Rinnovabili, protestano anche le imprese del Nord-Ovest. In Piemonte, tre quarti delle aziende a rischio chiusura
Gli imprenditori del settore si sono riuniti a Torino e a Genova per fare il punto della situazione e chiedere ancora una volta un ripensamento sul decreto “ammazza rinnovabili”. Solo in Piemonte, sono oltre 150 le aziende a rischio chiusura, e molti lavoratori sono già in cassa integrazione. Gli operatori contestano anche l'atteggiamento dei grandi media, giudicati responsabili di una vera e propria «campagna di disinformazione»
24 March, 2011
È con la forza della disperazione che gli imprenditori delle rinnovabili continuano la loro protesta nei confronti del decreto Romani, con il quale il Governo ha di fatto sospeso gli incentivi alle fonti energetiche “pulite”, determinando un blocco pressoché totale nel mercato di settore. La mobilitazione, partita nella capitale all'indomani dell'approvazione del provvedimento, è divampata rapidamente sul web e si è diffusa a macchia d'olio in tutte le regioni. A Torino, qualche giorno fa, gli operatori si sono dati appuntamento al Golden Palace per condividere la loro preoccupazione e confrontarsi sulle strategie da seguire. «Eravamo oltre 200, tra cui circa 150 imprenditori, la maggior parte dei quali ha già dovuto mettere in cassa integrazione i propri dipendenti – racconta Ferruccio Bellati, titolare della Fm Energia e coordinatore per il Piemonte del network “Sos Rinnovabili” – Io stesso ho dovuto bloccare l'assunzione di due ingegneri, nonostante avessi già avviato le pratiche necessarie». Fare delle stime sul ricorso alla cassa integrazione non è semplice, ma Bellati non esclude che almeno 200 o 300 lavoratori piemontesi possano già essere finiti nell'imbuto degli ammortizzatori sociali. «Il passo successivo, per molte imprese, è addirittura la chiusura – ammonisce l'imprenditore – uno spettro che per qualcuno potrebbe materializzarsi anche entro pochi giorni». Un rischio che solo in Piemonte riguarda circa 2mila occupati.
La causa, lamentano gli operatori, è quella ben nota: l'incertezza sul destino delle misure incentivanti e il rischio che i sussidi vengano definitivamente cancellati. «Il decreto Romani va azzerato e completamente rivisto perché non si può disconoscere all'improvviso il programma triennale che era stato varato lo scorso agosto (quando è stato approvato il terzo Conto energia, ndr) – continua Bellati – In questo modo, sono a rischio tutti gli investimenti fatti da imprenditori e banche d'affari, per non parlare dei cittadini che hanno contratto dei debiti per realizzare gli impianti». Gli imprenditori, che nei giorni scorsi si sono riuniti anche a Genova per discutere della situazione, riconoscono che gli incentivi statali devono essere ridotti. Quello che contestano è la radicalità e la rapidità del taglio. «Una riduzione delle tariffe ci può stare – spiega Bellati – purché sia graduale e parziale e non metta a rischio gli investimenti già effettuati».
Lo spettro più temuto dagli operatori è quello spagnolo, dove a un periodo di incentivi molto generosi è seguito un taglio drastico che ha bloccato l'intero settore. «Da noi la situazione è anche peggiore – denuncia Bellati – perché oltre a chiudere improvvisamente i sussidi, convincendo di fatto l'opinione pubblica della inaffidabilità del governo, si sta portando avanti una vera e propria campagna di disinformazione sui grandi media». L'imprenditore si riferisce a servizi televisivi e inchieste su presunti casi di speculazione o truffa nel settore delle rinnovabili, colpevoli a suo dire di aver convinto la gente che le rinnovabili servono solo per «prendere soldi allo stato». E quindi dalle tasche dei cittadini. Casi di speculazione, in effetti, ci sono stati, ma secondo il manager torinese si è trattato soprattutto di «accaparramento dei fondi da parte di aziende straniere, perché la politica non è stata in grado di proteggere gli imprenditori italiani». La protesta, in ogni caso, andrà avanti. «Continueremo a muoverci su tutti i fronti possibili – conclude Bellati – dagli incontri pubblici, alla rete, al dialogo con la politica, sperando di restare uniti con tutte le realtà produttive dell'energia pulita». Il riferimento è chiaramente diretto alle iniziative di Assotermica e delle altre associazioni delle rinnovabili termiche, che, pur contestando a loro volta il testo del decreto Romani, hanno preso in qualche modo le distanze dai colleghi produttori di energia elettrica.