Green New Deal
La sfida dell´ambiente che Barack non può perdere. Un grande scrittore ci racconta cosa lo aspetta. E cosa rischia - da La Repubblica del 18.11.2008
18 November, 2008
Ian Mcewan
«E allora io confuto questo!», fu la celebre e gagliarda replica pronunciata da Samuel Johnson un mattino del 1763, dopo la funzione. Mentre parlava, secondo quello che ci racconta il suo amico James Boswell, prendeva a calci «con grande forza» una grossa pietra «fino a essere respinto da essa». Il buon Johnson stava contestando l´idealismo filosofico del vescovo Berkeley, la visione secondo la quale il mondo esterno, fisico, non esiste ed è il prodotto della mente. Non era un granché come prova a discapito, ma possiamo simpatizzare con il suo solido buon senso e con l´ostentazione fisica di pragmatismo anglosassone, se non proprio anglicano.
Ma forse abbiamo dimostrato che Berkeley, almeno in parte, era nel giusto: in un´epoca di media elettronici, dove voci, opinioni e fatti sono strettamente intersecati e dove i politici devono cantare per contendersi il nostro amore, gli affari pubblici hanno natura di sogni ad occhi aperti, un solipsismo collettivo il cui esatto legame con il mondo delle pietre da prendere a calci non è molto chiaro, anche se siamo certi che esiste.
La sfida per la Casa Bianca, come tutte le elezioni, aveva il pregio intrinseco di una gara di squash, di una partita di scacchi, di un romanzo postmoderno (e molto migliore questo della maggior parte di essi). Se da un lato sembravano rivolgersi a una realtà esterna, dall´altro i candidati erano vincolati da esigenze rigorosamente eteree: ammaliare grandi masse di persone apparendo ordinari, schiacciare l´avversario apparendo affabili, essere ispirati ma sensati, evitare di offendere vari gruppi di elettori sensibili e, il buon vecchio trucco del prestidigitatore, promettere all´elettorato regalie varie senza indebitarsi ulteriormente e senza alzare le tasse.
E vincere. Ora che il presidente eletto Barack Obama si presenta sulla scena, specchi e macchine fumogene vengono rimpacchettati (o forse non possiamo mai, o non dovremmo mai, rinunciarvi). In quella roccaforte democratica che è Lower Manhattan, elettori orgogliosi della loro razionalità politica raccontavano di essersi commossi fino alle lacrime perfino mentre stavano votando.
Molti, nella massa di persone prevalentemente bianche e con alto livello di istruzione con cui ho passato la serata, singhiozzavano senza ritegno mentre guardavano Obama in televisione pronunciare il suo acceptance speech. Erano sopraffatti dalla forza simbolica di un semplice fatto, che un afroamericano sarebbe stato il loro prossimo presidente. E anche quando ribadivano di sapere benissimo che un uomo da solo non avrebbe potuto correggere i mali del loro paese o del mondo, nei loro cuori contavano che lui facesse proprio questo. La gente parlava sommessamente anche della paura più profonda, che questo prezioso risultato potesse venir strappato via da qualche atto di violenza, da un´apparizione proveniente dai recessi più oscuri dell´inconscio della nazione. Eravamo ancora in un mondo di sogni, di ombre sui muri.
Nel frattempo, il presidente uscente si è messo d´impegno a tirar leve nel mondo reale, facilitando le centrali elettriche a carbone, aprendo regioni selvagge di proprietà del governo federale alle trivellazioni per cercare giacimenti di petrolio e di gas e incoraggiando lo sfruttamento commerciale del petrolio delle sabbie bituminose. Tutte cose che il presidente eletto Obama dovrà revocare. Per chi è convinto che i cambiamenti climatici siano il nostro problema più pressante, quello che alla base di tutti gli altri, quello che richiede livelli di cooperazione e razionalità di cui forse non siamo nemmeno capaci, l´elevazione di quest´uomo bello e slanciato diventa l´oggetto di aspettative irreali. Inevitabilmente, dopo una lunga campagna di seduzione delle masse, l´interrogativo aleggia nell´aria: è semplicemente l´esperto cesellatore di discorsi commoventi o ha la forza di trasformare le intenzioni in risultati? Come minimo, il paese finalmente ha un presidente che, a prescindere dalla sua professione di fede, tiene la scienza in alta considerazione (si guardi alle sue solide opinioni sul disegno intelligente, espresse sul numero della rivista Nature del 25 settembre) e si è circondato di consulenti scientifici di impeccabile qualità, impegnandosi a conseguire l´irreale obbiettivo di una riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2) entro il 2050 dell´80 per cento rispetto ai livelli del 1990.
