Non dismettiamo i fusti di birra riutilizzabili: un appello a Carlsberg, e non solo
27 May, 2017
Per una vera economia circolare nel settore degli imballaggi industriali le aziende, anzichè dismettere i sistemi riutilizzabili, dovrebbero riprogettare quei sistemi non più performanti a livello di impatti ambientali complessivi, alla luce delle nuove esperienze di successo attuabili con la logistica inversa. Oppure occuparsi personalmente dell’organizzazione di un take back dei propri imballaggi per un ottimale riuso o ricicl, o assumersene la responsabilità economica,.
Carlsberg Italia ha introdotto sul mercato qualche anno fa l’innovativo sistema di spillatura DraughtMaster™ che sostituisce i tradizionali fusti in acciaio riutilizzabili con fusti in PET. Secondo l’azienda con il nuovo sistema la qualità della birra risulta sensibilmente migliorata poichè vengono così evitati i processi di saturazione e ossidazione del prodotto e la birra resta inalterata per oltre 31 giorni dall’apertura del fusto (rispetto ai 3/4 giorni del fusto tradizionale).
Rispetto ai benefici di ordine ambientale il sito di Carlsberg riporta “Per quanto riguarda la CO2 immessa nell’ambiente, come dimostrato dallo studio LCA (Life Cycle Assessment) elaborato da IEFE Bocconi sul sistema DraughtMasterTM – l’innovativo sistema di spillatura basato su fusti in PET che non necessitano di CO2 aggiunta per la spillatura, ma una semplice compressione ad aria – solo il 24% viene totalizzato durante la produzione. Il restante 76% è attribuibile alle altre fasi della filiera (materie prime, approvvigionamento, packaging, distribuzione, fase d’uso e fine vita) per cui l’impegno di Carlsberg Italia è quello di sensibilizzare tutti i soggetti coinvolti nell’intero ciclo di vita al fine di contribuire al suo miglioramento continuo.”
Lo studio LCA rileva inoltre che il sistema DraughtMaster™ consente una riduzione delle emissioni di Co2 del 28,43% rispetto all’utilizzo del fusto in acciaio e una riduzione dei rifiuti del 19,23%. Secondo lo studio la nuova tecnologia, se confrontata al sistema tradizionale, permette di ridurre il consumo totale di risorse del 44%, l’utilizzo totale di energia del 21%, il potenziale di acidificazione (-11%) e dei rifiuti pericolosi generati (-47%).
Il Direttore di IEFE, nonché professore associato presso l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa Fabio Iraldo è così intervenuto durante la presentazione dell’ultimo Bilancio di Sostenibilità di Carlsberg lo scorso anno : “Quando leggete l’etichetta di un prodotto o una qualsiasi comunicazione aziendale che parla di ambiente non fatevi trarre in inganno da dichiarazioni su singoli aspetti di maggior sostenibilità ambientale. Se non c’è alla base una valutazione sull’impatto ambientale dell’intero ciclo di vita del prodotto (Life Cycle Assesment, LCA) si tratta di greenwashing”.
THINK DIFFERENT: il packaging è parte integrante del prodotto e deve contribuire alla sostenibilità complessiva
Fermo restando che la valutazione complessiva dell’impatto ambientale dell’intero ciclo di vita di un prodotto è importante, a nostro parere, è altrettanto importante quando si immette un prodotto nel mercato, fare i conti con lo stato attuale dell’ambiente, fortemente deteriorato e non più in grado di reggere un sistema economico che non sia rigenerativo e circolare. Siamo in un momento storico in cui non possiamo più sprecare risorse preziose e bruciare rifiuti peggiorando lo stato delle emissioni. L’industria attraverso l’ecoinnovazione e progressi tecnologici impensabili anche solamente qualche anno fa, dovrebbe poter sviluppare delle soluzioni che coniughino nella sostenibilità complessiva di un prodotto anche la sostenibilità del suo packaging.
La scelta industriale che ripropone il noto approccio di esternalizzare i costi del fine vita del packaging che ha visto decadi fa, il sistema riutilizzabile (finanziato dai produttori) riconvertirsi in un sistema a perdere, non è innovativa e non aiuterà l’economia sul lungo periodo. Il tallone d’Achille del nuovo sistema consiste nell’impatto dei fusti in PET a fine vita. Non abbiamo trovato riscontri che dimostrino che questi fusti non finiscano smaltiti come rifiuto non recuperabile. Con la conseguenza che, qualora DraughtMaster™ e sistemi equiparabili sostituissero il mercato del sistema tradizionale con fusti riutilizzabili, il fenomeno assumerebbe proporzioni per nulla trascurabili.
