Piatti di plastica: perché non vanno riciclati?
Come mai i piatti di plastica non vanno inseriti nella raccolta differenziata della plastica, ma nel rifiuto secco? La risposta è contenuta nel Decreto Legislativo n. 22/1997, il cosiddetto Decreto Ronchi
22 November, 2010
Marco Montagna
Bicchieri, piatti e posate di plastica: chissà quanti di voi si saranno domandati come mai questi rifiuti non vanno inseriti nella raccolta differenziata della plastica, bensì nel rifiuto secco. Io me lo sono domandato più volte, anche perché nei vari opuscoli della raccolta differenziata ti dicono semplicemente di metterli nel rifiuto secco senza però spiegartene il motivo. Fino a quando la scorsa settimana una lettera pubblicata nello spazio dei lettori del quotidiano La Repubblica ha sollevato il problema: si trattava della lettera di una signora bolognese la quale si chiedeva come mai il vasetto dello yogurt va inserito nella raccolta della plastica mentre posate, bicchieri e piatti di plastica (fatti dello stesso materiale del vasetto dello yogurt!!) vanno nel rifiuto secco. Lei stessa dice di essersi informata e di essere venuta a conoscenza che le ditte produttrici di bicchieri, piatti e posate di plastica non sono tenute al pagamento del contributo CONAI e pertanto il loro prodotto non va riciclato. Incuriosito (ma anche meravigliato e… schifato!) sono andato a spulciare in internet.
Si deve fare un passo indietro di un decennio: il Decreto Legislativo n° 22/1997 (il cosiddetto Decreto Ronchi) fu emanato per regolare la grande quantità di imballaggi presenti nella spazzatura (il 50% in volume ed il 30% in peso del totale) ed in particolare per stabilire i meccanismi per finanziare lo smaltimento degli imballaggi. Per far fronte alla spesa di smaltimento degli imballaggi, fu istituito un Contributo Ambientale che le varie imprese produttrici di imballaggi devono versare al CONAI (COnsorzio NAzionale Imballaggi) il quale, a sua volta, viene appunto utilizzato per lo smaltimento degli imballaggi stessi. Questo contributo è fissato in proporzione all’utilizzo degli imballaggi (ve lo esprimo in lire, come indicato nel Decreto): acciaio 30 £/kg, alluminio 100 £/kg, carta 30 £/kg, legno 5 £/kg, plastica 140 £/kg e vetro 5 £/kg (niente è dovuto per gli imballaggi tessili). Il decreto quindi riguarda ogni tipo di imballaggio, non solo di plastica, ed in particolare l’art. 35 dello stesso distingue tre tipi di imballaggi:
* quelli che contengono e proteggono le merci;
* quelli che consentono la manipolazione delle merci e la loro consegna al consumatore;
* quelli che assicurano la protezione delle merci.
Per fare un esempio, prendiamo l’acqua in bottiglia: la bottiglia in plastica rientra nel primo tipo di imballaggi, il nylon che racchiude le confezioni di bottiglie da 6 di acqua rientra nel secondo tipo di imballaggi, il bancale in legno che supporta le varie confezioni di acqua rientra nel terzo tipo di imballaggi.
Il decreto prevedeva che dal 1° ottobre 1998 gli operatori economici dovevano addebitare ai propri clienti il Contributo Ambientale, mentre entro il 31 dicembre 1998 tali operatori dovevano diventare consorziati CONAI (se obbligati per legge) senza subire sanzioni.
Ritornando alla plastica, tutto quello che oggi inseriamo nella raccolta differenziata della plastica è un “imballaggio”: le bottiglie delle bevande, i flaconi dei detersivi, gli involucri in nylon, i contenitori di generi alimentari, ecc… Si tratta di prodotti per i quali le imprese produttrici sono obbligate a versare il Contributo Ambientale e che quindi vengono riciclati. Siccome i piatti, i bicchieri e le posate di plastica non sono imballaggi (in quanto non hanno le caratteristiche previste dall’art. 35 del Decreto Ronchi), allora vanno inseriti nel rifiuto secco, anche se sono dello stesso materiale dei vasetti dello yogurt (e di altri contenitori) che vanno invece riciclati!!!
È uno dei soliti paradossi italiani: pensate giornalmente alla grande quantità di piatti, bicchieri e posate di plastica che vengono utilizzate (soprattutto nelle mense scolastiche ed aziendali) e che vanno a finire nel rifiuto secco e quindi in discarica. Viviamo in un momento storico in cui esiste la necessità urgente di riciclare tutto il possibile per evitare di utilizzare ulteriore materia prima e per dare respiro alle nostre discariche, ormai quasi piene: abbiamo questa urgente necessità, ma poi si scoprono delle nefandezze come questa. E chissà quante ce ne saranno, delle quali non siamo a conoscenza. Allora perché non riciclare anche questa plastica oggi non differenziata e farne pagare il relativo Contributo Ambientale alle ditte produttrici? Sarebbe un ulteriore passo in avanti verso quella raccolta differenziata doc che qui in Italia stenta a decollare (ma va?).