Rinnovabili, da Roma le imprese lanciano l'allarme: «Strangolate dal decreto Romani»
Se la legge non sarà corretta, produrrà il ricorso immediato alla cassa integrazione straordinaria per oltre 10.000 persone direttamente impiegate nel settore e il blocco degli investimenti per oltre 40 miliardi di euro
10 March, 2011
Al teatro Quirino l’atmosfera è caldissima, i toni allarmati. Gli operatori del settore rinnovabili, i lavoratori, le associazioni ambientaliste e quelle di categoria si sono riunite a Roma per parlare delle conseguenze tragiche che il decreto legislativo Romani avrà sul comparto. L’incontro Sos rinnovabili, a cui hanno partecipato anche Legambiente, Wwf, Greenpeace e Ambiente e/è vita, è stato promosso dalle associazioni di categoria Anev, Assosolare, Asso energie future, Aper, Gifi e Ises Italia. Un migliaio le persone erano presenti all’interno del teatro, altre 300 o 400 fuori, arrivate a Roma da ogni parte d’Italia, con dentro la rabbia per un tiro mancino che nessuno, in un momento di forte crescita delle energie pulite, si aspettava dal governo.
Il boom del settore negli ultimi anni
Il settore delle rinnovabili ha prodotto nel 2010 20 miliardi di kilowattora, arrivando a produrre il 24% dell’energia sul totale dei consumi energetici (4% in più rispetto al 2009). Gli occupati, spiega il presidente di Ises (International Solar Energy Society) Giovan Battista Zorzoli, sono 150.000, che raddoppiano contando anche l’indotto, e 800 sono le sole aziende attive nel fotovoltaico. Un patrimonio di «innovazione tecnologica che non può essere ammazzato da un decreto». Per quanto riguarda in particolare il fotovoltaico, gli investimenti nel 2010 sono stati di 10 miliardi, mentre il costo degli incentivi è pari a 2,26 miliardi all’anno: nel 2011, spiegano le associazioni di categoria, lo sviluppo del fotovoltaico costerà 1,70 euro al mese a famiglia.
Un decreto rischia-tutto
Il dlgs Romani mette dunque a rischio l’intero settore. Sempre secondo Zorzoli, «sono in pericolo 300.000 posti di lavoro, pari a un’altra Fiat». Inoltre, spiegano le associazioni di categoria, «se il decreto non verrà corretto, produrrà il ricorso immediato alla cassa integrazione straordinaria per oltre 10.000 persone direttamente impiegate nel settore delle rinnovabili e il blocco degli investimenti per oltre 40 miliardi di euro programmati per i prossimi mesi». Sono molte le aziende che hanno dovuto bloccare gli investimenti, perdendo cifre importanti. «A causa del decreto, il nostro gruppo ha dovuto annullare investimenti per 40 milioni di euro», spiega Massimo Cavaliere, manager di 9Ren, un’azienda che sviluppa e realizza progetti per impianti fotovoltaici, eolici e solari termici. E non è andata meglio alla Solsonica, un’azienda reatina che produce celle e moduli fotovoltaici: «Abbiamo perduto 35 milioni di euro per questo decreto», spiega il direttore del Marketing Paolo Gianese. Le centinaia di lavoratori presenti in platea sono preoccupati. Qualcuno ha portato anche i figli, altri stendono uno striscione con scritto: «Vogliamo il sole, non chiediamo la luna».
Servono certezze
Tutti gli oratori lo ripetono come un mantra: «Abbiamo bisogno di certezze, di un orizzonte temporale più ampio, di incentivi che ci aiutino a consolidare le nostre aziende». «Quello che ci serve è stabilità e certezza del diritto. Attualmente, il tempo che intercorre tra l’idea e la messa in funzione dell’impianto è di 18-24 mesi e noi dobbiamo avere la sicurezza che le leggi non cambino in questo periodo di tempo», sottolinea Luca Concone, direttore del Solar Investment Group. Lo scenario attuale è fatto di incertezza sul futuro e anche sul passato: la norma è infatti retroattiva, e dunque «non va a bloccare non solo i progetti futuri, ma anche quelli già avviati e finanziati, mettendo a rischio fallimento aziende fino a ieri stabili e in crescita», spiega Aper (Associazione produttori energia fonti rinnovabili). Prospettive che, racconta Carlo Montella dello studio legale Orrick, «stanno facendo scappare tutti gli investitori stranieri dall’Italia. statunitensi e cinesi non capiscono che cosa sta succedendo».
I prossimi passi
«Questo – ci tengono a chiarire gli organizzatori – è solo il primo passo per far cambiare il decreto. La prossima settimana avremo un incontro con il ministro Romani. L’importante è stare uniti e fare sistema». L’appello all’unità riecheggia di continuo nelle parole di tutti. Molti però in platea pensano che «bisognerebbe andare in piazza. Le associazioni di categoria dovevano muoversi prima, fare da subito sistema e protestare». L'appuntamento con il ministro è per il 15 marzo, anche se, a dire il vero, nessuna delle associazioni presenti al teatro Quirino per ora è stata invitata.
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