Plastica: anche per gli imballaggi la sostenibilita' non puo' attendere
19 September, 2019
In vista dell’approssimarsi della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, quest’anno dedicata alla riduzione dell’impatto ambientale degli imballaggi torniamo sul tema oggetto della nostra iniziativa a lungo termine Meno rifiuti più risorse in 10 mosse.
L’iniziativa si rivolge direttamente al mondo aziendale con una serie di richieste improntate all’uso sostenibile delle risorse. Il tema è di grande attualità in vista dell’approssimarsi della 22esima Cop a Marrakech perchè c’è una stretta correlazione tra il consumo di materia e il consumo di energia. La loro azione combinata determina la portata delle emissioni climalteranti.
In orologi meccanici uomo questo secondo approfondimento dedicato al rapporto The New Plastics Economy: rethinking the future of plastics -il più corposo studio mai prodotto sull’economia della plastica a livello globale- vengono richiamate le prime tre mosse della nostra iniziativa nella parte dedicata alle soluzioni.
La prima mossa chiede alla aziende produttrici di ridisegnare prodotti e cicli produttivi in un’ottica di economia circolare. Una progettazione circolare -o ancora meglio di design sistemico– di un prodotto prende in esame l’intero suo ciclo di vita escludendo alla fonte sprechi di risorse e altri effetti collaterali come la produzione di rifiuti e inquinamento. I modelli economici circolari mantengono il valore originale di un prodotto il più a lungo possibile all’interno di nuovi cicli economici.
Con la seconda e la terza mossa abbiamo analizzato quali modifiche sia necessario applicare al design per evitare che imballaggi, seppur realizzati in una plastica pregiata come il PET finiscano sprecati, oppure impiegati in applicazioni di minor valore come la produzione di pile (down cycling). In questo post abbiamo raccontato quali sono gli imballaggi fortemente problematici ai fini del riciclo ( in costante crescita) basandoci anche sugli allarmi lanciati dalle associazioni dei riciclatori.
Il comparto del riciclo viene messo da tempo in difficoltà da un insieme di fattori ai quali si aggiunge un aumento dei costi nei processi di riciclo dovuto ad un design che insegue le sirene del marketing e non considera il fine vita degli imballaggi. I riciclatori sono già alle prese con le difficoltà create dal basso prezzo del petrolio che rende più conveniente l’impiego di plastica vergine, e la mancanza di un mercato per le materie prime seconde. Uno studio USA ha quantificato i maggiori costi di gestione per il riciclo di bottiglie con sleeves (etichette coprenti) in un costo che varia dai 2 ai 4 centesimi di dollaro per ogni 500 grammi di prodotto lavorato. In generale, negli ultimi 10 anni, si è verificato un raddoppio dei costi di produzione per il riciclato in PET.
In questo interessante video dibattito avvenuto durante l’ultimo evento del WEF- World Economic Forum nel 2016 a Davos sul tema : Rethinking Plastics, il Ceo di Suez , Jean-Louis Chaussade si chiede perché il mercato richieda PET trasparente per poi colorarlo e compromettere o complicare le successive fasi di riciclo. I partecipanti sono stati: Ellen MacArthur (Fondatrice dell’Ellen MacArthur Foundation), Dominic Kailash Nath Waughray e Oliver Cann (WEF), Jean-Louis Chaussade (Suez).
L’Italia che rappresenta il secondo paese europeo nella domanda di materie plastiche non è ovviamente risparmiata da questo trend. Lo testimonia il caso dell’azienda Erreplast che ha dovuto investire 1,5 milioni di euro dotandosi di una linea per eliminare, all’inizio del ciclo, etichette e sleeves dalle bottiglie. In questo modo la resa è tornata sui livelli di 15 anni fa, prima cioè che le etichette integrali invadessero il mondo del beverage, aumentando la quantità di scarto poiché PVC e polistirene (materiale delle sleeve) sono incompatibili con il riciclo del PET.
