Trattamenti meccanico-biologici per i rifiuti urbani: di cosa ha bisogno la provincia di Torino?
Presentato all’Environment Park lo studio condotto da ATO-R in collaborazione con il Politecnico di Torino sull’applicabilità delle tecnologie TMB nel Ciclo Integrato dei Rifiuti Urbani della provincia. Quattro scenari possibili, che partono tutti da un punto fermo: l’inceneritore del Gerbido
01 December, 2010
L’Associazione d’Ambito Torinese per il Governo dei Rifiuti (ATO-R), ormai prossima alla chiusura, come stabilito dalla legge n. 42 del 26 marzo 2010, ha realizzato in collaborazione con il Politecnico di Torino uno studio sull’applicabilità delle tecnologie di trattamento meccanico-biologico (TMB) ai rifiuti urbani prodotti nella provincia di Torino, in relazione alle esigenze dell’attuale ciclo integrato. Obiettivo principale dello studio, offrire una valutazione sulle capacità del TMB di rispondere alle esigenze di smaltimento del rifiuto urbano residuo a valle della raccolta differenziata: operazione niente affatto semplice, come ha dimostrato l’acceso dibattito che ha fatto seguito alla presentazione.
Lo studio, realizzato dal Prof. Giuseppe Genon (Politecnico), dall’Ing. Deborah Panepinto (Politecnico), dall’Ing. Vita Tedesco (ATO-R) e dall’Ing. Palma Urso (ATO-R), partiva dall’analisi delle risorse impiantistiche attualmente disponibili sul territorio provinciale, per poi elaborare quattro scenari possibili, l’ultimo dei quali interessava il TMB. Punto fermo di ciascuna delle quattro possibilità prese in considerazione, la presenza attiva dell’inceneritore del Gerbido, attualmente in costruzione.
“Non possiamo per nessuna ragione prescindere dall’inceneritore – ha dichiarato il Prof. Genon ad Eco dalle Città - che è una soluzione tecnologica perfettamente adeguata e sicura, che non presenta controindicazioni. Le polemiche sono tutte di carattere ideologico”.
Una posizione non condivisa all’unanimità, che al termine della tavola rotonda è stata contestata anche da alcuni interventi del pubblico.
I quattro scenari prospettati dal Professore sono questi: Scenario A, costruire non uno ma due inceneritori (Gerbido + Termo Nord), con una capacità di trattamento complessiva di 540.000 tonnellate annuali di RUR (rifiuti urbani indifferenziati o residui). Scenario B, affiancare al Gerbido uno o due gassificatori (420.000 t/anno incenerite e 120.000 t gassificate). Scenario C, ampliamento dell’inceneritore del Gerbido per 540.000 t/anno incenerite, come nello scenario A. Scenario D, trattamento meccanico-biologico affiancato all’inceneritore: in questo caso verrebbero trattate 470.000 t/anno di RUR mediante TMB, con incenerimento della frazione secca e digestione anaerobica della frazione umida.
Spiegato in due parole, il TMB è un trattamento a freddo che si applica ai rifiuti indifferenziati e ai residui della raccolta differenziata, che separa la frazione secca (sovvallo) dei RUR da quella umida (sottovaglio), unendo due processi: quello meccanico, che consiste nella separazione e nel trattamento della frazione secca da cui si recuperano materiali (soprattutto metalli) e si produce combustibile (CDR) e quello biologico, in questo caso la digestione anaerobica, che recupera il contenuto energetico della frazione umida, producendo sostanzialmente compost e biogas.
Per determinare se lo scenario D possa essere applicato con buoni risultati nella provincia di Torino, lo studio prendeva in considerazione quattro parametri: l’affidabilità impiantistica, il fabbisogno di discarica, il bilancio del Carbonio (ossia le emissioni di CO2 prodotte) e la valutazione economica. In sintesi, l’analisi ha portato a questi risultati:
“Affidabilità impiantistica: la fase del trattamento meccanico non comporta particolari problemi. Per contro la digestione anaerobica risulta un’operazione processisticamente difficile tenuto conto dei volumi in gioco e della qualità del materiale alimentato.
Bilancio di materia: la domanda di discarica per scorie è inferiore rispetto a quella richiesta da sistemi che prevedono l’incenerimento diretto del quantitativo complessivo dei rifiuti, è necessaria invece un’importante volumetria per lo smaltimento del digestato e questo porta ad una necessità totale di discarica che è circa il doppio di quella richiesta dagli scenari con solo trattamento a caldo.
