Cambiamenti climatici: il vertice del G8
Riassumiamo i "risultati ambientali" dell'incontro dei leader dei paesi più industrializzati tenutosi a L'Aquila poche settimane fa. E le critiche degli ambientalisti...
21 July, 2009
di Massimiliano Milone
La ricetta per salvare il pianeta dei Grandi della Terra
Il vertice al completo si è trovato d’accordo nell’affermare che «il cambiamento climatico è una delle più grandi sfide del nostro tempo». Si legge nella dichiarazione su Energia e clima: «Intendiamo reagire in maniera decisa a questa sfida, convinti che il cambiamento climatico rappresenti un pericolo evidente che richiede una risposta globale straordinaria».
Il tema dei cambiamenti climatici è stato discusso nel formato G8 (i leader di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti e l’Unione Europea) ed in quello MEF (Major Economies Forum on Energy and Climate e cioè i leader del G8 più Australia, Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Repubblica Coreana e Sudafrica).
La necessità di un vertice più allargato è nata dalla ferma convinzione degli otto Grandi che non si possano prendere decisioni globalmente valide escludendo paesi così importanti dal punto di vista dell’economia e della popolazione: infatti in questa nuova veste, paesi sviluppati e maggiori economie emergenti, rappresentano insieme l’80% dell’economia mondiale e circa l’80% delle emissioni globali.
Nella sessione G8 i Leader hanno concordato sulla necessità, sostenuta dal mondo scientifico, di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali, per convenzione indicata con il 1880 (ricordiamo che attualmente la temperatura media del pianeta è aumentata di 0,8°C rispetto al 1880 secondo i dati IPCC).
«Considerato che questa sfida globale può essere raggiunta solo con una risposta globale, noi confermiamo la nostra volontà di condividere con gli altri Paesi l’obiettivo di raggiungere una riduzione di almeno il 50% delle emissioni globali entro il 2050» recita la dichiarazione. «In questo ambito noi sosteniamo anche l’obiettivo dei paesi sviluppati di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra dell’80% entro il 2050, rispetto al 1990 o anche agli anni più recenti».
I Leader hanno inoltre concordato sulla necessità di raggiungere il picco delle emissioni globali il più presto possibile «riconoscendo che l’arco temporale per il picco sarà più lungo per i paesi in via di sviluppo, per i quali lo sviluppo economico e sociale e la lotta contro la povertà sono le priorità più importanti e predominanti e che lo sviluppo a basse emissioni di carbonio è indispensabile per uno sviluppo sostenibile».
Secondo gli Otto poi, coerentemente con gli ambiziosi obiettivi di lungo periodo, occorre programmare obiettivi di medio termine significativi, tenendo conto che gli sforzi potranno essere variabili e che avranno bisogno di essere comparabili. A tal proposito, gli otto Grandi, al fine di ridurre le emissioni nel medio periodo, hanno deciso di incontrarsi prima della conferenza Onu sul clima (in programma a Copenhagen il dicembre prossimo) per definire un piano d’azione comune.
I leader degli Otto hanno infine sottoscritto una dichiarazione con cui si impegnano a raggiungere un accordo complessivo e ambizioso al vertice di Copenhagen. «Intendiamo garantire la nostra prosperità presente e futura assumendo la guida nella lotta contro i cambiamenti climatici» si legge nel testo. «Facciamo appello agli altri Paesi industrializzati e alle economie emergenti affinché si impegnino attivamente in linea con il principio delle responsabilità comuni e differenziate e sulla base delle rispettive capacità».
Nella sessione più ampia i 16 Leader del MEF insieme a Commissione Europea, Segretario Generale delle Nazioni Unite, Svezia, Danimarca (nel ruolo di presidente del prossimo vertice di Copenhagen) hanno rinnovato l’importanza di contenere l’incremento della temperatura media globale entro 2°C.
Non hanno fissato target di riduzione del CO2, ma hanno deciso di lavorare insieme nei prossimi mesi, fino alla Conferenza di Copenhagen, per identificare un obiettivo globale di riduzione sostanziale delle emissioni entro il 2050.
