborazioni diverse dello stesso modello a partire da condizioni iniziali leggermente differenti, integrato per 100 anni dà delle risposte leggermente diverse. Diciamo però che i trend di altri 3-4°C di aumento di temperatura nel nord Italia per fine secolo sono trend che potrebbero dare 4°C, +/- 2 o 3°C, +/- 2, quindi potrebbe essere un altro grado a fine secolo ma potrebbero essere anche 4 o 5.
<b>Quindi c’è una variabilità. Potrebbe significare che siamo di fronte a 2°C di aumento fino alla fine del secolo ma anche di 5°C?</b>
O anche di un solo grado.
<b>Dei fenomeni che lei cita “aumento della temperatura massima, riduzione delle precipitazioni estive” quali sono gli impatti più pericolosi che lei prevede per l’Emilia Romagna. Quali sono le priorità per misure di adattamento?</b>
Agricoltura e risorse idriche. Prima priorità per me è questa perché con un aumento di temperatura di questo tipo e con la diminuzione delle precipitazioni, dato che l’aumento della temperatura richiede più acqua nelle stagioni irrigue, è assolutamente urgente che l’agricoltura si adatti e quindi ci siano dei cambiamenti di scelte colturali che orientino l’agricoltura verso delle coltivazioni meno idro-esigenti da una parte e dall’altra bisogna mettere a punto delle tecniche irrigue che ottimizzino l’utilizzo della risorsa.
<b>Possiamo prendere come esempio Israele dove si usano impianti di irrigazione a goccia?</b>
Per esempio. Sicuramente non si può più spruzzare l’acqua per aria. Bisogna sempre fare irrigazioni goccia a goccia e far viaggiare l’acqua meno tempo possibile prima che arrivi alla radice della pianta perché ne evapori il meno possibile, su questo non c’è dubbio, ma anche soprattutto quando e con quali modalità spazio-temporali irrigare. Gli agricoltori devono essere aiutati sulle tecniche irrigue, al di là della scelta dell’impianto che è ovvio, sui tempi e modi di utilizzo.
<b>Quindi gli aspetti gestionali?</b>
Esattamente gli aspetti gestionali dell’impianto e ci sono già iniziative di questo tipo. In Emilia Romagna per esempio c’è un servizio che si chiama “Irrinet” basato su previsioni meteorologiche, per cui se si sa che domani pioverà oggi non si irriga, inoltre si danno consigli sulle ore del giorno nelle quali irrigare, modalità ecc. Si sa bene che si può arrivare a dei risparmi anche del 40% dell’acqua senza penalizzare la produttività. Quindi modalità di questo tipo vanno incentivate.
<b>Queste sarebbero misure di adattamento che, se capisco bene, lei sta dicendo che comunque convengono?</b>
Assolutamente sì perché in ogni caso realizzano dei risparmi anche di tipo economico.
<b>Oltre alle conseguenze per l’agricoltura ci potrebbero essere anche ricadute sul settore del rifornimento energetico, le centrali idroelettriche?</b>
Lì si tratta di rendere la produzione energetica meno critica rispetto alla disponibilità di acqua, vanno fatte delle piccole modifiche agli impianti. Non sono un grande esperto, però facciamo un esempio: la centrale termoelettrica di Porto Tolle è andata in crisi negli ultimi anni perché il livello del Po era troppo basso rispetto alle teste di prelievo dell’acqua di raffreddamento, oppure quando l’acqua rientrando dal ciclo di raffreddamento è troppo calda per un Po che porta così pochi metri cubi al secondo. Ci sono quindi dei problemi di adattamento che vanno messi in campo altrimenti il sistema va in crisi, come è già successo negli ultimi anni più volte.
<b>Però a me sembra di capire da quello che lei ha detto all’inizio della nostra intervista e adesso quando diceva che se veramente si verificano 5°C di aumento siamo tutti fritti, che nella situazione attuale ci sono misure di adattamento e che conviene di avviare queste misure adesso?</b>
In ogni caso, sì.
