L'Europa smentisce il Governo sul clima
Secondo la Commissione europea, le imprese italiane che avranno emesso più CO2 di quanto consentivano le quote assegnate dovranno pagare e non potrà farlo lo Stato al posto loro. Legambiente punta il dito sulle politiche dell’esecutivo
17 September, 2009
Le imprese industriali italiane, che nel 2009 avranno emesso più CO2 di quanto gli consentivano le quote assegnate loro gratuitamente dal Piano nazionale delle emissioni (Nap), dovranno pagare un’ammenda e comprare sul mercato, entro il 30 aprile 2010, i permessi di emissione necessari a coprire il loro eccesso. E’ quanto sostiene la Commissione europea secondo cui per l’acquisto di tali quote di emissione non è consentito alcun aiuto da parte del Governo, perché equivarrebbe a un aiuto di Stato, vietato dalle norme comunitarie. Invece per i cosiddetti ‘nuovi entranti’, ossia gli impianti che hanno iniziato la produzione dopo l'approvazione del Nap, la Commissione ha riconosciuto la possibilità che fosse lo Stato ad acquistare una quota di riserva pari a 16,93 milioni di tonnellate di CO2.
Edoardo Zanchini, responsabile energia di Legambiente commentando le affermazioni della Commissione europea sostiene che “i dati dicono che il problema dello sforamento riguarda principalmente il settore termoelettrico. Sarebbe quindi il momento che il Governo iniziasse ad attuare serie politiche di riduzione della CO2, anziché continuare a dare il via libera a centrali inquinanti e rinviare provvedimenti che aiuterebbero il sistema industriale italiano a recuperare i ritardi”.
Nel 2008 lo sforamento rispetto alle quote assegnate è avvenuto in due settori: il termoelettrico e le raffinerie mentre i diversi comparti industriali (cemento, carta, acciaio e altre materie prime essenziali) sono stati sotto i limiti assegnati. L’anno scorso sono stati generati 8,9 milioni di tonnellate di CO2 in più rispetto alle quote distribuite dal governo con il Piano nazionale delle allocazioni 2008-2012. La maggior parte delle emissioni in eccesso sono da addebitarsi al termoelettrico, che ha emesso 143 MtCO2 contro i 132 allocati.
Per Legambiente è evidente che il problema che l’Italia ha rispetto ai limiti fissati dal Nap riguarda principalmente il settore termoelettrico. È qui che bisognerebbe intervenire per spingere interventi di efficienza e soprattutto premiare le tecnologie che emettono meno. Al contrario il Governo spinge sul carbone e non premia l’innovazione industriale come sta avvenendo negli altri Paesi. Per questo, sottolinea l’associazione ambientalista, è importante stabilire criteri per l’assegnazione delle quote gratuite che considerino l’efficienza in termini di emissione di CO2 degli impianti. Sarebbe assurdo e inaccettabile che queste quote venissero assegnate a una centrale a carbone come quella di Civitavecchia che, una volta entrata in funzione, da sola emetterà oltre 10 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Il carbone d’altronde continua ad essere una delle principali voci del ritardo rispetto a Kyoto. Nel 2008 le 12 centrali a carbone italiane hanno sforato di 7,5 milioni di tonnellate di CO2 le quote previste dal Piano nazionale delle allocazioni su un totale di 10,3 milioni emessi in più da tutto il settore termoelettrico.
“Tutte le obiezioni mosse da coloro che remano contro il protocollo di Kyoto in questo dibattito – ha continuato Zanchini – come quelle che l’Italia è stata penalizzata rispetto agli altri Stati membri nell’assegnazione delle quote o che le industrie italiane sono le più efficienti dal punto di vista energetico, sono state puntualmente smentite dal commissario Ue all’Ambiente, Stavros Dimas. Il nostro Paese può recuperare il ritardo accumulato in questi anni con vantaggi concreti per i cittadini e le imprese puntando con forza sul miglioramento dell’efficienza energetica, e in parallelo sullo sviluppo delle fonti rinnovabili. Insomma facendo semplicemente quel che stanno facendo gli altri Paesi Europei da cui acquistiamo i diritti di emissione”.