La questione dei cambiamenti climatici è essa stessa un´altra realtà quasi virtuale. Dal 1979, quando il gruppo di studio emissioni guidato da James Hansen fece rapporto al presidente Jimmy Carter, ci sono stati simposi, smentite, vertici, documentari, manifestazioni, leggi, meccanismi di scambio delle emissioni e soprattutto discorsi altisonanti dalle grandi ambizioni (in Europa eccelliamo in questi ultimi).
Ma sulla pietra fin troppo da prendere a calci che chiamiamo Terra, dove i risultati di migliaia di sofisticati termometri situati negli oceani e sulle terre emerse vengono incrociati con i dati del satellite, la temperatura media continua a salire. Nel 2007, l´assottigliamento del ghiaccio dell´Artico in estate ha superato le previsioni più pessimistiche. I dati dello scorso anno, che pure è stato un anno di rallentamento economico, mostrano un´anidride carbonica che cresce a ritmi mai visti prima. Dubito che esista ancora un solo singolo caso di centrale elettrica inquinante mandata in pensione per fare posto a un´installazione che produce energia pulita. In questi ultimi 30 anni abbiamo affrontato il problema, se lo abbiamo fatto, solo nella nostra testa. Certo, ci sono i primi segnali di una nuova infrastruttura - lungo certi tratti della costa danese, sui tetti delle case tedesche e giapponesi, in certi deserti - ma l´effetto fino a questo momento è irrisorio. Stiamo ancora sognando, stiamo ancora mormorando nel sonno mentre cerchiamo a tastoni le leve che collegano i pensieri alle azioni.
A livello interno, Obama avrà una serie di fattori dalla sua, oltre alle comode maggioranze di cui dispone nelle due Camere. Quantomeno c´è accordo sull´esistenza di un problema: negli ultimi anni la scienza non ha lasciato spazio a dubbi, i dati riguardano diversi campi dello scibile, i cambiamenti climatici prodotti dall´uomo sono un fatto. Non fare niente è semplicemente troppo costoso. Una larga fetta del Partito repubblicano questo lo accetta, e lo accettano anche le grandi aziende, perfino le compagnie petrolifere. I negazionisti stanno alzando le tende. E che cosa c´era da negare? Una molecola di CO2 assorbe le radiazioni luminose con maggiore lunghezza d´onda, intrappolando il calore che viene irradiato dalla Terra. Più CO2, più calore intrappolato. Se le temperature supereranno di molto i due gradi in più rispetto ai livelli preindustriali, le conseguenze umane ed economiche potrebbero essere catastrofiche. Abbiamo già visto che cosa succede quando un Oceano Atlantico più caldo presta la sua energia alla stagione degli uragani.
La faccenda dunque sta passando da questione di virtù, idealismo e tetri inviti all´abnegazione, tutte cose di cui governi, mercati ed elettori diffidano, a una questione di interesse egoistico e necessità, argomenti per cui tutti nutriamo rispetto. La produzione di petrolio presto entrerà in declino e bisognerà comunque trovare delle alternative; molti paesi produttori di petrolio sono orrendi costrutti umani da cui nessuno vuole dipendere; se gli Stati Uniti non investiranno subito nelle energie rinnovabili, più avanti saranno costretti a comprarle dai loro concorrenti; la Germania ha creato duecentocinquantamila posti di lavoro con le energie rinnovabili; comincia a essere evidente che si possono fare un mucchio di soldi riattrezzandosi e garantendo nuove fonti energetiche a un´intera civiltà.
