Ises e Federutility, per lo sviluppo delle rinnovabili necessari adeguamento della rete e stabilità normativa
Presentati a Roma, nell'ambito di un convegno nazionale, i risultati di un'analisi condotta da Ises Italia sul mercato delle rinnovabili. Negli ultimi dieci anni, il settore ha fatto registrare una crescita significativa e costante, ma necessita di un quadro normativo più chiaro, di una revisione delle politiche incentivanti e di un adeguamento delle infrastrutture
11 December, 2010
Incertezza del quadro normativo, difficoltà nel reperire investitori e inadeguatezza della rete elettrica nazionale. Sono ben note agli addetti ai lavori le criticità per il settore delle fonti energetiche rinnovabili emerse dal convegno “Fonti rinnovabili ed efficienza energetica, le prospettive per le aziende dei servizi pubblici locali”, organizzato da Ises Italia in collaborazione con Federutility (la federazione nazionale delle aziende dei servizi pubblici). Un settore che, comunque, ha fatto registrare un importante balzo in avanti negli ultimi dieci anni, nonostante il ritardo accumulato rispetto agli altri Paesi europei. «Per quanto riguarda il fotovoltaico, ad esempio, quest'anno raggiungeremo i 110mila punti di installazione – ha spiegato Roberto Meloni di Ises Italia – e il trend attuale prevede che si raggiungano 30 Gigawatt di picco complessivi nel 2020». Questi dati sono stati raccolti dall'associazione in un “Vademecum delle fonti rinnovabili” (vedi allegato), che segnala anche le principali difficoltà del settore, oltre a suggerire misure utili per favorirne ulteriormente lo sviluppo. «Il problema principale rimane quello delle infrastrutture – ha aggiunto Meloni – La rete elettrica è inadeguata, tanto da costringere il Gse (il Gestore dei servizi energetici, ndr) a staccare di tanto in tanto alcuni impianti dalla rete». Un problema, questo del cosiddetto “dispacciamento” degli impianti, che finisce con lo scoraggiare gli investitori, anche se il Gse calcola e incentiva anche l'elettricità prodotta ma non immessa in rete. Difficoltà che, in ogni caso, non hanno impedito alle rinnovabili di svilupparsi notevolmente negli ultimi anni, anche grazie a tariffe incentivanti più generose che in tutti gli altri paesi d'Europa, come ha chiarito Gerardo Montanino, dirigente del Gestore dei servizi energetici. «Incentivi che, se rimanessero costanti – ha aggiunto lo stesso Montanino – nel 2020 arriverebbero a costare complessivamente 9 miliardi di euro per i consumatori», mentre dovrebbero arrivare a “soli” 7 miliardi con il calo degli incentivi previsto dalla bozza di decreto approvata dal consiglio dei ministri nei giorni scorsi.
«L'altro problema principale – ha dichiarato Paolo Tabarelli De Fatis, consigliere di Ises Italia – è la mancanza di riferimenti normativi certi, che scoraggia chi potrebbe investire nelle rinnovabili». Secondo lui, è proprio a causa dei continui cambiamenti nel quadro normativo di riferimento che da circa sei mesi non vengono più avviati dei project financing nel settore delle fonti di energia “green”. «Oltre ai rischi di carattere fisico e idrogeologico, infatti – ha aggiunto Tabarelli – gli investimenti nel nostro Paese sono gravati da un rischio di carattere autorizzativo e fiscale, e quindi meno appetibili». E andrebbe proprio nella direzione della maggiore certezza normativa, la bozza di decreto sulle rinnovabili licenziata nelle scorse settimane dal Consiglio dei ministri. «La razionalizzazione dei costi sostenuti per incentivare le rinnovabili punta proprio a questo obiettivo – ha dichiarato Luciano Barra, capo della segreteria tecnica della direzione generale Energia del Ministero dello Sviluppo Economico – a partire dal superamento del sistema dei certificati versi, che non è più economicamente sostenibile, e dalla sua sostituzione con le tariffe incentivate, che vanno proprio nella direzione della maggiore stabilità».
Il funzionario ha inoltre difeso la decisione di Palazzo Chigi di porre delle limitazioni agli impianti fotovoltaici a terra in aree agricole: «Si tratta di una tecnologia ancora molto costosa – ha chiarito – e in quanto tale risulta più vantaggioso sostenerla laddove il suo valore è più elevato, come negli impianti integrati negli edifici». Secondo Barra, solo quando i costi saranno calati avrà senso investire in grandi impianti fotovoltaici a terra, ma comunque in aree marginali e non destinate all'agricoltura, «dove i pannelli rischierebbero di alterare il paesaggio a cui in Italia siamo abituati da secoli».