Nella Dichiarazione Ambientale di Prodotto (EPD) di Carlsberg viene spiegato come è stata svolta l’analisi LCA che ha comparato gli impatti ambientali per una stessa quantità di birra quando servita da: fusto riutilizzabile in acciaio, fusto in PET e bottiglia di vetro, entrambi a perdere. L’analisi dimostra che il fusto in acciaio ha un maggiore impatto ambientale rispetto a quello in PET (e senza CO2 aggiunta) dovuto a fattori come il peso del materiale, l’impatto dei trasporti e delle attività che i fusti necessitano per essere recuperati una volta vuoti e poi igienizzati, riempiti e riconsegnati.
Nell’EPD si legge che i gestori dei punti vendita dovranno smaltire i fusti D Master, una volta esausti, nella raccolta differenziata della plastica, seguendo le indicazioni della propria amministrazione comunale. Rispetto alle presunte percentuali di riciclo che sono state considerate nell’LCA, il documento chiarisce che si tratta delle performance di riciclo degli imballaggi del flusso delle plastiche da imballaggio domestico. Infatti la nota (3) sul documento recita come segue Per gli scenari di fine vita dei della plastica e del vetro si sono utilizzate le percentuali nazionali pubblicate sulle relazioni annuali del Consorzio Recupero Plastica (Co.Re.Pla) (“Relazione sulla Gestione”, 2009) e del Consorzio Recupero Vetro (Co.Re.Ve) (“Risultati 2009 –Raccolta e Riciclo del Vetro”). Anche qualora fosse stato redatto un EDP più aggiornato rispetto a questo del 2010 i termini della questione restano gli stessi.
Non essendo stato possibile reperire alcuna notizia circa un
eventuale riciclo per questi fusti in PET è presumibile immaginare che
qualora i fusti finiscano nei centri di selezione con i rifiuti urbani
vengano scartati e avviati a smaltimento. Verosimilmente, e saremmo
felici di poter essere smentiti, potrebbe avvenire la stessa cosa
qualora recuperati attraverso operatori indipendenti che gestiscono gli
imballaggi industriali B2B a fine vita.
Il riciclo come i nostri lettori più assidui ormai sanno, è un processo
industriale e necessita non solamente di materiali idonei al riciclo, ma
anche di flussi in entrata che permettano economie di scala e rendano
il processo economicamente sostenibile. Una valutazione completa del
sistema, anche senza essere esperti in LCA, ma seguendo la logica del
miglioramento continuo a 360°, avrebbe dovuto essere più ampia prendendo
atto di quella che è la realtà del nostro sistema di raccolta
imballaggi, e non quello che potrebbe o dovrebbe essere.
Accanto ad una valutazione LCA avrebbe dovuto trovare spazio un’analisi su altri impatti che vengono esternalizzati con l’imballaggio a perdere quantificando anche l’impatto ambientale ed economico che si ripercuote sul sistema post consumo (raccolta e selezione) che in maggiore proporzione ricade sui Comuni e cittadini attraverso le bollette dei rififuti. Tale analisi avrebbe dovuto includere anche una stima economico-ambientale delle mancate ricadute positive derivanti dal riciclo come un minore consumo di risorse, di emissione di gas serra e i vantaggi occupazionali.
UN CONTRIBUTO AMBIENTALE PIU’ FAVOREVOLE PER GLI IMBALLAGGI INDUSTRIALI
Vale la pena considerare che questi fusti, quando entrerà in vigore nel gennaio 2018 il sistema di contributo ambientale diversificato per la plastica, godranno di un Contributo Ambientale Conai ( CAC) agevolato in quanto appartenenti alla categoria degli imballaggi industriali. Questa agevolazione non tiene conto, per come è organizzato il sistema, che questi imballaggi condividono la caratteristica di essere non facilmente selezionabili e riciclabili con la categoria degli imballaggi del circuito domestico che subirà invece una penalizzazione del CAC. Ovviamente la scelta di Carlsberg, avvenuta anni fa, non ne è stata in alcun modo influenzata. Va aggiunto a questo proposito che il CAC non si paga sugli imballaggi industriali riutilizzabili e che ci sono accordi specifici, ad esempio per le cassette o pallet riutilizzabili che possono finire nella raccolta differenziata urbana.
UN APPELLO PER UNA REALE ECONOMIA CIRCOLARE DEL PACKAGING
Sono diversi gli studi condotti nel settore degli imballaggi industriali ( e non solo) che hanno certificato il minore impatto ambientale ed economico dei sistemi riutilizzabili. Pertanto la logica che dovrebbe guidare l’innovazione non può che essere quella dell’economia circolare, e cioè della prevenzione degli impatti ambientali e anche attraverso il riutilizzo. Lo suggerisce il piano The NPE: Catalysing Action prima citato che vede, e soprattutto nel settore B2B un alto potenziale di sviluppo per il riuso visto i casi di successo tra cassette, pallet, ecc. Questa strategia si può attuare attraverso la riprogettazione del packaging non riciclabile ( che può essere smaterializzato o reso riutilizzabile o riciclabile) e/o una riprogettazione dei delivery models ( o metodi di erogazione) che, come nello specifico caso della birra alla spina, possono escludere la necessità di impiegare imballaggi a perdere. Anche uno studio di qualche tempo fa di Cresv Bocconi aveva indicato nella prevenzione la vera innovazione verso la sostenibilità del packaging.
