Da Bali a Copenaghen via Poznan
Il processo internazionale del clima e degli enti locali - Intervista a Gotelind Alberm, esperta politiche di energia sostenibile e clima
12 March, 2008
<<b>Il regime del Protocollo di Kyoto sta per finire. Quale ruolo avrà ancora fino al 2012 per i Comuni, le Province e le Regioni?</B>
Certo un punto di vista è che il primo periodo d’impegno sta per concludersi visto che sono partite le trattative per il secondo, ma Kyoto è cominciato solo adesso, solo ora le cose stanno per diventare serie.
<B>Quindi la percezione che Kyoto sta per concludersi è sbagliata?</B>
Sì perché Kyoto continuerà ad esistere, per esempio il sistema dei controlli (compliance) come anche l’Emission Trading, il commercio delle emissioni, continueranno ad esistere, quello che succede è che si sta negoziando un nuovo periodo d’impegno sulla base di Kyoto.
Naturalmente, in teoria, si potrebbe anche concordare un Protocollo completamente nuovo ma questo è difficile, poco probabile, perché significherebbe negoziare anche tutte le basi strutturali che oggi fanno parte di Kyoto e cioè quelle strutture dell’accordo rilevanti per la politica internazionale del clima o che almeno vengono considerate tali da quasi tutti. In un qualsiasi protocollo globale per la riduzione dei gas serra elementi di quello di Kyoto dovranno esserci, come l’obbligo dei rapporti e i meccanismi di controllo. Questi problemi hanno trovato delle risposte nel trattato in vigore ed è più che probabile che manterranno la loro validità.
Per questo il concetto molto comune del post-Kyoto non è del tutto corretto perché sarà semplicemente post-2012, post-primo-periodo-d’impegni.
Se adesso guardiamo il ruolo dei comuni, degli enti locali e territoriali, va prima tenuto conto che dal 1 gennaio 2008, da poco più di due mesi, conta ogni tonnellata che noi mettiamo nell’aria e questo naturalmente ha una grande rilevanza per i governi nazionali ma anche per quelli regionali e per i comuni. Gli effetti concreti chiaramente dipendono da come i vari stati nazionali gestiranno gli obiettivi di riduzione. Se introdurranno una ripartizione degli obblighi nazionali di riduzione divisi per regioni, o se la ripartizione arriverà addirittura fino al livello comunale, poi nascerà un obbligo vero e proprio. Però anche se non ci dovessero essere impegni di riduzione quantificati a livello regionale o locale gli obiettivi nazionali valgono per tutti perché se non saranno raggiunti costerà molto a tutte e tutti nelle vesti di contribuenti sotto forma di tasse.
Però, sono anche convinta che si faranno vedere in questi cinque anni che rimangono della durata del primo periodo d’impegno le varie debolezze del Protocollo di Kyoto. Si è potuto sentire a Bali anche da parte di grandi sostenitori dell’Emission Trading che ci sono in atto dei ripensamenti per quanto riguarda i certificati da progetti, a causa di come questo meccanismo è stato attuato praticamente finora. In particolare per quanto riguarda il Clean Development Mechanism da varie direzioni e da parte di molti esiste una insoddisfazione diffusa sui progetti che sono venuti fuori.
<B>Questo però non mette in discussione i meccanismi medesimi ma la loro attuazione nella prassi.</B>
Può significare che viene messa in discussione l’attuazione dei meccanismi flessibili ma ci sono delle perplessità più fondamentali anche se di fatto nessuno mette in discussione i meccanismi veri e propri. Esiste tra gli osservatori un disagio sul modo in cui si svolge il commercio dei certificati perché semplicemente dicono che fin quando la molla che spinge il processo è il profitto c’è una grande tentazione di trovare dei buchi, delle scorciatoie per produrre dei certificati a basso costo e ai danni dell’ambiente.
<b>A questo proposito, in un’intervista precedente Benoît Leguet ha affermato che anche lui non pensa che il commercio dei certificati risolverà il problema del clima, invece ha ragionato sul perché non attiviamo il mercato e lo lasciamo fare fino al punto in cui arriva, facendo pagare quindi secondo il principio "paga chi inquina" quelli che causano le emissioni per la decarbonizzazione dell’economia. Guardiamo quindi fino a che punto ci porta questo meccanismo e lì dove non funziona più - a quel punto attiviamo dei meccanismi politici tipo incentivazioni o tasse.</B>
Vanno dette due cose. La prima è che è stato il mercato che ci ha portato nella situazione nella quale ci troviamo oggi perché per sua natura funziona a breve termine, manca la lungimiranza e una considerazione per il bene comune. Se adesso si vuole creare un mercato che prende in considerazione la sostenibilità e il bene comune, diventa molto difficile dare a questo mercato delle regole che alla fine salvaguarderanno il principio mercato.
