Fotovoltaico, appello degli operatori al governo: no all'introduzione di un “tetto” annuale per gli incentivi
Si è svolto a Roma il convegno “Governare la crescita del fotovoltaico”, organizzato dal Kyoto Club con il sostegno di First Solar. Gli operatori del settore chiedono al governo di rinunciare all'introduzione di un “cap” annuale della potenza incentivabile, per scongiurare un blocco del mercato simile a quello che si è verificato in Spagna. La ricetta proposta è simile al modello tedesco: una graduale riduzione degli incentivi, proporzionale all'andamento del mercato
10 March, 2011
Un no unanime, da parte degli operatori del settore, all'introduzione di tetti massimi annuali alla potenza fotovoltaica incentivabile. È il dato principale emerso dal workshop “Governare la crescita del fotovoltaico”, organizzato a Roma dal Kyoto Club, al quale hanno partecipato rappresentanti di aziende e associazioni del mondo delle rinnovabili. Il nervo scoperto, dunque, è quello della possibile introduzione di un limite ai megawatt di nuovo fotovoltaico ammessi ogni anno a godere degli incentivi statali. La misura potrebbe essere inserita nel provvedimento che nelle prossime settimane darà attuazione al decreto Romani sulle rinnovabili, approvato dal Consiglio dei ministri il 3 marzo scorso. Una misura che non piace per niente agli operatori. «L'introduzione di un "cap" avrebbe un effetto molto deleterio sul mercato delle rinnovabili – ha commentato Alessandro Coppola di First Solar – perché determinerebbe una sorta di “corsa all'impianto” che finirebbe col fare aumentare ulteriormente i costi per le installazioni». In altri termini, la “bolla” del fotovoltaico rischierebbe di gonfiarsi ancora di più, con un aumento del rischio di fenomeni speculativi. Ma questo potrebbe non essere l'unico problema. «Davanti a un tetto limite, gli operatori chiederebbero deroghe e periodi di transizione – ha aggiunto Coppola – e potremmo trovarci davanti a un nuovo “decreto Salva Alcoa” (il provvedimento che ha esteso i benefici del secondo Conto energia anche agli impianti che saranno allacciati alla rete entro il 30 giugno prossimo, purché la relativa comunicazione di fine lavori sia giunta al Gse entro la fine del 2010, ndr), con conseguenze devastanti per il mercato». Ovvero la corsa disperata all'incentivo, il surriscaldamento del mercato e, ancora, l'aumento dei casi di speculazione.
Tutti i rischi di un “cap” annuale
No ai tetti annuali, dunque. Un parere condiviso anche da Davide Tabarelli, che non è un operatore delle rinnovabili, ma un analista economico della Nomisma energia. «Non ha senso introdurre tetti e limitazioni a un settore dell'economia in forte espansione», ha dichiarato nel suo intervento al convegno del Kyoto Club. Tabarelli è scettico anche sull'adeguatezza dell'obiettivo che l'Italia si è data in materia di sviluppo dell'energia solare. «Gli 8 Gigawatt di potenza fotovoltaica che il nostro Paese aveva scelto come target per il 2020 (l'obiettivo, in realtà, potrebbe essere raggiunto già nei prossimi mesi, ndr) rappresentano una soglia fin troppo cautelativa, soprattutto se confrontati con i 52 Gw della Germania». Secondo l'analista, accontentarsi di un risultato del genere impedirebbe all'Italia di rispettare l'impegno assunto in sede comunitaria: soddisfare, entro il 2020, il 17% del consumo nazionale di elettricità con energia da fonti rinnovabili.