I Leader hanno concordato sulla necessità che tutti i paesi intraprendano azioni di mitigazione a livello nazionale, indispensabili per fronteggiare con successo i cambiamenti climatici (la dichiarazione cita, ad esempio, azioni volte a ridurre le emissioni causate dalla deforestazione). I Paesi sviluppati avvieranno per primi riduzioni di medio termine significative, ma anche i paesi in via di sviluppo faranno la loro parte: hanno assicurato azioni volte ad un significativo scostamento dei livelli di emissione dallo scenario business as usual (gestione normale delle attività).
I paesi del MEF hanno inoltre stabilito l’avvio di una Partnership Globale per promuovere l’innovazione e le tecnologie verdi a basse emissioni di carbonio ed hanno trovato l’accordo sulla necessità di coordinare ed incrementare in modo significativo gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo, con l’obiettivo di raddoppiarli entro il 2015.
Sottolineando l’importanza del settore privato, delle partnership pubblico-private e della cooperazione internazionale, si sono impegnati a rimuovere le barriere al commercio, a istituire incentivi, ad incrementare la formazione per accelerare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie a basse emissioni di carbonio (come energia solare, reti intelligenti, veicoli di ultima generazione, tecnologie ad alta efficienza energetica e basse emissioni, bioenergie).
Da segnalare anche un ampio consenso sulla necessità di incrementare i finanziamenti per sostenere i paesi in via di sviluppo e quelli per affrontare il cambiamento climatico. A tal proposito il Messico ha proposto la creazione di un Fondo verde per facilitare il sostegno internazionale alle nazioni in via di sviluppo.
Il documento annuncia infine che i paesi guida si impegneranno per «trasmettere i loro rapporti su piani di azione e road maps entro il 15 novembre 2009, evidenziando le raccomandazioni per ulteriori progressi».
Questa ed altre iniziative saranno discusse nei prossimi incontri, che impegneranno i leader prima della scadenza di Copenhagen.
Cina e India dettano le condizioni: i retroscena di quest’intesa “con riserva”
Dalla dichiarazione emergono sostanzialmente tre punti fermi: impegni stringenti per i paesi industrializzati; impegni differenziati per le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo; trasferimento di tecnologie “verdi”.
Inizialmente l’accordo sul clima sembrava sfumare: a porre dei paletti sono stati proprio i paesi che al G8 hanno partecipato come “esterni”: il no di Cina, India e Russia, lo scetticismo di Lula, Presidente del Brasile e quello di Mubarak hanno minacciato di far saltare l’intesa.
Questi paesi infatti hanno apertamente dichiarato di non essere intenzionati a rallentare il loro sviluppo e la loro crescita economica per compensare i danni provocati dall’occidente con la sua rivoluzione industriale. «Perché paesi che si stanno sviluppando da soli 30 anni devono essere chiamati a pagare il conto dell’inquinamento che paesi sviluppati hanno accumulato per tanti anni senza alcuno scotto?» hanno sentenziato durante il vertice.
L’Egitto, con il presidente Mubarak, ha invocato un compromesso «equo ed equilibrato», che consideri «le aspirazioni dei Paesi in via di sviluppo senza imporre loro vincoli che abbiano effetti su tali aspirazioni»; l’India, con il presidente Manmohan Singh, ha insistito sulla necessità di soluzioni che non perpetuino in alcun modo la povertà delle nazioni in via di sviluppo e la Cina si è detta preoccupata che la riduzione dei gas industriali possa influire negativamente sulla sua attuale crescita economica.
