Ridisegniamo la città affidandola ai giovani
da La Repubblica del 1.04.2008
01 April, 2008
di CARLO BRAMBILLA
La ricetta di Gae Aulenti: no a torri immense
Io rifarei le zone dalla circonvallazione all´esterno: le strade, i quartieri. Torniamo la capitale morale
Puntiamo sui milanesi, non c´è nessun bisogno di inseguire le firme dello star system
"Chiamiamo subito al lavoro gli architetti"
«Il disegno! Il disegno! Certo siamo tutti felici che Milano abbia vinto... Adesso però cogliamo questa grande occasione per ridisegnare la città. Non pensiamo solo a immense torri, a nuove Tour Eiffel, o a strani edifici simbolo. Disegniamo le strade, i quartieri, il tessuto vivo della metropoli. Facciamo tornare Milano capitale morale di questo Paese. E facciamolo chiamando al lavoro i giovani architetti. A Milano ce ne sono di straordinari. Non parlo certo per me. Ho ottant´anni e non credo proprio potrò contribuire. Abbiamo solo sette anni di tempo. Non sono tanti. Rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci a lavorare da domani mattina». Gae Aulenti ha seguito con trepidazione la votazione di Parigi che ha portato alla vittoria di Milano su Smirne per l´Expo del 2015. È felice, ma anche preoccupata per i molti business edilizi che spingeranno a costruire senza seguire un progetto generale. E da grande architetto esperto di urbanistica si permette di dare qualche consiglio.
Quale la cosa più importante a cui pensare, adesso che Milano ha vinto?
«Dobbiamo pensare alla qualità. Mettere insieme tutti i saperi che in questa città sono presenti, ma che troppo spesso vengono negati da una classe amministrativa di basso livello. Faccio un piccolo esempio: la grafica del manifesto per l´Expo a Milano è invisibile. Ma perché, quando abbiamo designer straordinari in città?».
C´è un rischio di business fine a sé stesso, praticato da chi è interessato solo ai profitti personali e non certo al disegno urbanistico di Milano?
«A Milano abbiamo la Compagnia delle Opere, vicina a Comunione e Liberazione, che sta festeggiando. Particolarmente scatenata con i suoi affari. C´è una classe nascosta, sotterranea, poco trasparente, che non ama i controlli. E quindi nega la qualità».
Lei pensa che dovremmo coinvolgere studi di architettura italiani e non stranieri?
«È diventata un po´ una moda milanese quella di coinvolgere architetti dello star-system internazionale. Invece dobbiamo fare come la Francia, che fa lavorare subito i suoi giovani architetti. La conoscenza di Milano è soprattutto quella di chi la abita. Io comincerei con loro. Poi se ci saranno dei casi in cui sarà necessaria la particolare capacità specifica di uno straniero, allora lo si chiami».
Tutti parlano di grande occasione per rilanciare Milano. Ma come cogliere questa occasione?
«Guardi io ho partecipato alla Torino olimpica. Quello è un esempio positivo a cui guardare. Hanno reso la città fluida, riconoscibile. Hanno allargato le strade, portato i mezzi pubblici. Sono stati capaci di una gestione molto aperta».
Che cosa vuol dire la città disegnata? Pensa alla Milano napoleonica con il Foro Bonaparte intorno al Castello Sforzesco?
«Esattamente. Penso proprio a quello. Non a un piazzamento casuale delle opere, ma un disegno dell´insieme. Oggi si parla tanto di torri. Ma come? Dove? Con quali connessioni? Con che disegno della città? Queste sono le domande a cui rispondere».
Se lei potesse disegnare un pezzo di questa città, cosa le piacerebbe progettare?
«Tutta quella continuità urbana che va dalle circonvallazioni verso l´esterno. Verso la periferia. Da ripensare però con un disegno cittadino e non di periferia».