Una Mole di orti
La prima tappa del viaggio tra gli orti urbani e i giardini comunitari in Italia: Torino. Coltivare la città per combattere il degrado della periferia: il caso della Falchera. E sotto la Mole tante associazioni che tentano di rendere più verde la città a colpi di rastrello
30 July, 2009
di Elisa Bianco
“La Città di Torino assegna ai cittadini maggiorenni residenti in Torino che ne facciano richiesta, in forma individuale o in gruppo di cui indicato il responsabile e il domicilio, nella misura di un appezzamento per domanda, parti di terreni comunali da destinarsi a orto.” Articolo 1 del regolamento comunale della città di Torino in merito all’assegnazione e alla gestione di orti urbani, data 23 Luglio 1986.
Da più di vent’anni esiste, nella città di Torino, uno specifico regolamento per la coltivazione di orti urbani. Tuttavia è da molto tempo prima che il fenomeno ha avuto inizio, più o meno dagli anni ’50, da quando, cioè, le città hanno iniziato a estendersi a dismisura, portando alla scomparsa del limite di separazione tra campagne e città. Orti e orticelli si sono trovati abbracciati da palazzi e strade, mentre nuove costruzioni di cemento spuntavano in mezzo a territori un tempo dominati da filari di verdure e alberi da frutto.
Torino, in effetti, è stata una delle prime città a favorire e regolare questo fenomeno, nel tentativo di porre un freno all’abusivismo diffuso. Il caso del capoluogo piemontese è molto significativo: qui, nel 1980, su una popolazione residente di 1.143.263 abitanti si stimava che la superficie ortiva fosse intorno ai 146.4 ettari. L'ampiezza del fenomeno spinse l'Amministrazione Comunale ad avviare il primo studio italiano sul fenomeno degli orti urbani, con lo scopo di riqualificare le aree marginali della città e di regolamentarne gli spazi ortivi presenti. Si effettuò un’attenta analisi del fenomeno sul campo (la prima del genere in Italia), da cui emerse che gli artefici del boom orticolo torinese erano soprattutto gli immigrati meridionali: contadini, braccianti e pastori che, costretti a trasformarsi in operai nelle grandi fabbriche, mantenevano un rapporto con la loro cultura d'origine attraverso la coltivazione di piccoli appezzamenti, ricavati lungo le rive dei fiumi cittadini, lungo le reti ferroviarie, i tracciati viari e in qualsiasi altro pezzo di terreno abbandonato.
Oltre all’aspetto culturale del legame con la terra d’origine, questi orticelli assumevano anche una valenza economica non trascurabile, fornendo a chi li coltivava una forma sostenibile di integrazione al reddito familiare.
Tuttavia, la presenza di orti in aree urbane spesso degradate rappresenta non soltanto una priorità sociale, ma anche una componente importante del presidio del territorio, uno strumento necessario per non lasciare abbandonata un’area altrimenti a rischio di attività illegali.
Ecco quindi che il pensiero va agli orticelli presenti da sempre nel quartiere Falchera, periferia Nord di Torino, facilmente visibili percorrendo l’autostrada che conduce a Milano. Da sempre oggetto di discussione all’interno della stessa comunità di quartiere: da un lato chi li coltivava, dall’altro chi li vedeva solo come elementi che contribuivano al degrado. Ora, invece, gli orti urbani della Falchera riappacificano gli animi e forniscono uno strumento per ridare valore a una zona potenzialmente critica. Grazie a un progetto nato nell’ambito di “Torino World Design Capital 2008” in collaborazione con uno studio di architettura di Roma, 2A+P, ai cittadini-agricoltori del quartiere sarà fornito un set di tubi Innocenti e nuove reti di divisione colorate, cosa che permetterà di mantenere le aree coltivate, senza dimenticare la valorizzazione estetica del territorio. All’interno dello stesso progetto, inoltre, è in programma una sorta di “censimento digitale” delle conoscenze agricole e delle coltivazioni diffuse sul territorio torinese, con lo scopo di creare una banca della memoria per i saperi tradizionali.
Un’altra faccia degli orti urbani è legata all’importanza sociale che possono assumere per quei soggetti potenzialmente a rischio emarginazione: sempre più spesso si parla ormai di orti sociali o terapeutici. Molte volte si tratta di cooperative che lavorano con soggetti disabili ad essere promotori della coltivazione, ma sta rapidamente aumentando il numero di associazioni di anziani o di case di riposo che avviano progetti di orti urbani. Lo scopo è quello di favorire l’integrazione nella società di chi per un motivo o per un altro rischia di esserne tagliato fuori.
Una sorta di evoluzione degli orti sociali ha dato vita ai cosiddetti community garden, progetti in cui gruppi di comuni cittadini creano e curano orti o giardini pubblici. Il primo luogo in Torino in cui sarà realizzato questo tipo di progetto è il cortile delle case ERPS di Corso Racconigi (Borgo San Paolo), in collaborazione con le associazioni Arcobaleno e Laboratorio Sociale. La speranza è che a questo ne facciano poi seguito altri, come dovrebbe accadere all’interno dei giardini di Via Malta.
La gestione degli orti urbani da parte di gruppi scolastici, permette di dare al progetto una notevole importanza educativa: bambini e ragazzi possono venire a contatto con una realtà rurale dimenticata, riscoprendo tecniche di coltivazione tradizionale cadute in disuso e varietà ortofrutticole quasi completamente dimenticate. Un esempio per tutti, i bambini e i genitori della Scuola Alfieri hanno deciso di intraprendere la coltivazione di un’area nella parte centrale dei giardini del tribunale, vicino Corso Vittorio.
Restando nell’ambito del mondo dell’istruzione, anche gli studenti universitari torinesi non sono da meno: negli spazi verdi delle sedi universitarie cittadine stanno nascendo numerosi orti urbani, coltivati e gestiti autonomamente dagli studenti. Gli orti urbani universitari mirano a moltissimi obiettivi: l'autoproduzione di ortaggi, la diffusione della consapevolezza del cibo a kilometri zero, l'integrazione sociale e culturale fra gli studenti e la comunità che li circonda, e, non ultimi, la possibilità di praticare un po' di attività fisica e di svago all'aperto.
Anche il Comune sta facendo la sua parte, inserendo nuovi orti urbani all’interno dei parchi cittadini, come nel caso del parco dell’Arrivore (Circoscrizione 6). Qui, nella zona che si affaccia sul torrente Stura tra strada dell’Arrivore, via Botticelli e strada Settimo, sono stati inaugurati a fine 2007 un centinaio di orti urbani, previsti dal progetto di riqualifica del parco. I nuovi orti urbani erano attesi da tempo: era il 1994 quando, per la prima volta, si avanzò l’ipotesi di realizzarli, da allora la Circoscrizione continuava a battersi per vederli nascere.
Più gli orti urbani iniziano a farsi strada nella società, più aumenta il numero di associazione nate per difendere e estendere le zone di verde urbano. È il caso dei Badili Badola, per esempio. Nati nel 2007, questo gruppo di guerrilla gardeners – anche se non amano definirsi tali – tenta di rendere più verde e bella Torino a colpi di rastrello. Piantano fiori, ortaggi e piante da frutto nelle zone degradate delle città, per ridare alla terra di tutti una nuova vita.