Le tecnologie si stanno sviluppando rapidamente, ma le idee di fondo hanno un fascino elementare. Si pensi soltanto all´energia solare. Un alieno che atterrasse sul nostro pianeta e notasse quanto esso sia inondato dalla luce solare si sorprenderebbe di apprendere che siamo convinti di avere un problema energetico, che ci possa essere venuto in mente di surriscaldarci o avvelenarci bruciando combustibili fossili o generando plutonio. La luce solare cade su di noi costantemente, una dolce pioggia di fotoni in numero sconfinato. In media, 1.366 watt per ogni metro quadro della superficie terrestre. Un singolo fotone che colpisce un semiconduttore rilascia un elettrone, e così nasce l´elettricità, direttamente dai raggi solari. Questa è la fotovoltaica descritta da Einstein e che gli fece vincere il premio Nobel. Se credete in Dio, potreste dire che l´energia gratuita è stato il Suo più grande regalo. Che la luce sia! Altrimenti potreste dire che le leggi della fisica sono estremamente propizie. Come viene spesso sottolineato, basterebbe meno di un´ora di tutta la luce solare che colpisce la Terra per soddisfare le esigenze energetiche del mondo intero per un anno. Una frazione dei nostri deserti infuocati potrebbe alimentare la nostra civiltà.
Milioni di ettari dei deserti del Sudovest degli Stati Uniti sono già stati individuati come siti idonei. Le installazioni cominciano a venir fuori, in alcuni casi finanziate da società europee che approfittano degli sgravi fiscali statali. Nei laboratori pubblici e privati si inventano tecnologie nuove. Come fa una centrale solare o eolica a generare energia di notte? Daniel Nocera dell´Mit ha imitato la fotosintesi per scomporre efficientemente l´acqua in idrogeno e ossigeno; durante la notte questi gas vengono ricombinati in una cella di combustibile per azionare una turbina. In altri laboratori si cerca di ottenere la gallina dalle uova d´oro dell´industria, una batteria più economica, più leggera e più potente da usare nelle automobili elettriche; si usa la nanotecnologia per ricavare due elettroni da un fotone; pannelli solari in pellicola sottile sono già in produzione; altri laboratori stanno lavorando a vernici solari. I filoni di ricerca si moltiplicano a migliaia. Quella geniale generazione californiana che ha fatto fortuna perfezionando la Rete sta vivendo una seconda giovinezza con l´energia pulita. L´intero settore è come una molla compressa, che aspetta di scatenare tutta la sua forza sull´economia.
In altre parole, Obama assume il potere in un momento in cui le energie rinnovabili hanno smesso di essere un´attività marginale. L´ora avrà anche chiamato a raccolta l´uomo, ma si dà il caso che questa sia un´ora particolarmente difficile. Per dirla berkeleyanamente, siamo entrati in recessione perché abbiamo sempre pensato che ci saremmo entrati. La testa immaginaria del serpente ha cominciato a divorare la sua coda reale, una circolarità che il grande favolista argentino, Borges, avrebbe apprezzato. Abbiamo sognato questa recessione, l´abbiamo vista arrivare e l´abbiamo realizzata. Nel frattempo, nella johnsoniana economia «reale», fabbriche, sistemi di distribuzione, inventiva umana, voglia di lavorare, necessità di beni e servizi sono più o meno al punto in cui si trovavano l´anno scorso, tranne per il fatto, man mano che la certezza della recessione si rafforza, che abbiamo più paura e spendiamo di meno, le grandi aziende cominciano a licenziare, ed ecco dunque, ormai blindata, la nostra recessione.
Al di là di questo, i problemi sono risolvibili, ma sono anche formidabili. Le centrali solari ed eoliche spesso sono lontane dalle città: serve una nuova rete di corrente continua; i costi saranno enormi e i benefici non immediatamente evidenti per molti consumatori; e il governo è mostruosamente indebitato. Il carbone rimane una fonte energetica cruciale, ma il carbone «pulito» è ancora una fantasia e incanalare la CO2 verso siti geologicamente appropriati e pomparla sottoterra è costoso. Gli interessi petroliferi non saranno contenti di perdere la supremazia e i loro antichi privilegi, o di prendere in considerazione l´introduzione di un meccanismo per lo scambio di quote di emissioni nel corso di una recessione. Automobili elettriche di qualità accettabile sono ancora molto lontane. E oltre ai problemi amministrativi e tecnologici ci sono i consueti ostacoli. Non sono solo gli «avvenimenti», come lamentava l´ex premier britannico Harold Macmillan, a far deragliare il treno di un politico accorto. Ci sono gli errori, i nemici, il processo politico, le maldestre o ambiziose trame dei collaboratori, l´esaurirsi della novità di un volto nuovo alla presidenza. E soprattutto, gli eccessi di cautela.