Bilancio del carbonio: dai calcoli effettuati non emergono vantaggi a favore dei processi di trattamento meccanico-biologico sia in termini di t CO2 emessi/kWh di energia prodotto sia in termini di t CO2 emessi/t rifiuto trattato.
Valutazione economica: lo scenario D è più oneroso rispetto al trattamento termico diretto dei rifiuti, sia in termini di costi di investimento, sia in termini di costi di esercizio”.
Insomma, a ben guardare il TMB non conviene, è la conclusione a cui perviene il Professore. Ma non tutti sono d’accordo. Michele Bertolino (Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta) ed Enzo Favoino (Scuola Agraria Parco di Monza) in particolare hanno espresso qualche perplessità di metodo e di contenuto riguardo allo studio proposto. Oltre ad una valutazione generale di contesto (L’Italia è leader mondiale del TMB e se Paesi come il Regno Unito e l’Australia stanno adottando politiche che sempre più guardano a questa tecnologia qualcosa vorrà dire), Enzo Favoino ha sottolineato l’assenza fra i parametri considerati dell’elemento tempo, che invece è fondamentale. “E’ proprio questa la ragione principale che sta guidando nel nostro Paese la scelta verso il TMB, perché richiede tempi di realizzazione più brevi ed è caratterizzato da un’alta flessibilità (NdR: il TMB può essere usato sia per la biostabilizzazione del RUR sia per la produzione di compost). Oltretutto il D.Lgs. 36/03, Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche dei rifiuti, sancisce l’obbligo di pretrattamento ed esige tempi di applicazione rapidi, un parametro che invece lo studio non ha considerato”. Un secondo appunto critico ha riguardato la valutazione economica, in cui i valori indicati per i costi di esercizio segnavano un netto svantaggio per il TMB, con uno scarto considerato da Favoino piuttosto strano se paragonato a quanto accade in altre realtà italiane. Infine la valutazione dell’impatto ambientale, considerazione fatta anche da Michele Bertolino, che nello studio ha tenuto conto esclusivamente delle emissioni di CO2, senza però considerare altri parametri non trascurabili, quali l’ecotossicologia, la tossicità umana e dell’ambiente acquatico, l’eutrofizzazione, la formazione fotochimica di ozono. A questo proposito Michele Bertolino ha fatto notare come studi precedenti realizzati dallo stesso Politecnico arrivassero a valutazioni ben diverse sulle emissioni di CO2, in quel caso decisamente favorevoli al TMB.
Al di là delle contestazioni di metodo allo studio, sempre da Legambiente è stata sollevata un’ultima domanda: ma la realizzazione di un nuovo impianto è davvero così impellente, in un territorio che ha ancora risorse impiantistiche non sfruttate a pieno regime? Non si potrebbe piuttosto impiegare queste risorse economiche per alzare ulteriormente il livello della raccolta differenziata, che, come ha mostrato il rapporto dei Comuni Ricicloni, quando è servita da un buon sistema di porta a porta restituisce risultati superiori al 65%? E ancora, perché non destinare risorse alla riduzione dei rifiuti e al recupero effettivo di materia (che ha ancora ampi margini di miglioramento), invece che puntare direttamente al recupero energetico?
Sulla questione inceneritore abbiamo chiesto un parere anche a chi sostiene lo scenario D. Ma davvero non si poteva farne a meno? Per Favoino il trattamento meccanico-biologico funziona benissimo anche senza inceneritore, non è affatto detto che debba essere finalizzato al recupero energetico”. “Certo che si poteva farne a meno – dice Bertolino - ho espresso più volte la mia posizione sulla “termovalorizzazione”: bruciare i rifiuti non è mai la soluzione migliore. Ma cerchiamo di guardare in faccia la realtà: il Gerbido sarà realizzato in ogni caso, e polemizzare ancora su questo punto non ha più senso, perché i lavori non si fermeranno. Ora possiamo scegliere se vogliamo restare ancorati all’utopia di uno scenario senza inceneritore, dopo tutti i soldi che sono già stati investiti, o guardare avanti e cercare di vigilare sull’uso che ne sarà fatto . Lo scenario migliore fra A,B,C e D? Rispondo E, quello senza la costruzione di nuovi impianti”.