Il mio secondo punto sarebbe che l’argomento "lasciamo fare il mercato" si riferisce anche ad un altro strumento, alle tasse, la carbon tax. Non dimentichiamo che anche questa tassa è uno strumento del mercato - in questo si distingue da altri strumenti regolatori che non hanno niente a che vedere con il mercato come per esempio i limiti di emissioni ed i divieti di circolazione. In questo contesto è nato un dibattito anche tra economisti convenzionali se non potrebbe essere più sensato introdurre una tassa internazionale sul carbonio invece del commercio con i certificati. Se guardiamo le proposte delle quote, dello scambio e del commercio delle quote arriviamo addirittura a delle proposte che vogliono attribuire ad ogni persona un determinato budget di CO2, ad esempio con una carta magnetica dove vengono scalati tot chilogrammi di CO2 ogni volta che la persona fa il pieno di carburante o con altre attività responsabili per le emissioni di CO2 e se le quote ad una determinata persona non bastano deve comprarsi altre quote.
A me fugge qual è la differenza di fondo tra un sistema di questo tipo e la carbon tax che però è molto più facilmente attuabile perché le tasse già ce le abbiamo su tutti i prodotti rilevanti. Si tratta solo di inserire come un componente il carbonio in un sistema di tassazione già esistente. Mentre l’Emission Trading a livello europeo dov’è già funzionante come un commercio interno ha creato una mole di amministrazione e procedure burocratiche. L’impegno amministrativo è immenso e naturalmente ci sono dei buchi, se non addirittura dei punti d’entrata per la criminalità, e se mai dovessimo arrivare al modello delle quote individuali nascerebbe subito un mercato nero. Per concludere la Carbon tax è uno strumento del mercato e a me non sembra ancora chiusa la domanda se non sia un meccanismo più idoneo del commercio delle quote.
<B>Torniamo al processo internazionale e alle trattative in atto, che cosa c’è da dire sulla dinamica che ci porterà da Bali via Poznan a Copenaghen?</B>
Penso che il risultato più importante di Bali è stato che sono saliti sulla barca su un lato gli Stati Uniti sull’altro lato i paesi emergenti; sono questi due che negli ultimi anni hanno rallentato il processo mentre l’Unione Europea si trovava tra i due gruppi cercando di tirare fuori entrambi dal gioco del "prima loro". È un grande passo in avanti che tutti e due sono sulla barca perché anche i paesi emergenti si sono dichiarati disponibili di accettare degli obblighi ancora da definire se ci saranno dei flussi finanziari. Su quest’ultimo punto non ci possono essere dubbi: ci vorrà un trasferimento di mezzi finanziari in dimensioni finora sconosciute. Ma è anche ovvio che questo risultato positivo è solo un inizio e ci sono moltissime cose da chiarire nelle trattative che di sicuro non saranno una passeggiata, già geograficamente da Bali a Poznan è una lunga distanza.
La mia paura però è che nel cammino verso Poznan si perderà tempo trascinando i piedi e arrivando all’appuntamento di dicembre con pochi risultati. A questo punto la passeggiata da Poznan a Copenaghen - che sembra del tutto fattibile - diventerà una maratona. Per questo adesso è importante che tutti gli interessati mandino avanti il processo internazionale avendo ben presente e facendo presente a tutte le parti l’importanza della tappa di Poznan. In tutti gli incontri che si svolgono in continuo, incontri intermedi, ma anche in tutte le altre conferenze delle Nazioni Uniti dove oggi i cambiamenti climatici sono sempre un punto sull’ordine del giorno, deve essere sottolineata l’urgenza di andare avanti e di non aspettare fino all’ultima sera a Copenaghen per trovare poi una soluzione pensata e fatta male.
<b>E quale sarebbe il ruolo delle reti delle città, degli enti locali e territoriali in questo processo? Hanno un ruolo?</B>
Credo di sì, ultimamente mi sembra di vedere che le città diventano un oggetto di ricerca sempre più interessante. Molti di coloro che si occupano di politica del clima adesso rivolgono l’attenzione sulle città calcolando i grandi potenziali di riduzione delle emissioni di gas serra collocati lì. Però devo dire sulla base della mia esperienza che questi lavori spesso hanno il difetto di un approccio troppo tecnico. Gli studiosi non si rendono conto che le città non sono semplicemente un insieme di fonti di emissione ma anche delle entità culturali, sociali e politiche, seguono delle dinamiche complesse che non possono essere saltate in un approccio tecnocratico di command and control.