THE NEW PLASTICS ECONOMY : Rethinking the future of plastics
Un rapporto e un progetto della durata di tre anni della Ellen McArthur Foundation per l’economia circolare
Il materiale più problematico e sfidante e allo stesso tempo maggiormente utilizzato in tutte le sue varianti e possibili combinazioni con altri materiali è la plastica o meglio le plastiche.
Una gestione inefficace del fine vita delle plastiche- anche nei paesi industrializzati- unita alla disastrosa gestione dei rifiuti da parte di 5 paesi asiatici ( responsabili del 55 /65% della plastica dispersa in mare), sta minacciando gravemente mari ed oceani. Uno studio del 2014 ha stimato che, in mancanza di provvedimenti, avremo al 2025 nei mari, una tonnellata di plastica per ogni tre tonnellate di pesce e più plastica che pesce al 2050. Nuovi studi si aggiungono ogni anno a confermare che tutti gli organismi marini sono vittime dell’ingestione di plastica di varia natura: dai frammenti di fibre sintetiche ingerite dalle larve di pesce ad altre tipologie di plastiche come le microsfere dei cosmetici o frammenti plastici di varie grandezze che diventano il cibo per pesci più grandi. Le ripercussioni sulla salute dell’uomo saranno inevitabili poiché la quota di plastica che entra nella catena alimentare è destinata a crescere.
Lo studio The New Plastics Economy contiene dati preoccupanti di cui vi abbiamo già raccontato in un primo approfondimento e tutta una serie di aree di intervento che andrebbero esplorate per affrontare le attuali diseconomie del settore. Nel rimandarvi al precedente approfondimento riportiamo solamente un paio di dati e numeri presenti nel rapporto.
L’attuale gestione degli imballaggi in plastica causa su base annuale un danno economico al capitale naturale che supera il valore totale dei profitti generati dal settore. Sotto il profilo economico non va meglio poiché il 95% del valore del packaging, stimabile in 60-120 miliardi di dollari, si perde dopo un singolo utilizzo.
Il mercato degli imballaggi di plastica è in crescita con stime che indicano un raddoppio dei volumi di vendita attuali entro i 15 anni e una loro quadruplicazione al 2050 con 318 milioni di tonnellate immesse al consumo (un po’ di più della produzione complessiva dell’intera industria plastica del 2014 pari a 311 milioni di tonnellate).
Nel 2013 sono state immesse nel mercato globale 78 milioni di tonnellate di packaging in plastica per un valore pari a 260 miliardi di dollari. Di quelle 78 milioni di tonnellate di packaging il 72% non è stato recuperato, il 40% è finito in discarica e il 32% è sfuggito ai sistemi di raccolta “legali”. La percentuale media di riciclo del packaging immesso al consumo è pari al 14% e equivale alla percentuale che è andata ad incenerimento: il 14% .
Anche considerando il caso di maggior successo riferito al PET, la plastica più pregiata e maggiormente riciclata, si potrà rilevare che quasi la metà non viene raccolta per essere riciclata e solamente il 7% delle bottiglie di PET immesse al consumo viene trasformato in altre bottiglie: bottle to bottle. Anche in Italia si registra una situazione simile come ha reso noto il consorzio Coripet. Solamente i paesi che hanno il vigore il deposito su cauzione possono contare su una restituzione dei vuoti che può andare anche oltre al 90% dell’immesso al consumo per produrre altre bottiglie.
In questo post vogliamo soprattutto prendere spunto dalle prime aree di intervento che il rapporto ha identificato come punti di partenza per un’azione globale.
Il primo passo consiste nello stabilire il più alto livello di collaborazione possibile da tutti i soggetti che formano la catena del valore della filiera della plastica a livello internazionale, che possono pertanto fornire un pezzo di soluzione. Quindi governi nazionali e locali, NGO, industria dei beni di largo consumo, produttori di packaging e di altri beni perché sono questi ultimi soggetti citati che giocano un ruolo critico nel determinare quanto viene immesso al consumo. Per guidare questo ripensamento del sistema economico attuale gli autori del rapporto suggeriscono la creazione di un coordinamento indipendente che possa definire una tabella di marcia, stabilire standard, metriche e sistemi comuni ai quali fare riferimento, e infine promuovere le opportunità di innovazione a livelli di economia di scala.
