Riuso dei rifiuti e agricoltura sostenibile il motore dell'Africa si chiama ecologia
Al forum internazionale Greenaccord le storie di Paesi africani che hanno cominciato a rialzarsi riciclando spazzatura, coltivando orti biologici e preservando vegetazione e animali - da La Repubblica.it del 19.10.2010
19 October, 2010
di Sara Ficocelli
La miseria in molti casi rappresenta una spinta. E i Paesi bisognosi di riscatto riescono a fare qualcosa che a noi del "primo mondo" risulta sempre più difficile: accogliere progetti di sviluppo sostenibile e realizzarli senza speculazioni. Al forum internazionale per l'ambiente Greenaccord, che dal 13 al 16 ottobre ha portato a Cuneo un centinaio di giornalisti e operatori sociali da tutto il mondo, sono state presentate le storie di queste realtà in evoluzione. Tutte figlie di una nuova concezione di progresso, che mette la salvaguardia del pianeta al centro di ogni iniziativa e utilizza la forza lavoro dei Paesi del terzo mondo. Senza sfruttarla.
Progetti come "Proteggere l'ambiente... valorizzando i rifiuti", che da anni funziona con successo in Burkina Faso, sono un esempio di questo nuovo modo di concepire i rapporti economici. In questo poverissimo Stato dell'Africa oltre il 70% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno e centinaia di migliaia di persone si riversano ogni anno verso la capitale in cerca di lavoro. Il sovrappopolamento ha generato un problema che il mondo civilizzato conosce bene: la gestione dei rifiuti e in particolare di quelli plastici. Ma se le amministrazioni del mondo ricco possono permettersi di investire in sistemi di smaltimento, lo stesso non vale per il Burkina Faso.
Interpellata dalla municipalità di Ouagadougou, l'associazione di solidarietà e cooperazione LVIA ha quindi deciso di realizzare qui il primo centro di riciclaggio dei rifiuti plastici, in partenariato con la città di Burkinabé. Grazie al supporto della Città di Torino e della Regione Piemonte e al finanziamento della Banca Mondiale (che ha premiato l'idea nell'ambito del Programma Development Marketplace), i rifiuti stanno ora diventando per il Burkina Faso una fonte di reddito. Le donne che lavorano al centro li selezionano, li puliscono, li granulano e li vendono alle imprese locali che poi li utilizzano per produrre sedie e tubi di plastica.
Il funzionamento del progetto si basa sul presupposto che è possibile lottare contro la povertà e promuovere lo sviluppo tutelando l'ambiente. I rifiuti plastici adatti alla lavorazione vengono raccolti dalla popolazione locale, che invece di gettarli in strada li vende al centro di riciclaggio. Un chilo di plastica viene pagato 30 franchi CFA (0,04 euro): inutile sottolineare come questa possibilità rappresenti una vera fonte di reddito per gli abitanti di Ouagadougou. Non solo: le 30 donne che lavorano al centro hanno uno stipendio sicuro e le condizioni di vita delle loro famiglie sono buone: con ciò che guadagnano possono pagare la scuola ai figli, comprare cibo e sostenere spese mediche.
Le operaie hanno anche avviato un piccolo sistema di mutuo-credito, che permette di effettuare piccoli investimenti a favore dell'economia familiare. "Il mio lavoro qui è costruito sulla base di un rapporto quotidiano con le persone - spiega Cristina Daniele, 29enne che ha trascorso gli ultimi tre anni in Africa con LVIA - che mi hanno insegnato a vivere la vita in modo diverso, nel rispetto degli altri, dell'ambiente e della società che ti ospita. Imparando a dare il giusto peso alle cose è più facile aver chiaro quali sono quelle che contano". A Cristina nel 2008 il FOCSIV ha conferito il Premio del Volontariato Internazionale. E dire che anche lei, come tanti, ha cominciato come volontaria per il Servizio Civile.
Il progetto sul riciclaggio dei rifiuti in Burkina Faso non è stata l'unica bella notizia presentata al forum. Terra Madre ha, ad esempio, intenzione di realizzare orti in tutte le comunità africane in cui è operativa e quest'anno ha lanciato la sfida di creare mille orti nelle scuole, nei villaggi e nelle periferie delle città africane. Saranno realizzati prima nei Paesi in cui la rete di Terra Madre è già solida (Kenya, Uganda, Costa d'Avorio, Mali, Marocco, Etiopia, Senegal e Tanzania) e poi in tutti gli altri. Gli orti verranno coltivati secondo tecniche sostenibili (compostaggio, preparati naturali per la difesa da infestanti e insetti, gestione razionale dell'acqua) e accostando alberi da frutta, verdure ed erbe medicinali. Il progetto "Mille orti in Africa" garantisce la formazione a contadini e giovani e favorisce la conoscenza dei prodotti locali e della biodiversità. Realizzare e curare un orto, per queste persone, significa avere ogni giorno a disposizione cibo sano, promuovendo un'agricoltura sostenibile e migliorando la qualità della propria vita quotidiana. Un'idea semplice che a loro permette di rinascere contando, orgogliosamente, sulle proprie forze.
A Cuneo è stato invitato a raccontare la sua esperienza anche il giornalista brasiliano di "Epoca" Haroldo Castro, che, aiutato da sponsor efficacissimi come i mondiali di calcio, nel 2009 ha intrapreso con il figlio fotografo e altri due colleghi un incredibile viaggio di 8 mesi dal nord al sud dell'Africa, alla ricerca di storie positive da raccontare. "Si parla sempre di questo continente in modo tragico - ha spiegato davanti alla platea di Greenaccord - Il mio viaggio on the road mi ha dimostrato che esiste un'altra Africa. Ecologista, attenta all'ambiente". Il suo viaggio on the road è durato 201 giorni, di cui 89 trascorsi dormendo sul tettuccio della jeep. Per controbilanciare il danno climatico provocato dal consumo di carburante, alla fine del viaggio Castro e la sua troupe hanno piantato 142 alberi sul terreno africano. "Lo sapete che in Uganda, fra quattro anni, il numero dei gorilla e degli scimpanzè sarà aumentato del 30%? - ha concluso - Il governo ugandese fa di tutto per salvaguardare la fauna e la flora locale. C'è un volto dell'Africa che nessuno conosce. E' ora che questa gente lo mostri.