«L’accordo raggiunto dal G8 sui cambiamenti climatici non vincola la Cina, che ritiene fondamentale la necessità per i paesi sviluppati di prendere in considerazione le “diverse condizioni” dei paesi emergenti e in via di sviluppo» ha dichiarato il direttore del servizio stampa e informazione del ministero degli esteri cinese, Ma DaoxuLa. «La Cina – ha spiegato Ma DaoxuLa – è attivamente impegnata ad affrontare il grave problema dei cambiamenti climatici nel rispetto del Protocollo di Kyoto e svolge un ruolo costruttivo per tradurre in pratica la Roadmap di Bali». Ed ha aggiunto: «La Cina ha ancora una lunga via da percorrere sulla strada dell’industrializzazione, urbanizzazione e modernizzazione. La sua attuale forma di approvvigionamento energetico legato ad un mix di sorgenti dominato dal carbone non può cambiare in tempi rapidi, rendendo il compito di controllare e ridurre le emissioni di gas serra più duro e difficile».
In ogni caso saranno le vecchie potenze a tagliare di più le emissioni dei gas serra: l’80% in meno entro il 2050 anche se non è chiaro quali saranno gli obiettivi intermedi da qui ad allora. Si deciderà a Copenhagen!
La Russia per ora si è tirata indietro sostenendo che tagliare dell’80% le emissioni sarebbe per la sua economia un obiettivo insostenibile e forse neppure raggiungibile.
Tutti d’accordo invece (paesi industrializzati e non) sul fatto che non si debba vedere un surriscaldamento globale superiore ai 2°C del nostro pianeta entro il 2050. Anche qui nessun obiettivo specifico di riduzione delle emissioni e nessuna certezza sul come raggiungere questo compromesso “virtuoso” (tempi, scadenze e soprattutto risorse): se ne parlerà nei prossimi appuntamenti internazionali.
I due giganti asiatici, contrari alla definizioni di target specifici, non hanno voluto nemmeno indicare l’obiettivo di dimezzare le emissioni entro il 2050, per il quale si erano molto battuti Usa e Unione Europea.
Cina, India e Brasile hanno chiarito di non voler prendere nessun impegno se non vedono prima obiettivi più dettagliati da parte dei paesi ricchi darsi.
«I paesi sviluppati dovrebbero fissare obiettivi a breve e medio termine per la riduzione delle emissioni inquinanti rispetto a quelli a lungo termine» ha detto un alto funzionario cinese, Su Wei, Direttore generale del Dipartimento per il Cambiamento climatico della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma. Anche l’India si è lamentata che i “long-term targets” (gli obiettivi sul lungo termine) per il 2050 siano troppo vasti e che il G8 non consideri il passaggio intermedio del 2020, che renderebbe il piano sui quarant’anni decisamente più realistico.
Cina e India, in testa al gruppo degli emergenti, hanno quindi chiesto ai paesi ricchi, che hanno già scaricato finora nell’atmosfera miliardi di tonnellate di gas serra, di dare il buon esempio!
Le delegazioni dei due paesi hanno inoltre rimproverano agli Otto di non avere mantenuto gli impegni (presi nel 2007) sugli aiuti finanziari e tecnologici da fornire alle economie emergenti per il loro passaggio verso le energie “verdi”. «Siano i ricchi a stabilire per le loro economie impegni di riduzione a breve e medio termine e soprattutto contribuiscano con finanziamenti e trasferimenti di tecnologie alla riconversione “low carbon” delle economie dei paesi in via di sviluppo, che cominciano a produrre molta CO2, a cui però non si può chiedere di fare la fame per salvare il pianeta».
Ed è stato allora che Obama ha sfoderato le sue ragioni: prima ha sottolineato che sono i paesi industrializzati dell’occidente a doversi sobbarcare la parte più onerosa dei tagli alle emissioni di CO2, poi ha rassicurato le nuove potenze economiche: «C’è ancora tempo per limare le posizioni fino al vertice Onu sul clima di dicembre a Copenhagen». Per il presidente Usa, i progressi in questione potrebbero essere compiuti prima dei nuovi colloqui Onu sul post-Kyoto di fine anno a Copenhagen.
Accordo storico o ennesima occasione perduta? Primati e criticità dell’accordo
Per la prima volta otto grandi paesi industrializzati hanno adottato un obiettivo che riguarda solo loro; si sono infatti impegnati a ridurre le emissioni dell’80% entro il 2050, anche se con un riferimento vago: «...dai livelli del 1990 o anni successivi».
