Coltivare la città: mangiare i cachi urbani?
Anche passeggiando in città è possibile imbattersi in una pianta di cachi. Un intervento di Elisa Bianco sull'albero che era considerato delle "sette virtù"
02 November, 2009
L’autunno è tempo di zucche, di castagne e di cachi. Il frutto dorato, più degli altri, ha una stagione talmente breve che non si fa in tempo a scorgerli sui banchi del mercato e già sono esauriti: i primi cachi maturano intorno a metà ottobre e gli ultimi difficilmente celebrano l’Immacolata. Eppure, passeggiando per parchi e giardini, capita spesso di imbattersi in piante di cachi, facilmente riconoscibili dai frutti spenzolanti dai rami spogli.
Storicamente il cachi era considerato come l'albero delle sette virtù: la lunga vita di cui è dotato, la grande ombra che fa con la sua chioma, la mancanza di nidi tra i rami, l'assenza di tarli nel legno, la possibilità di giocare con le sue foglie indurite dal gelo, la qualità delle foglie da cui si ricava un bel fuoco e infine la possibilità di usarle come concime per la terra. Se si lasciano maturare, i frutti diventano dolcissimi e le caratteristiche nutrizionali peculiari ne fanno un alimento importante per la nostra dieta.
Eppure, tanto è affascinante la pianta e la sua storia, quanto può essere fastidioso cibarsi dei suoi frutti. Non solo per quella sensazione di “bocca legata” che danno i cachi se consumati acerbi, ma anche perché Diospyros kaki (il nome scientifico della specie) appartiene a un genere che raggruppa specie molto diverse tra loro. Non tutte sono adatte a essere mangiate: solo alcune sono usate in frutticoltura per il consumo alimentare, altre invece sono impiegate nella produzione di legno pregiato (come per esempio l’ebano) e altre ancora hanno solamente funzione ornamentale. Le piante delle varie specie si assomigliano moltissimo, spesso solo occhi esperti sono in grado di distinguerle tra loro.
Ci piacerebbe poter pensare di passeggiare nei giardini e raccogliere i frutti di cachi che incontriamo lungo il cammino, ma, proprio a causa della difficoltà di distinguere una specie da un’altra, il rischio è quello di restare delusi e insoddisfatti, se non addirittura disgustati. È un po’ come coi funghi, ce ne sono tanti, sembrano gustosi e attirano l’attenzione, eppure Marcovaldo ci potrebbe insegnare che non sempre si può dar retta all’istinto.