Le città, i disastri e i modelli per i sistemi complessi
"Il rischio non esiste finché non è diventato realtà". Lo stato dell'arte dei modelli in grado di simulare il comportamento delle società e dei sistemi urbani in situazione di crisi dal workshop fiorentino appena concluso
12 September, 2008
Guiomar Parada
"Il rischio non esiste finché non è diventato realtà", è il concetto da cui è partito David Alexander, professore ed esperto di analisi, politiche e gestione dei disastri, dell'Universita' di Firenze, intervenuto al workshop sulle Catastrofi nei sistemi urbani (Extreme Events in Urban Systems) organizzato dal Centro per gli Studi delle Dinamiche Complesse di Firenze il 5 e 6 settembre 2008.
Sono le città italiane in grado di dimostrare resilience - parola chiave ma intraducibile (esprime la capacità di qualcosa o di qualcuno di essere flessibile abbastanza da tornare alla situazione precedente a una crisi) - in questo caso, di fronte a un evento catastrofico? Se per evento catastrofico s'intende, come negli studi qui presentati, eventi a frequenza bassissima, ma che hanno effetti devastanti perché la loro intensità è enormemente più grande di quella normalmente attesa, la risposta che viene spontanea è no.
Sebbene negli ultimi anni siano stati compiuti molti sforzi per coordinare le forze di soccorso, educare la popolazione e persino prevenire il loro impatto, una visione complessiva di queste dinamiche è ancora appannaggio di pochi esperti in diverse discipline. L'approccio non può che essere interdisciplinare, infatti, e al workshop sono intervenuti fisici, matematici e urbanisti. I disastri studiati in questo ambito possono essere legati a dinamiche dell'ambiente naturale, quali uragani, inondazioni, terremoti, tsunami, piogge torrenziali anomale, incendi o pandemie ed epidemie; dell'economia (crolli del sistema finanziario) o delle reti di servizio (blackout dell'elettricità, delle comunicazioni, ecc.); e ovviamente a situazioni di guerra. Gli effetti, in ogni caso, sono sempre drammatici sia per i singoli individui sia per le società. Drammatici e di enormi dimensioni: per dare una idea, a tutt'ora, settembre 2008, non è stata risolta la situazione dei 3 milioni di sfollati dalle piogge monsoniche in India, l'uragano Hanna ha devastato Haiti causando la morte di 530 persone, dopo che Gustav ha minacciato New Orleans e la zona che provvede al 26% dei rifornimenti petroliferi degli Usa e, nei giorni scorsi, nell'ultimo giorno fiscale utile, un problema al sistema informatico della Borsa di Londra ha causato un blackout di 8 ore che ha impedito a 12 milioni di privati di vendere le proprie azioni per pagare meno tasse.
Uno dei motivi delle dimensioni dei danni quando le catastrofi colpiscono le città è, secondo gli organizzatori del workshop, Stefano Ruffo, Ferdinando Semboloni e Franco Bagnoli dell'Università di Firenze, la crescita demografica e la contemporanea urbanizzazione: per la prima volta, più del 50% della popolazione mondiale è urbanizzata. Data la densità delle città, i disastri (manifestazioni della dinamica di sistemi complessi) diventano essi stessi sistemi complessi in quanto, in un contesto nel quale coesistono edifici e reti di vario tipo, tra cui quella fitta dei rapporti sociali, diventa determinante il comportamento dei singoli individui (non prevedibile), la tenuta o meno delle telecomunicazioni, del sistema stradale, ecc.
Mentre nei sistemi fisici, gli esperimenti aiutano concretamente a valutare le scelte, in quelli sociali ciò è ovviamente impossibile. Questo workshop è servito dunque a fare il punto sullo stato dell'arte dei modelli in grado di simulare il comportamento delle società e dei sistemi urbani in situazione di crisi, già disponibili per aiutare gli amministratori e le autorità a prendere decisioni su questioni legate alla prevenzione, alla gestione dell'emergenza, alla valutazione del rischio, ecc.
Ne hanno parlato, oltre ad Alexander, Matteo Marsili, ricercatore al Abdus Salam International Centre for Theoretical Physics di Trieste, Holger Kantz del Max Planck Institute di Dresda, Vito Latora del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Catania, Marcello Galeotti e Ferdinando Semboloni della Università di Firenze e Pietro Lio' del Computer Laboratory University of Cambridge.
Per i non addetti ai lavori, l'interesse di un campo così specifico va oltre la gestione dei disastri e sta nel fatto che questi modelli possono essere utilizzati - con risultati talvolta decisivi - nella gestione delle città e di questo si è parlato nelle discussioni a lato. Il campo applicativo è molto vasto: dai rifiuti al traffico, dall'inquinamento al coinvolgimento dei cittadini, dall'uso del territorio, alle scelte in materia di edificazione e sicuramente come supporto nelle decisioni amministrative e di pianificazione.
Il problema, tuttavia, sono gli scarsi finanziamenti. Questo tipo di ricerca che può apparire strettamente teorica, sta diventando sempre più necessaria per una gestione sostenibile ed efficace di sistemi urbani sempre più estesi e complessi, specialmente in situazioni di emergenza. Una spiegazione della difficoltà a reperire i fondi è che il lungo intervallo tra i disastri, che può superare la memoria di una generazione, quando non due o più, o, addirittura, non avere una memoria, come nel caso della compromissione dell'ambiente, affievolisce la percezione del rischio e la trasmissione tra gli individui dell'informazione.
È possibile prevenire ed essere preparati a disastri i cui i gravi danni non sono mai stati sperimentati? Questo è appunto lo scopo finale degli organizzatori del workshop: integrare il sapere scientifico con il sapere sociale per sostituire la prassi basata sull'esperienza che, in un mondo a lento sviluppo, era garantita da tradizioni e cultura.