L’altro importante traguardo è che per la prima volta tutti i paesi riuniti a L’Aquila hanno riconosciuto la necessità di mantenere il riscaldamento del pianeta entro i 2°C, la soglia massima secondo l’IPCC per evitare le conseguenze peggiori. Il fatto positivo è che questo impegno è stato sottoscritto anche dagli Stati Uniti, per la prima volta disposti a trovare una strada comune per rispondere ai rischi derivati dalle conseguenze dei cambiamenti climatici.
Il punto critico resta quello del coinvolgimento delle nuove potenze emergenti, essenziale per fermare il riscaldamento globale, oltre che per raggiungere un accordo a Copenhagen. È andata delusa la speranza di riuscire a far sottoscrivere anche ai paesi in via di sviluppo l’impegno a tagliare del 50% le emissioni globali entro il 2050.
Ma come se questo non bastasse a rallentare il percorso verso uno sviluppo sostenibile ed un’economia ecologica c’è appunto il no di Cina e India, che pare però spiegabile con una certa diffidenza e mancanza di fiducia, motivate da una considerazione e da due attese concrete. La considerazione è che finora gli impegni e le promesse sono state abbastanza disattese dai Grandi. E le attese? Da una parte Cina e India aspettano che sia rispettata la promessa fatta alla Conferenza di Bali del 2007 di aiuti finanziari e tecnologici che invece non sono mai arrivati e dall’altra c’è una sorta di sfida: «Vediamo cosa riuscirete a fare sul fronte della riduzione delle emissioni da qui al 2020». A quel punto forse saranno disponibili a trattare su impegni e cifre!
Obama: «Abbiamo raggiunto un accordo storico»
L’amministrazione Obama, dando il buon esempio, ha cambiato la posizione rispetto alla precedente amministrazione repubblicana. Barack Obama non ha dubbi: « I tempi in cui gli Usa negavano il problema sono finiti. Bisogna decidere per il nostro futuro prima che gli eventi decidano per noi. Tra crescita e ambiente non c’è nessuna contraddizione».
Entrando poi nel merito, Obama ha riconosciuto che nell’accordo non sono stati definiti i tanto attesi step intermedi, ma ha rassicurato: «Molto resta ancora da fare, ma abbiamo raggiunto un consenso storico». Facendo poi appello alle economie emergenti ha aggiunto: «È possibile lavorare assieme per fare assieme progresso».
Obama ha manifestato la volontà di impegnarsi in prima persona insieme all’Unione Europea per risolvere il problema del surriscaldamento globale: «Le nazioni più sviluppate devono assumersi la responsabilità di guidare il processo di salvaguardia ambientale. Gli Stati Uniti hanno una storica responsabilità di guida. Nel passato gli Usa hanno qualche volta mancato di assumere queste responsabilità».
«Bisogna rassicurare i paesi emergenti. Il mio paese ha grande responsabilità per quanto riguarda le emissioni dei gas serra. Ce le assumiamo tutte. Non sarà facile ma porteremo la nostra economia verso l’energia pulita».
Obama si è detto ottimista sulla posizioni che hanno assunto e sugli impegni che prenderanno Cina e India perché «si sta andando verso la direzione di un accordo. L’aver fatto una dichiarazione comune di intenti significa avere vincolato su certi principi, che finora non erano universalmente accettati, anche paesi che devono fare i conti con la loro realtà economica. Per paesi che devono inseguire lo sviluppo degli altri è chiaro che l’emissione di anidride carbonica è un pericolo reale perché hanno economie arretrate che devono marciare di più».
I commenti dei Grandi della Terra sulla Dichiarazione
Il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon, intervistato dalla BBC, ha attaccato l’accordo sul clima raggiunto dal G8 affermando che sono necessarie riduzioni delle emissioni dei gas serra maggiori di quelle decise dai Grandi perché «le politiche che sono state annunciate fino ad ora non sono sufficienti: chiedo un taglio delle emissioni più veloce e più spinto, già con un – 40% per il 2020».