Il primo compito di questo organismo indipendente è di lavorare all’adozione di standard di riferimento globali per la progettazione dei manufatti in plastica in modo che siano compatibili/allineati come caratteristiche con i sistemi di gestione del loro fine vita. L’innovazione continua dei prodotti di largo consumo e del packaging si contrappone a dei sistemi di gestione dei rifiuti e di impiantistica che non sono altrettanto dinamici e variano da paese a paese. L’iniziativa deve obbligatoriamente coinvolgere tutto il mondo industriale ( produttori di plastica e packaging, aziende di marca, retailers e aziende che si occupano di raccolta, selezione e riciclo degli imballaggi) in modo che, anche sulla base delle linee guida all’ecodesign già esistenti si arrivi a sviluppare standard e metriche comuni che migliorino la circolarità dei flussi di materiale.
Semplificando nel ridisegnare le linee guida del sistema si dovrebbe, sulla base della situazione attuale, valutare quali benefici economici potrebbero scaturire se attuassimo :
1) un significativo restringimento delle attuali e diverse opzioni di combinazione di materiali eterogenei (abbinamenti tra diverse plastiche o altri materiali come carta alluminio) e di utilizzo di additivi; (vedi mossa nr. 3)
2) una possibile eliminazioni di quelle piccole componenti/accessori del packaging che si rivelano un problema a fine vita e possono più facilmente finire nell’ambiente; (vedi mossa nr.2)
4) una riprogettazione degli impianti e dei sistemi spesso frutto di progetti nati in modo frammentato a livello municipale o regionale in modo da rendere possibili l’ottimizzazione e il raggiungimento di economie di scala nella gestione dei flussi di imballaggio.
Tra le indicazioni del rapporto su come entrare in azione , davvero troppe per effettuare anche solamente una sintesi, non mancano la realizzazione di progetti pilota su larga scala aperti all’innovazione continua (e alle necessarie variazioni richieste dai contesti locali), e alcuni suggerimenti su come coinvolgere i decisori politici nello sviluppo di una visione comune per un modello economico più efficace. A tal proposito viene suggerito di fornire ai policy makers un toolkit che contenga una metodologia strutturata per la valutazione delle opportunità, delle barriere e delle opzioni politiche per superarle in una transizione verso una nuova economia per la plastica. Spetta infatti alla politica giocare un ruolo chiave per l’EC attraverso legislazioni mirate e incentivanti.
Le aziende leader, il mondo accademico e gli innovatori vengono invitati dal report a riunirsi per sviluppare “moonshot innovations” e iniziative capaci di avere un significativo impatto su grande scala. Per citare solamente alcune delle aree di ricerca proposte: sviluppo di materiali compositi che possono essere riprocessati come gli adesivi reversibili che si ispirano alla biomimetica; la ricerca di super polimeri che abbiano la funzionalità di quelli attuali ma un grado superiore di riciclabilità; sviluppo di tecnologie avanzate di riciclo chimico, ecc
Questo rapporto però- come avvertono gli autori- si propone di fornire le risposte iniziali. E’ necessario produrre nuovi studi per ottenere ulteriore evidenza scientifica e di impatto economico, perché molti degli aspetti fondamentali che caratterizzano i flussi di materiale plastico e la loro economia sono ancora poco conosciuti. Servirebbero quindi: ulteriore ricerche che indaghino più in dettaglio i vantaggi economici e ambientali delle soluzioni discusse nel rapporto; la produzione di meta-analisi e ricerche mirate a valutare l’impatto socio-economico causato dai rifiuti plastici e sostanze potenzialmente pericolose negli oceani (rischi ed esternalità incluse); valutazioni della potenzialità di passare a scala industriale nella produzione di materie plastiche a partire dall’impiego di gas serra come materia prima, ecc.
A seguire il confronto con lo stato dell’arte della raccolta e del riciclo degli imballaggi in Italia e quali insegnamenti possiamo trarre da questo importante lavoro della Fondazione Ellen McArthur scaricabile qui.