Non resta che fare un appello al mondo della birra ma anche del vino che si è orientato o pensa di farlo verso questa opzione, e in particolare a Carlsberg Italia che ha fatto della sostenibilità e responsabilità di impresa il suo cavallo di battaglia. Dal 2016 con ResponsiBEERity Carlsberg ha dichiarato di aver ampliato l’approccio
dall’essere ambientalmente sostenibili a una visione che si assume una
maggiore responsabilità anche dal punto di vista sociale. Alberto Frausin, amministratore Delegato di Carlsberg Italia in occasione della presentazione dell’ultimo bilancio di sostenibilità affermava “La
chiave vincente della sostenibilità è che tutti si sentano
responsabili, senza delegare ad altri, e con azioni che devono essere
perseguite giorno per giorno.”
L’appello consiste nel rivedere il sistema alla luce del nuovo sforzo corale guidato dalla Fondazione Ellen McArthur con il programma NPE
di riconvertire l’attuale gestione lineare della materie plastiche
responsabile della più consistente e nefasta del marine litter, in
un’occasione di economia sostenibile. Dal lancio del piano di azione Catalysing Action sempre più aziende si sono unite al programma sposandone gli obiettivi, e anche l’industria del Beverage con l’ultima adesione di Pepsi Cola è presente.La
parte più sfidante e complicata, come vedremo in un prossimo
approfondimento, è quella di quali strumenti legislativi si debbano
mettere in campo per fare in modo che le aziende seguano nella
progettazione dei loro beni l’ordine di priorità della gerarchia di
gestione dei rifiuti; senza saltare cioè le strategie della prevenzione
e del riuso, qualora gli accordi volontari senza obiettivi vincolanti
da raggiungere fallissero.
Se è vero come stima lo studio LCA che la fase di produzione in
termini di CO2 immessa nell’ambiente è responsabile solamente del 24% delle emissioni totali mentre il restante 76% è attribuibile alle altre fasi della filiera (materie prime, approvvigionamento, packaging, distribuzione, fase d’uso e fine vita) è altrettanto vero che è la fase di progettazione del prodotto, che include tra le altre la scelta del metodo di erogazione e dell’imballaggio, a determinare la grandezza degli impatti a monte e a valle.
Una progettazione sistemica che caratterizza i modelli economici
circolari compie scelte che tengono conto del sistema in cui il prodotto
esplicherà il suo ciclo di vita, e dei cicli economici successivi che
da quel prodotto ne possono derivare. La progettazione sistemica
tiene pertanto anche e soprattutto conto del sistema post consumo che
dovrà accogliere uno specifico imballaggio a fine vita nel suo insieme
di attività di raccolta, selezione, riciclo, e dell’esistenza di uno
sbocco post consumo per le materie prime seconde generate.
Una delle azioni del piano Catalysing Action della strategia dedicata al riciclo è infatti quella di allineare (rendere compatibili) il design degli imballaggi immessi al consumo con le caratteristiche, tecnologie, sbocchi di riciclo offerte dai sistemi post consumo. Oggigiorno avviene il contrario, si immette un imballaggio in commercio senza valutare quali sono gli impatti ambientali ed economici lungo tutta la filiera sia che si tratti di materiali poliaccoppiati che di bioplastiche.
In conclusione le soluzioni che Carlsberg, così come le altre aziende, potrebbe adottare per il settore B2B per una vera economia circolare sono essenzialmente due:
1) Mantenere il sistema riutilizzabile per il settore Horeca. Progettare un nuovo sistema riutilizzabile che possa migliorare l’impatto dei fusti in acciaio valutando anche altri materiali e tecnologie;
2) Vuoto a rendere con cauzione per i fusti in PET. Organizzare e soprattutto sostenere finanziariamente, in virtù del principio della responsabilità estesa del produttore, un sistema di raccolta a fine vita finalizzato ad un riciclo bottle to bottle dei propri fusti. A maggior ragione per il fatto prima citato che i fusti come imballaggi industriali godranno di un contributo ambientale agevolato.
Per quanto riguarda il settore B2C per gli imballaggi che vanno al pubblico dovrebbe invece supportare il ritorno di un sistema di vuoto a rendere con refill nel settore B2C sulla scia delle iniziative prese dal settore dei produttori di birra indipendenti.
Aggiornato in data 25 maggio 2017
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