«I leader del G8 hanno fissato come obiettivo a lungo termine il taglio di almeno il 50% delle emissioni di gas serra entro il 2050» ha aggiunto Ban Ki Moon «ma è molto più importante che si trovi un accordo su quelli che sono gli obiettivi a medio termine. Questo è un imperativo morale e politico e una responsabilità storica per i leader, per il futuro dell’umanità e dello stesso pianeta Terra. Gli Otto devono assumersi obiettivi coraggiosi e ambiziosi: solo allora potremmo suggellare l’accordo. Questo è il mio messaggio, di questo parlerò ai leader mondiali».
Ban Ki Moon, che gestirà i negoziati di Copenhagen per il futuro del Protocollo di Kyoto, ha annunciato la convocazione di un Summit al Palazzo di Vetro il 22 settembre, al quale saranno invitati a partecipare oltre 100 leader.
Il presidente della Commissione Europea José Manuel Durao Barroso ha dichiarato: «Abbiamo raggiunto un grande risultato: quest’intesa è una svolta. Sono fiducioso sul fatto che siamo nella giusta direzione per Copenhagen, ma c’è ancora molto da fare. Il prossimo appuntamento importante sarà New York e mi aspetto progressi più concreti».
«Con i paesi del MEF non siamo riusciti a formulare target di riduzione del C02 entro il 2050 e neppure target di medio termine, ma l’accettazione del contenimento delle temperature entro i 2°C è un importante passo in avanti: è la prima volta ed è un avanzamento» ha dichiarato il primo ministro svedese e presidente di turno dell’Unione Europea Fredrik Reinfeldt. «Siamo sulla buona strada per un accordo ambizioso a Copenhagen».
Il ministro dell’Ambiente svedese Andreas Carlgren, con chiaro riferimento alla Cina, ha ammonito sul fatto che i negoziati sul clima procedano troppo lentamente «perché in troppi incolpano gli altri di non fare abbastanza anziché impegnarsi in prima persona».
Il premier Silvio Berlusconi si è detto più fiducioso: « I risultati raggiunti sul clima rappresentano un grande successo del summit G8 de L’Aquila. Da oggi possiamo guardare con maggiore ottimismo al vertice di Copenhagen, anche perché da parte di India e Cina c’è stato un atteggiamento molto positivo che ci ha sorpreso». Il Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini conferma: «Dimezzare entro il 2050 le emissioni di CO2 nell'atmosfera: questo è uno degli obiettivi più ambiziosi del G8. A chi dice che potevamo arrivare ad un accordo ancora più avanzato sull’ambiente, se Cina e India non lo avessero impedito, rispondo che questi due grandi paesi fino all’anno scorso non si sarebbero nemmeno seduti per parlare d’ambiente».
Il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo aggiunge: «È importante che la politica abbia segnato in maniera chiara un limite dei 2°C. Da qui la necessità di una sfida globale, che preveda responsabilità comuni, ma differenziate nel contesto di un nuovo ordine mondiale dell’economia, aperta, sostenibile e giusta».
Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha annunciato ai giornalisti «Ho sempre pensato che affrontare i problemi del mondo senza avere attorno al tavolo Cina, Messico, India o Brasile sia irragionevole. Sono dispiaciuto che la scadenza del 2020 per una prima riduzione di CO2 non sia stata applicata. C’è un po’ di frustrazione perché si vorrebbe convincere tutti su tutto e ottenere tutti i risultati subito, ma le cose stanno progredendo».
Gordon Brown si è detto soddisfatto del risultato globale del vertice: «Un passo storico con cui si sono messe le fondamenta per Copenhagen». Ed ha aggiunto di sperare che «tutti, paesi industrializzati e potenze emergenti, finiranno per condividere l’obiettivo».
Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha ribadito la necessità di puntare a obiettivi più ambiziosi contro il riscaldamento climatico ed ha confermato che «i paesi industrializzati dovrebbero essere i pionieri nella lotta ai cambiamenti climatici. Il mondo si aspetta, giustamente, degli impegni importanti da parte dei Paesi industrializzati».
«Sul clima non c’è più tempo da perdere: è ora di agire». I commenti di chi si impegna per l’ambiente
Quando si parla di clima spuntano le nuvole! Di fronte alla gravità della situazione denunciata dalla comunità scientifica mondiale è opinione comune che non si possa rimanere su accordi così generici a così lungo termine senza impegni precisi ed azioni concrete.
E se a parole i Grandi della Terra sembrano concordare occorre definire una volta per sempre cosa fare a partire da “oggi” per evitare le drammatiche conseguenze che comporterebbe un aumento di 2°C della temperatura media mondiale. Queste sono le principali richieste di quelli che ogni giorno sono in prima linea per la salvaguardia del pianeta. Vediamo di seguito le loro osservazioni e le proposte alternative.
Jeremy Rifkin, Presidente della Foundation on Economic Trends, giudica così il risultato del G8: «È un accordo ridicolo. Per mettere d’accordo tutti hanno deciso di andare alla velocità del più lento: così è facile raggiungere un’intesa».
Rifkin propone in alternativa la sua ricetta per salvare il pianeta: «Cosa si deve fare per non superare i 2 gradi? Non basta esprimere un pio desiderio, bisogna prima di tutto capire a che livello di concentrazione di anidride carbonica in atmosfera corrisponde un aumento di 2 gradi e poi organizzare un sistema energetico coerente.
L’errore sta nel pensare solo ai tagli delle emissioni che invece dovrebbero essere un effetto secondario di politiche virtuose capaci di rilanciare l’economia, altro che affossarla. Per uscire dalle tre crisi che ci soffocano, quella economica, quella energetica e quella ambientale, non possiamo limitarci a mangiare un po’ meno della vecchia minestra inquinante: dobbiamo lanciare la terza rivoluzione industriale pensando in positivo, cioè fissando traguardi sulle industrie da rilanciare. Non bisogna dire ai vari paesi quante emissioni tagliare, ma quanti impianti puliti costruire».
Più industrie verdi e meno emissioni dunque secondo Rifkin: «La terza rivoluzione industriale è quella che permette uno sviluppo economico che si concilia perfettamente con la riduzione delle emissioni. Ad esempio con le “smart grid”, con l’energia diffusa e decentrata, ogni casa sfruttando il sole può diventare una vera e propria piccola centrale di produzione di elettricità e calore. Se adottassimo questo modello il settore delle costruzioni, che oggi è il primo fattore di riscaldamento del pianeta, potrebbe diventare parte della soluzione al problema».
Infine Rifkin illustra quali sono, a suo avviso, i capisaldi di un nuovo modello energetico: «Il primo pilastro è costituito dalle energie rinnovabili: il secondo è rappresentato dagli edifici sostenibili; il terzo dalle tecnologie basate sull’idrogeno che serve a immagazzinare l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili; il quarto pilastro dalle reti intelligenti per distribuire l’energia secondo il modello del web».
Maurizio Gubbiotti, coordinatore della Segreteria nazionale di Legambiente, ha così commentato l’accordo sul clima: «Nonostante il MEF abbia tracciato un quadro completo, fatto di buoni intenti per affrontare il Global Warming, all’interno del G8 si continuano a bypassare gli obiettivi preposti, rimandando l’impegno di ridurre le emissioni a un futuro lontano, come il 2050. Una data remota e nemmeno approvata da tutti. Solo con obiettivi a medio termine e stanziamenti concreti, seppur calcolati in base alle specifiche responsabilità di ogni Paese, si può dar concreto seguito ai tanti proclami di questi giorni sulla necessità di sostenere i Paesi più poveri».
Ed ha aggiunto: «Siamo di fronte a un’emergenza climatica, strettamente connessa a quella economica. Ogni anno 6 milioni di profughi ambientali fuggono dalle proprie terre per le conseguenze del surriscaldamento globale, una realtà tangibile rispetto alla quale non si può indugiare».