L’attenzione sulle città quindi è cresciuta, ma nelle trattative internazionali vengono sempre considerate un po’ come campi da gioco. Quello che fanno le città, quello che fanno le reti di città non viene preso veramente sul serio. Le loro attività di buone pratiche, di progetti di eccellenza vengono accolte con grande simpatia, ma gli enti locali e territoriali non sono veramente attori nel processo internazionale. Però la scarsa attenzione al ruolo delle regioni, province e comuni non è solo una questione di mancanza di attenzione su quello che facciamo, ma anche un problema di non poterlo dimostrare in modo convincente. Va detto che il nostro messaggio è più o meno lo stesso da diversi anni e così non si può continuare, ci vuole una svolta incisiva, una nuova qualità del nostro messaggio che ha che vedere soprattutto con dei dati e la capacità di documentare in modo convincente le proprie attività per la salvaguardia del clima.
<B>Stiamo parlando dei bilanci di CO2 e del monitoraggio?</B>
Sono convinta che lo strumento di monitoraggio del CO2 dell’Alleanza per il Clima elaborato insieme agli esperti svizzeri di Ecospeed può avere un ruolo molto importante. Oltre ai bilanci complessivi occorre anche un forte lavoro sugli indicatori per dimostrare, ad esempio, che una città che ha creato un buon sistema di trasporto pubblico urbano produce sistematicamente meno emissioni di gas serra. Sono queste dinamiche che vanno documentate perché è importante per il processo internazionale, ma è anche importante per le stesse città perché ricordiamoci che sono sempre in poche le città che si attivano anche se le reti sono cresciute molto negli ultimi anni. La stragrande maggioranza delle città non si muove finora in una prospettiva di una strategia del clima, quindi questo è un grandissimo campo di lavoro di convincimento e di sensibilizzazione se non vogliamo alla fine essere ridotti al meccanismo di command and control.
<b>Per diventare più visibili nel processo internazionale le città con una strategia del clima devono diventare di più e ci vogliono strumenti e metodologie per poter documentare in modo più convincente il proprio contributo alla salvaguardia del clima?</B>
Dobbiamo dimostrare i successi delle città d’eccellenza e che cosa le distingue dalle altre che non si sono attivate a favore del clima, quindi sono due i discorsi e le linee di ragionamento, una dei dati e fatti duri e l’altra della plausibilità. Un ragionamente basato sulla plausibilità nel senso di dimostrare che lo sviluppo urbano dei prossimi decenni ha un ruolo fondamentale per l’intensità di carbonio della società del futuro. In questo campo d’attività gli enti locali e territoriali hanno un ruolo insostituibile, il carbon market per esempio lì non arriva perché lo sviluppo urbanistico segue una logica diversa.
<B>Questo nessuno lo metterebbe in discussione anche fra coloro che promuovono un rafforzamento del carbon market. Ma viceversa il processo internazionale, quello che succederà tra Bali, Poznan e Copenaghen quanto sarà rilevante per il livello locale?</B>
Su un primo livello il processo internazionale rivolge l’attenzione sul clima e in questo senso crea gli spazi per una politica locale e territoriale. Sono convinta che nei prossimi anni non ci sarà più neanche un governo locale che potrà fare finta di non doversi occupare del problema clima, se non altro perché saranno le cittadine e i cittadini che chiederanno che qualcosa deve essere fatto. Poi però c’è anche un coinvolgimento più diretto delle città perché in quanto proprietarie di aziende municipalizzate per la produzione di energia sono direttamente degli attori nel commercio delle emissioni in Europa. Quindi in questo senso le regole future saranno rilevanti per i comuni in quanto attori nel mercato di produzione dell’energia.
E poi ricordiamoci che è più che probabile che prima o poi i governi nazionali si rivolgeranno ai governi territoriali e locali per farli contribuire al raggiungimento degli obiettivi nazionali in modo obbligatorio. I governi nazionali potrebbero vedersi costretti ad emanare degli obiettivi vincolanti per le città o legare finanziamenti che finora sono incondizionati ad una certa performance nel campo della riduzione delle emissioni di CO2.
<b>Significa quindi che si trovano bene quelle città che partono per tempo?</B>
Naturalmente, perché prima o poi i potenziali che esistono a livello locale devono essere attivati, una volta che le altre possibilità sono esaurite - è l’unica strada percorribile. È ovvio che molto di quello che possono fare le città è legato strettamente alle politiche nazionali. Prendiamo l’esempio delle energie rinnovabili dove l’Italia ha ancora qualche problema mentre la Germania e la Spagna sono modelli di successo. I governi nazionali in questi due paesi hanno creato delle condizioni molto favorevoli per le energie rinnovabili attraverso il conto energia e altre misure. Però gli impianti devono trovare delle ubicazioni, ci vogliono investitori e qui – nella realizzazione concreta sul posto - entrano le autorità locali e territoriali che devono dare le autorizzazioni e creare le condizioni per poter collocare gli impianti nel territorio. Per l’attuazione di programmi nazionali i comuni hanno un ruolo preminente.
<font size ="1"><i>da Newsletter Alleanza per il Clima del 12.03.2008</i></font>