Lo spauracchio spagnolo
Il rischio, secondo gli operatori interventi al workshop romano, è di finire come la Spagna, dove a un boom incontrollato di un mercato “drogato” da incentivi troppo generosi è seguito, a partire dal 2009, un vero e proprio blocco del settore delle rinnovabili. «La bolla si è creata perché il governo, come accade spesso, ha reagito troppo lentamente rispetto al mercato – ha spiegato David Perez, della società spagnola di consulenza Eclareon – e gli incentivi troppo alti hanno causato una impennata nei costi a carico dei contribuenti». Determinando, tra l'altro, un malcontento nell'opinione pubblica («Fomentato anche dalla lobby del gas naturale e dai media») che non sarà facile da cancellare. L'altro rischio determinato dall'eccesso di sussidi pubblici è quello della “deprofessionalizzazione” del settore. «Quando gli investimenti sono così vantaggiosi – ha aggiunto Perez – si buttano sul mercato anche soggetti non qualificati, che cercano di competere abbassando i costi e utilizzando componenti di scarsa qualità». In Spagna, dunque, tariffe incentivanti troppo generose (44 centesimi al kwh) hanno finito col drogare il mercato, facendo crescere il settore del fotovoltaico – e il costo pubblico degli incentivi – a ritmi non sostenibili, tanto che il governo, nel 2009, è dovuto correre ai ripari. «Le tariffe sono state abbassate con effetto retroattivo – ha spiegato l'esperto – e sono stati introdotti dei tetti alla potenza incentivabile». L'effetto sul mercato è stato quello di un vero e proprio blocco, tanto che il giro d'affari del fotovoltaico spagnolo è passato dai 18 miliardi di euro del 2008 ad appena 650 milioni nell'anno successivo, con la perdita di un terzo dei posti di lavoro del settore. Una vera e propria ecatombe, simile, secondo molti operatori, allo scenario che potrebbe aprirsi in Italia dopo l'approvazione del decreto Romani.
Il modello tedesco
La ricetta per evitare un blocco analogo a quello che ha afflitto il mercato iberico, però, esiste. Prevede un taglio sostanziale degli incentivi (almeno del 20-30%) da programmare sul medio e lungo periodo, sul modello di quanto accade in Germania. «Il sistema tedesco – ha spiegato Alex Sorokin, di Interenergy – funziona col meccanismo della feed-in-tariff: lo stato riconosce al produttore di energia fotovoltaica un certo incentivo, ma a questo non si aggiunge anche il prezzo di mercato dell'elettricità, come avviene in Italia (secondo il cosiddetto sistema del feed-in-premium, ndr). In questo modo, il costo complessivo per la collettività si riduce, e il rischio di “bolle” e specluazioni è inferiore». Questa, però, non è l'unica differenza rispetto al modello di casa nostra. «Le tariffe incentivanti tedesche – ha aggiunto Sorokin – si abbassano gradualmente in proporzione alla crescita del mercato e al calo dei prezzi degli impianti». Gli imprenditori scelgono se incassare gli incentivi oppure vendere l'energia al prezzo di mercato, quando questo si rivela più conveniente. La legge che regola il sistema feed-in-tariff tedesco, inoltre, viene revisionata ad intervalli regolari di quattro anni, garantendo in questo modo una certa stabilità al meccanismo e rassicurando gli operatori sulle possibilità di rientro degli investimenti. «D'altro canto, il sistema è molto flessibile – ha precisato l'esperto – tanto che l'anno scorso il legislatore ha applicato una riduzione “una tantum” delle tariffe, nonostante l'ultima revisione della legge fosse del 2008». Riduzione, per inciso, concordata con le imprese del settore.
Appello al governo
La speranza degli operatori, dunque, è che il governo riveda la strategia avviata con l'approvazione del decreto Romani e che, soprattutto, rinunci all'introduzione di un tetto annuale di potenza fotovoltaica incentivabile. Le imprese preferirebbero piuttosto dei “corridoi” temporali alla tedesca, con un progressivo calo delle tariffe fino al raggiungimento della grid parity, ovvero l'equivalenza di costi tra energia da fonti rinnovabili e tradizionali. La necessità di non fermare la crescita del fotovoltaico e delle altre fonti “verdi” è stata sottolineata anche da Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club. «Nel nostro Paese – ha dichiarato – si è ormai creato un tessuto di centinaia di imprese con ricadute occupazionali interessanti proprio in un momento di crisi». I rappresentanti delle maggiori imprese nazionali del settore incontreranno il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani nei prossimi giorni, per discutere del futuro degli incentivi statali alle rinnovabili.