I climatologi sono sempre più concordi sul fatto che ci rimangono meno di otto anni per cominciare a incidere veramente sulle emissioni di CO2 e di altri gas serra, otto anni per passare dal solipsismo berkeleyano al pragmatismo johnsoniano. Man mano che si raggiungono i punti di svolta, man mano che le retroazioni continue si rafforzano, la curva delle emissioni crescerà troppo velocemente per poter sperare di contenerla. Usando le parole di John Schellnhuber, uno dei maggiori climatologi europei e consulente scientifico capo della cancelliera tedesca Angela Merkel, «serve una rivoluzione industriale per la sostenibilità, a partire da adesso».
Se si vuole che sia efficace, questo è possibile solo a livello di cooperazione internazionale, qualcosa di molto più difficile da conseguire di qualunque importante progresso tecnologico. Il prossimo anno c´è un appuntamento a Copenaghen, a fine novembre, a cui l´intero mondo della climatologia si sta preparando e che molti nel settore considerano la nostra migliore, e forse la nostra ultima speranza, di affrontare il problema prima che ci sfugga di mano. Questa conferenza è il vero successore globale di Kyoto ed è nota nel settore con la sigla Cop 15 (dove Cop sta per Conference of Parties). Si può affermare che sarà uno degli incontri internazionali più importanti mai convocati. Se non produrrà misure pratiche, radicali, la lotta per il controllo del nostro futuro potrebbe già essere perduta. Tutte le nazioni del pianeta saranno rappresentate. La sensazione generale è che non si può lasciare che la conferenza fallisca. E la conferenza non potrà avere successo senza la leadership degli Stati Uniti. C´è chi teme che Obama, per ragioni politiche, si muova con troppa cautela sul problema dei cambiamenti climatici, e questo sarebbe un tragico errore. Come dice Schellnhuber «se lui fosse pronto a venire di persona a Copenaghen e pronunciare un discorso, un impegno forte, come fece Reagan a Reykjavik, diventerebbe una volta per tutte l´eroe del pianeta».
E dunque in aiuto del nostro mondo reale e surriscaldato potrebbero dover accorrere i meccanismi dell´irreale, il fumo e gli specchi. Il processo che ci fa credere che stiamo affrontando i cambiamenti climatici quando non stiamo facendo assolutamente nulla, o che ci fa entrare in recessione solo pensandolo, queste emanazioni di sogni collettivi e collusivi possono avere il loro aspetto positivo. Barack Obama potrebbe riuscire a spingere le nazioni verso un futuro a basse emissioni semplicemente perché la gente crede che sia in grado di farlo. Gli scienziati, che hanno lo scetticismo come ferro del mestiere, e i diplomatici esausti di conferenze, insieme a milioni di persone in tutto il mondo, gli stanno attribuendo poteri quasi ultraterreni. Lo hanno caricato di più simbolismo - rinnovamento, razionalità - di quanto la sua esile corporatura sia in grado di reggere. Ma essendo riuscito a persuadere tutti gli altri, tanto più forse riuscirà a persuadere se stesso. A dargli forza sarà quest´aura, arcana come la fortuna, permanente come la neve a primavera. Deve muoversi con risolutezza.
Durante la campagna c´è chi ha detto che Barack Obama pronuncia bei discorsi sprovvisti d´intenti. Che sorprenda i suoi detrattori avviando preparativi concreti e dettagliati per Copenaghen, che li confuti tutti quanti!
Copyright 2008
di Ian McEwan. Pubblicato in accordo con l´Agenzia Letteraria Roberto Santachiara.
Traduzione di Fabio Galimberti