<b>In un quadro temporale, anche parlando delle amministrazioni locali e territoriali, i comuni, le province e le regioni, lei direbbe con l’adattamento ai cambiamenti climatici si parte adesso, ho capito bene?</b>
Siamo già in ritardo, bisognava partire probabilmente già 5-10 anni fa. L’adattamento è la cosa più urgente tra tutte le azioni che si possono fare, per esempio quelle di mitigazione che pure sono indispensabili. Non possiamo pensare di fare solo adattamento, non esiste, però l’adattamento è il più urgente perché è quello che ha i tempi di risposta più brevi, mentre invece ogni azione di mitigazione ha tempi di risposta più lunghi e quindi non possiamo sperare di intervenire sull’aumento di temperatura del prossimo ventennio o trentennio con la mitigazione. Sappiamo che ci vogliono 100 anni prima che le azioni di mitigazione diano dei risultati.
<b>Spero che lei sbagli e che non stiamo parlando di 100 anni, ma sicuramente è un sistema inerte con tempi molto lunghi.</b>
Si parla di 100 anni perché sappiamo che è così. Anche se improvvisamente nel mondo mantenessimo la produzione di CO2 costante prima di avere un rilevante impatto sul clima, dovrebbero passare circa dai 100 ai 200 anni. La temperatura continuerebbe in ogni caso ad aumentare.
<b>E questo per lei è il ragionamento per la priorità dell’adattamento?</b>
Vanno messi in campo misure di adattamento e di mitigazione, ma delle due quelle che possono dare risultati più rapidi sono quelle di adattamento.
La seconda priorità è la salute dell’uomo e le ondate di calore sono pericolose per la salute. Tutte le nostre modellistiche dicono che nel secolo che abbiamo avanti assieme alla temperatura massima, aumenterà la probabilità, l’intensità e la durata delle ondate di calore e questo di nuovo deve mettere in campo delle misure di adattamento. Bisogna però stare attenti perché l’adattamento deve essere compatibile, non deve peggiorare il problema. L’esempio classico sono i condizionatori d’aria, si possono condizionare tutti gli ambienti di una città, dopo di che la gente quando sta al chiuso sta bene, non ha più il problema delle ondate di calore però aumenta enormemente il consumo energetico e l’isola di calore urbana, quindi di fatto l’adattamento peggiora il problema. Al contrario è necessario adottare misure di bio-architettura, cambiare l’architettura degli edifici per far si che abbiano meno bisogno dal punto di vista energetico per mantenere delle temperature tollerabili.
<b>Per il suo lavoro al centro idrometeorologico quali nuovi saperi o passi in avanti si aspetta su quello che sappiamo sui cambiamenti climatici a livello territoriale?</b>
Credo che lo sforzo grosso andrebbe fatto su quello che si chiama il down-scaling delle previsioni climatiche. Abbiamo delle previsioni climatiche che di per sé sono affette da errore, da incertezza, ma questi aumentano molto se la scala spazio-temporale sulla quale noi vogliamo la risposta alla domanda “quale sarà il clima del prossimo secolo” diventa piccola. Cioè se si vuole sapere quale sarà nell’Italia del nord o su una città particolare, tra 20 anni piuttosto che 100, allora l’indecisione aumenta ed è qui che occorre fare più sforzo di ricerca applicata. Questo da punto di vista climatico stretto, invece per i saperi da un punto di vista climatico meno stretto bisogna aumentare le nostre conoscenze proprio sui problemi della mitigazione e dell’adattamento, studi di impatto e di adattamento, perché la conoscenza sulle discipline che regolano gli studi di impatto e l’adattamento è ancora poco sistematizzata e questo è vero anche a livello mondiale non soltanto italiano.
<b>Questo per dire che si sa troppo poco su quali impatti provocheranno determinati eventi meteorologici e ancora meno di come si può rispondere con l’adattamento?</b>
C’è troppa approssimazione sull’applicazione delle discipline classiche a questo tipo di problema per fare una valutazione sugli impatti. Questa è un’area nella quale bisognerebbe che i governi spendessero di più, incentivassero la ricerca e lo sviluppo del sapere.