Greenpeace pone l’accento sull’inefficienza del G8: «Prendere le prime decisioni sul clima spettava chiaramente ai leader dei Paesi più ricchi del mondo, ma hanno fallito. Il MEF non poteva fare di meglio».
«Il dialogo in occasione del MEF– spiega Greenpeace – serviva a creare una maggior reciproca fiducia tra Paesi ricchi e Paesi emergenti, per definire una responsabilità condivisa e proporzionale sul clima. Ma i capi delle nazioni più ricche del Pianeta non sono riusciti a mettersi d’accordo al G8: nessuna decisione a proposito di obiettivi vincolanti e a medio termine, di riduzione delle emissioni di gas serra e nemmeno un chiaro impegno a investire per combattere cambiamento climatico e deforestazione nei Paesi in via di sviluppo».
Giuseppe Onufrio, Direttore esecutivo di Greenpeace rincara la dose: «I governi delle nazioni più ricche hanno avuto un’opportunità storica, ma l’hanno sprecata fallendo nello stabilire obiettivi di medio termine (2020) e rinviando al G20 la discussione sugli investimenti che serviranno alle nazioni in via di sviluppo per combattere i cambiamenti climatici. Oggi, i capi di governo del G8 hanno mostrato a tutti di essere dei semplici politici che parlano e non dei leader che prendono le azioni necessarie per il pianeta».
Ed ha aggiunto: «Il G8 ha abdicato, in modo disgustoso, dalle proprie responsabilità. Quelli del G8 cercano di dar la colpa a India e Cina per il loro fallimento, una bugia degna di Pinocchio».
Invita invece alla prudenza nella valutazione dei risultati raggiunti al G8, Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile che in qualità di Ministro per l’Ambiente firmò per l’Italia il Protocollo di Kyoto. «Se si carica il G8 di aspettative improprie si resta delusi. Il G8 non è luogo di trattati internazionali per i quali la sede è l’Onu. Attenzione quindi a dire che non si è chiuso l´accordo – ha continuato Ronchi – il G8 non può chiudere accordi e svuotare Copenhagen. Il G8 è uno scambio di opinioni, i documenti sono molto generici. Il vero nodo è la Conferenza Onu di Copenhagen, il prossimo dicembre, ma con il 2020 come riferimento. Il G8 non era autorizzato».
Ronchi ha sottolineato che l’appuntamento di Copenhagen sarà cruciale non solo per l’accordo sul clima, ma anche rispetto al ruolo che dovranno avere Cina, India e i paesi emergenti. «Le emissioni storiche non sono responsabilità di Cina e India. La crisi del clima di oggi è relativa alle emissioni di 100 anni e quindi da questo punto di vista hanno ragione, ma hanno torto perché se non vi fosse un impegno significativo, quantificato e controllato di riduzione di CO2 anche per questi paesi, Cina in testa, l’accordo, se non vanificato, sicuramente ne uscirebbe indebolito».
Di tutt’altro parere Gianfranco Bologna, Direttore Scientifico WWF Italia, che così commenta l’intesa sul clima: «La declamazione non può prescindere dalle azioni concrete che si intendono intraprendere e che devono essere esplicitate Affermare, come ha fatto il G8 a L’Aquila, che si tagliano del 50% le emissioni entro il 2050 e rinviare gli impegni immediati che dovremo assumere già da domani, vuol dire rimandare il problema. È impossibile agire da subito se non vi è un percorso preciso che parte ora e si da impegni chiari di riduzione con una tempistica esplicita».
Kim Cartensen, Direttrice dell’Iniziativa internazionale sul Cambiamento climatico del WWF, ha aggiunto: «Se non stabiliscono un percorso per raggiungere l’obiettivo, l’impegno per stare entro i 2 gradi andrà ad unirsi alla lunga lista delle promesse non mantenute. C’è bisogno di un ambizioso impegno a medio termine per il 2020 da parte delle nazioni ricche».